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22 Novembre 2024 08:43

“Lady Petrolio” in arte Ana Bettz condannata a 13 anni di carcere per riciclaggio

La Bettozzi usava la mafia per avere denaro e la mafia usava l'azienda della Bettozzi per moltiplicarlo ed entrare in un business importante. La donna venne arrestata nel maggio del 2019, mentre era a bordo di una Rolls Royce insieme all'attore Gabriel Garko alla frontiera di Ventimiglia con la Francia mentre era diretta al Festival di Cannes. In quella occasione la Guardia di Finanza la trovò in possesso di 300.000 euro in contanti occultati dentro una scatola di stivali a gamba alta

Anna Bettozzi “Lady Petrolio” imprenditrice, cantante, animatrice dei salotti romani, amica di potenti e (presunta) fidanzata di attori famosi vedova del petroliere romano Sergio Di Cesare, Dopo un passato da immobiliarista ed una carriera da popstar, adesso la donna è attualmente in detenzione domiciliare, è stata condannata con il rito abbreviato, che riduce ad 1/3 la pena prevista dal Codice, a 13 anni e 2 mesi di reclusione nel corso dell’udienza preliminare a Roma, in uno dei filoni della maxindagine sulle Petrol Mafie Spa. Nel processo sono state condannate altre otto persone, con pene comprese tra i 9 anni e 4 mesi e i 4 anni e 2 mesi. È stata anche disposta la confisca di 180 milioni di euro.

La Bettozzi venne arrestata nel maggio del 2019, mentre era a bordo di una Rolls Royce insieme all’attore Gabriel Garko alla frontiera di Ventimiglia con la Francia mentre era diretta al Festival di Cannes. In quella occasione la Guardia di Finanza la trovò in possesso di 300.000 euro in contanti occultati dentro una scatola di stivali a gamba alta e nel corso di una perquisizione in albergo a Milano le furono trovati altri 1,4 milioni di euro in contanti, che vennero messi sotto sequestro.

Con la consulenza di immagine di Lele Mora che spacciò alle cronache del gossip un suo chiacchierato fidanzamento con Gabriel Garko, che a distanza di tempo ha fatto pubblico “coming out”. Al tempo la Bettozzi aveva dichiarato ai giornali “Lo amo incondizionatamente“.

Da una intercettazione allegata all’inchiesta giudiziaria, risulta che l’attore aveva pattuito con “Lady Petrolio”, prima di un finto bacio tra i due immortalato dai paparazzi, un compenso di 250mila euro, dei quali la maggior parte sarebbe dovuta essere consegnata in contanti. Le prove sono contenute nelle telefonate intercettate. La sera del 28 febbraio 2019, ad esempio, Anna Bettozzi arriva alla stazione di Milano. Alle 19.41 chiama Garko e discutono del contratto. L’attore si lamenta: “Si era parlato del contratto in un certo modo…poi a me è arrivato un contratto fatto in un altro….il contratto era da 200mila“. “E quanto doveva essere?”. chiede la Bettozzi. “Il contratto doveva essere da cento”. risponde Garko. “100 in nero e 100 in fatturato, sul contratto va messo solo il fatturato. Il cash prima del contratto“.

I pm Margio e Fasanelli davanti al Gup avevano chiesto una condanna a quattordici anni, contestando insieme alla associazione a delinquere, al riciclaggio, alle false fatture e ai reati fiscali (185 milioni evasi tra Iva, accise, Ires), anche l’aggravante mafiosa che è stata riconosciuta. 

Le indagini congiunte della Guardia di Finanza e dei Carabinieri  con quattro diverse procure Antimafia (Roma, Napoli, Reggio Calabria, Catanzaro) hanno portato alla luce un vasto giro di riciclaggio e autoriciclaggio e ripetute frodi nel settore degli oli minerali. In tutte le inchieste è stata evidenziata la “nefasta sinergia” tra mafie e colletti bianchi. Tra gli altri reati contestati dai giudici c’erano anche l’associazione per delinquere costituita per la commissione di plurimi reati tributari, illecita commercializzazione di prodotti petroliferi. Il tutto anche con il fine di agevolare le attività di associazioni della criminalità organizzata.

La Bettozzi ben “conosce i meccanismi fraudolenti già contestati al marito dal quale ha ereditato l’azienda, non è affatto una sprovveduta nel coltivare un rapporto apparentemente stravagante”. È Coppola a inserire la Bettozzi nel mondo campano, dove società presentano finte dichiarazioni di intento, fatturando poi fittiziamente. L’immagine di un garage dove hanno sede decine di aziende, gestite di fatto da personaggi di facciata che al telefono si confondono anche sul nome delle società che avrebbero dovuto rappresentare, fotografa il meccanismo utilizzato per frodare il Fisco attraverso teste di legno. “La figura del professionista terzo da nominare amministratore serve solo come specchietto per le allodole e per scaricare responsabilità – scrivono gli inquirenti – Unica obiezione, bisogna mettere al posto di comando (apparente) una persona credibile, non i soliti “rumeni sdentati“, come diceva la Bettozzi che usava la mafia per avere denaro e la mafia usava l’azienda della Bettozzi per moltiplicarlo ed entrare in un business importante.

Gli accertamenti congiunti svolti dai Carabinieri e Guardia di finanza al centro delle inchieste delle procure di Roma e Napoli, la inquadrano come capo indiscusso dell’associazione in relazione con i Moccia, i Casalesi (un miliardo di finanziamenti in cambio di riciclaggio), i Piromalli e i Mancuso grazie ai quali quadruplica il fatturato della Max Petroli. di cui era amministratrice la Bettozzi, indicata come “capo” indiscusso del sodalizio criminale. La società successivamente era stata trasformata nella “Made Petrol Italia” guidata dalla figlia Virginia Di Cesare ma, secondo gli investigatori, in realtà sempre sotto il controllo dalla madre. La ragazza è finita ai domiciliari assieme all’altro figlio (40enne) della Bettozzi, suo nipote, il nuovo compagno Felice D’Agostino (ritenuto il collegamento con la camorra) e l’avvocato Ilario D’Apolito, che al momento dell’arresto le consigliò al telefono di nascondere la chiave di una cassetta di sicurezza nella tasca dell’autista, che era quella dell’hotel Gallia a Milano, dove viene trovato un altro milione e 400mila euro.

Secondo l’accusa legarsi a gruppi camorristici è stato per “Lady Petrolio” molto vantaggioso: il giro d’affari della sua società petrolifera, grazie ai capitali illeciti da riciclare, nel giro di tre anni era passato da 9 a 370 milioni di euro . Negli atti si legge che sua figlia, Virginia di Cesare, proponeva a un altro indagato di nominare Giulio Tremonti nel consiglio di amministrazione: “L’amministratore può anche non essere a conoscenza dell’eventuale falsità delle dichiarazioni di intento visto che è il cliente a dichiarare di possedere i requisiti di esportatore abituale ed è l’Agenzia delle Entrate che avalla la richiesti”. L’interlocutore è perplesso. Tremonti si accorgerebbe delle modalità illecite con cui la società opera e perciò non accetterebbe mai un incarico simile. Sarebbe meglio, dicono, individuare un soggetto che abbia in passato rivestito un ruolo nella Guardia di Finanza, che possa bloccare sul nascere eventuali indagini.

Anna Bettozzi è riuscita ad evitare l’abbraccio mortale con il clan Moccia servendosene ma conservando la sua autonomia“, spiegavano i magistrati dopo l’arresto. Di fatto però “la partecipazione tramite Alberto Coppola del clan Moccia alle dinamiche criminali del sodalizio capeggiato da Anna Bettozzi valeva circa un terzo degli investimenti”. Accuse che i penalisti del suo nutrito collegio difensivo composto dagli avvocati Cesare Placanica, Gianluca TognozziPierpaolo Dell’Anno e Antonio Ingroia contestano, sostenendo “l’inesistenza di ogni minima collusione con la criminalità organizzata e confidando che l’effettiva comprensione dei meccanismi fiscali possa determinare l’esclusione degli altri profili di colpa”. Ma così non è stato.

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