di Alessandro Leogrande
Al primo turno delle amministrative, dal «laboratorio Taranto» emerge una conferma del trend nazionale. Il Movimento Cinque Stelle, la cui partecipazione al ballottaggio era data quasi per certa, esce fortemente ridimensionato. Si dirà che tra elezioni amministrative e politiche c’è sempre uno iato. Tuttavia è evidente la flessione del movimento in città, rispetto alle precedenti tornate elettorali. Evidente la sua flessione, evidente la debolezza della retorica grillina sul caso Taranto (e non solo sul caso Ilva). Altrettanto evidente è la debolezza di quelle forze che hanno sostenuto la candidatura di Nevoli, appoggiando i Cinque Stelle.
Così come appare lampante l’insuccesso di Cito. Superare il 10% con la sola storica lista At6, e per di più candidando il figlio «al proprio posto», davanti a una tale frammentazione, è la prova di un radicamento reale in un settore stabile dell’elettorato. Tuttavia tale radicamento non si traduce più – e da tempo – in ampliamento elettorale.
Così, le due varianti demagogiche in salsa jonica, il protogrillismo e il grillismo, o – se preferite – il citismo originario e il citismo 2.0, non riescono ad andare al di là di una confusa opposizione. Alimentano la frammentazione politica, ma non costituiscono alcuna alternativa, almeno in questo frangente della storia della città.
Viceversa al ballottaggio ci andranno il centrodestra e il centrosinistra, ma il modo in cui ci arrivano deve far riflettere. L’area di centrodestra, coalizzata intorno alla figura di Stefania Baldassari, riesce ad arrivare prima. Ma le otto liste che sostengono il candidato sono liste civiche.
*editoriale tratto dal Corriere del Mezzogiorno