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21 Novembre 2024 23:14

L’altra verità su Sergio Bramini, l’imprenditore “fallito per colpa dello Stato”

Un'indagine del Csm racconta diversamente la storia di Sergio Bramini diventato consulente del governo gialloverde la casa alla moglie, i debiti e 570 mila euro di stipendio.

ROMA – Un documento del Consiglio Superiore della Magistratura mette in discussione la rappresentazione che mass media, i due vicepremier e le autorità locali hanno dato di Sergio Bramini, l’imprenditore brianzolo reso celebre dalla trasmissione televisiva “Le Iene” perché “fallito nonostante 4 milioni di euro mai pagati dallo Stato e sgomberato da casa”. In molti infatti  lo ricorderanno come un imprenditore onesto e di successo rovinato dalle istituzioni, umiliato dai giudici e vessato dalle banche, costretto con moglie e figli a lasciare la casa in lacrime.

 La sua villetta diventata meta di pellegrinaggio in campagna elettorale di parlamentari e ministri a partire da Luigi  Di Maio (M5S)  e Matteo Salvini (Lega) in testa , ma anche di centinaia di persone solidali. Una sottoscrizione in suo favore aveva raccolto 150 mila euro. Dopo la formazione del governo gialloverde, il vicepremier grillino Di Maio lo ha “sistemato” come consulente al ministero a 46.800 l’anno per studiare norme a tutela degli imprenditori come lui. La proposta è arrivata dal giornalista e neo-senatore 5stelle, Gianluigi Paragone, per poter “raccogliere le storie come la sua e x col nuovo esecutivo”.

A raccontarla è sempre stato lui, l’imprenditore di Monza. Con una differenza sostanziale rispetto al quadro tracciato dalle Iene o dai partiti che sostengono il governo: il Bramini che racconta è quello che ha firmato tutti i bilanci della I.CO.M. Milano depositati in Camera di Commercio. Capitoli ufficiali di una storia che non c’entra nulla con l’esecuzione immobiliare sulla sua abitazione e che pare molto diversa da quella andata in onda in tv e sui social network.

Importante fare una premessa: come più volte ribadito anche dal tribunale di Monza, Sergio Bramini non è “fallito” personalmente, e in Camera di Commercio non risultano peraltro “protesti” a suo carico. Il fallimento in questione che pende a Milano è quello della sua società. Che non è l’unica della “galassia Bramini”. All’inizio di giugno 2018, infatti, l’imprenditore-consulente risultava ancora amministratore della Techtrade-ICOM GEIE (rifiuti), amministratore unico e socio della Waste & Energy Srl (bilancio mancante in Camera di Commercio), consigliere del Consorzio Prom. Eco. e presidente del consiglio direttivo di Biopetrol (queste ultime due sono inattive). Ma non solo. È anche socio con il 30% delle quote di T.D. Plast Srl (ultimo bilancio depositato è quello del 2007) e della Omnia Service (5%).

Sergio Bramini, al centro, con Matteo Salvini

Veniamo ora all’azienda “solida” affossata dallo Stato, la ICOM Milano. “Lavoravo per il 99% per gli enti pubblici. In Sicilia per quasi 19 anni, ho lavorato anche in Campania per l’emergenza rifiuti”, ha spiegato Bramini a Le Iene. “Fatturavo circa 350mila euro al mese, 26 operai, 9 impiegati”. Dopodichè, però, è successo qualcosa. “Sergio lavora bene -ricordava il servizio televisivo-, mai un incidente, mai una contestazione, fino a quando nel 2005…”.

“Gli enti pubblici han cominciato a non pagare, o meglio mi pagavano con il contagocce, facevano piani di rientro che non rispettavano”, ricostruiva davanti alle telecamere l’imprenditore brianzolo. “I comuni dicevano: ‘I cittadini non pagano la tassa rifiuti, non incassiamo e quindi non riusciamo a far fronte’; eh nel frattempo io però continuavo a lavorare. I soldi non arrivavano. Io per diversi anni ho continuato a pagare l’Iva di fatture che non incassavo. Ma per cinque o sei anni, non per un giorno”. E qui parla di conseguenze drammatiche: “Non ce la facevo più – ricordava Bramini -. Ho dovuto accendere due mutui: un mutuo per 500mila euro sulla casa e un altro per 500mila sugli uffici, dovevo mandare avanti la società, pagare i dipendenti, il gasolio dei macchinari”.

Il risultato raccontato ? Pur avendo più di 4 milioni di euro di crediti dallo Stato -spiegano Le Iene è stato costretto a fallire”. e  porta i libri in tribunale nel 2011. “Colpa dell’Ato Ambiente Ragusa che gli deve 2,2 milioni di euroha dichiarato il 3 giugno il ministro Di Maio-. Un credito enorme che non l’ha aiutato a salvare la sua azienda”.

Sergio Bramini consegna le chiavi della sua ex-casa

Il Tribunale di Monza però ha già smentito questa ricostruzione: il pignoramento della casa deriva da un’ipoteca messa a garanzia di un mutuo datato 2001 a favore di ICOM , cioè quattro anni prima, e mai più restituito. Il fatto è che nel 2005 è successa un’altra cosa, che lo stesso Bramini mette nero su bianco dallo stesso. Il fatturato aziendale è diminuito sensibilmente (da 3,6 milioni dell’anno prima a 2,7 milioni di euro) in quanto come si legge nel bilancio “verso la fine del 2004 è giunta a termine la costruzione di una discarica controllata per la Provincia di Ragusa”. Quindi il lavoro è finito. “Nello stesso periodo è avvenuta la chiusura di un impianto di trattamento rifiuti realizzato dalla società per conto del Consorzio Intercomunale CE4 e a cui il Commissariato rifiuti della Regione Campania ne ha revocato l’autorizzazione”.

Sapete per quale motivo? Lo spiega il sito AltraEconomia:  “Irregolare gestione effettuata dal Consorzio della discarica collegata all’impianto”. È un problema perché in quell’impianto in Campania “revocato” per irregolarità, ICOM avrebbe dovuto fornire un composto chimico brevettato per il trattamento del rifiuto organico che avrebbe “determinato introiti pari a circa 700mila euro all’anno”. I crediti sono comunque alti: 3,4 milioni di euro soltanto verso i clienti “Italia Sud”, e cioè enti pubblici siciliani e campani. Erano 4,2 milioni di euro nel 2002. Ma la situazione nel 2005, come scriveva lo stesso  Bramini , “è tenuta costantemente sotto osservazione e nei casi di sofferenza le pratiche di recupero vengono affidate a legali”.

La società chiude con una perdita di 195mila euroe il nulla osta del collegio sindacale. Che non riscontra “operazioni atipiche e/o inusuali” quando la società “Daliam Snc di Bramini Sergio & C.” rileva il 71% del capitale di ICOM. È la proprietaria dell’immobile in cui hanno sede gli uffici della società, che paga un affitto a valori di mercato.

Già a quella data la ICOM era indebitata però per 4,3 milioni di euro, un dettaglio questo che manca dalle ricostruzioni fatte in tv dalle Iene, che evidentemente sono poco pratiche di fact-checking e di bilanci societari. Infatti la prima voce non sono le banche (in testa il Monte Paschi di Sienao l’Istituto San Paolo IMI) ma bensì i fornitori. E in quello che dovrebbe essere stato l’anno della tempesta, la ICOM – che non ha 35 dipendenti ma in quel momento ne conta solo 13- riconosce un compenso da 161mila euro all’amministratore Sergio Bramini.

Dopo un anno le cose cambiano. Il giro di affari della ICOM sembrerebbe risalire grazie a una gara vinta per la realizzazione di invasi di raccolta dei rifiuti a Jesolo. Le previsioni sono rosee anche per il 2007, visto l’esito positivo di una gara relativa a una discarica a Castel Volturno. I crediti restano alti a Sud (4.305.706 euro), tanto quanto i debiti verso i fornitori (2.512.568 euro) o le banche (per un totale di 5,5 milioni).

La perdita economica sfiora ancora i 200mila euro. Bramini però sembra ottimista. “Il passaggio dei rapporti riguardanti l’attività di gestione dai Comuni alle ATO, dovrebbe garantire una costante e regolare puntualità dei pagamenti delle tariffe di smaltimento”. I sindaci della società invece la pensano diversamente. Mettono a verbale una “persistente situazione di tensione finanziaria causata prevalentemente dalle difficoltà di incasso di alcuni significativi crediti nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni”. E aggiungono: “Abbiamo verbalizzato più volte […] come tale situazione, di fatto, incida pesantemente sullo sviluppo delle potenzialità aziendali drenando risorse sia finanziarie sia organizzative, altrimenti riutilizzabili ed ingenerando una situazione generale di incertezza aggravata dai contenziosi in essere”.

Ma se è vero che la Pubblica amministrazione dovrebbe essere sempre solvibile, questo “non deve comunque spingere ad ignorare che la società necessità di un apporto finanziario adeguato per fronteggiare l’ormai cronico e preoccupante sfasamento temporale tra incassi e pagamenti connaturato alla tipologia della propria clientela”, concludono i sindaci. È questa la loro ultima relazione reperibile.

In quel momento delicato spunta anche un contrattoderivato con Intesa Sanpaolo “Interest rate swap”  dalla durata di tre anni e valore nozionale di 700mila euro. E anche in quel caso, con l’azienda in perdita ed esposta a “generale incertezza”, all’amministratore Bramini è riconosciuto un compenso da 177mila euro. Il 2007 è un altro anno difficile, l’utile riprende ma è ridotto ai minimi termini (9mila euro). I ricavi calano per “aspetti aleatori legati all’aggiudicazione delle gare d’appalto”. Termina il lavoro di Jesolo, prende le mosse quello di una discarica comunale di Regalbuto (Enna). La “regolare puntualità dei pagamenti a lungo auspicata” non è stata garantita dal passaggio agli ATO, scrive Bramini, che conta 4,2 milioni di euro di crediti con enti pubblici di Sicilia e Campania e debiti per 4,5 milioni.

Sergio Bramini intervistato da Le Iene

Stando ai bilanci della società però l’azienda di Bramini non starebbe lavorando in perdita poiché “la raccolta rifiuti è un servizio pubblico che non si può interrompere”, come sostenuto dalle Iene. E non starebbe “pagando l’Iva di fatture che non incassavo”: dal 2005 al 2010, bilanci alla mano, l’Iva è “in sospensione”, voce “debiti”. Inoltre nel 2007 la gestione delle discariche prosegue “grazie anche al rinnovo della gestione concessa dall’ATO Ragusa ambiente Spa”. Sono le parole di Bramini.

E così ancora nel 2008 (10mila euro di utile, 15 dipendenti). “La società ha proseguito l’attività di gestione delle discariche di Vittoria e Scicli nella provincia di Ragusa grazie ai rinnovi dei servizi di conduzione e manutenzione degli impianti concessi dall’ATO Ragusa ambiente”. Non parrebbe esserci alcuna forzatura. Fino ad arrivare al 2010, l’ultimo anno prima dei “libri in tribunale” (liquidazione volontaria e fallimento). ICOM ha “terminato l’attività” nella provincia di Ragusa perché il rinnovo dei servizi non è stato confermato. Tra ricavi e costi si registra una perdita da 1,2 milioni di euro. I dipendenti sono 12. Bramini mette a verbale che le informazioni sulla esigibilità dei crediti ricevute in passato da “precedenti legali” sarebbero “inadeguate”. Procede alla svalutazione, che in quel momento si tratta  di 3,6 milioni di euro.

 

il Tribunale Fallimentare Monza

Dopo una controversa e faticosa battaglia giudiziaria, il Tribunale Fallimentare di Monza aveva deciso a suo tempo di requisire quella casa e di metterla all’asta. E mentre le prime aste erano andate deserte, nello scorso mese di novembre 2018 – a sorpresa – quella villa era stata assegnata all’imprenditore cinese Federico Zheng. Socio della catena di centri commerciali “999”, specializzati soprattutto in casalinghi – “ma io sono il titolare soltanto di quelli di Cassano d’Adda e Binzago” ha precisato – si era fatto ingolosire da quella incredibile possibilità: accaparrarsi una casa da 30 stanze, con finiture di pregio, parco, piscina riscaldata coperta e taverna, in vendita a una base d’asta così irrisoria A dire il vero, l’asta era stata dichiarata deserta dalla delegata alla vendita, visto che nessuno per ben due volte aveva risposto alla chiamata. Sulla scrivania della delegata però una busta c’era. Ed era quella presentata proprio dall’imprenditore cinese. Poco più di 500mila euro per aggiudicarsi una casa del valore di oltre due milioni di euro.

Sergio Bramini aveva provato a opporsi e aveva presentato due ricorsiin tal senso per le presunte irregolarità ravvisate in quell’asta. Dichiarata deserta, appunto, eppure conclusasi il giorno dopo con l’apertura di una busta, quella presentata da Zheng. Ma per il momento quei ricorsi sono stati respinti, anche se il secondo dovrebbe ancora essere discusso l’8 maggio. Dal canto suo, Federico Zheng si era detto immediatamente pronto a tirarsi indietro. Non appena scoperta la storia dolorosa, anche dal punto di vista mediatico e giudiziario che si nascondeva dietro quella villa, aveva detto: “Sono pronto a tirarmi indietro, a patto però di non doverci rimettere la pena da 50mila euro prevista in questi casi».

Di qui il suo dietrofront. “Speravo annullassero quell’asta come aveva chiesto Bramini– spiega -, ma questo non è avvenuto. E alla fine ho capito che tirarmi indietro per me sarebbe stato un rischio“. Non solo per la penale, ma soprattutto per il valore dell’immobile. E qui seguire il filo del ragionamento di Zheng, anche per le difficoltà nella lingua, non è facile. “Se la casa fosse stata rimessa all’asta, il suo valore sarebbe sceso ancora del 30 per cento. E io rischiavo di perderci i 500mila euro offerti al Tribunale per acquistarla“. Ma non solo. “Ho parlato col mio avvocato, mi ha fatto capire che avrei rischiato di avere conseguenze penali, di finire in galera se non avessi più voluto comprare la casa“.

Federico Zheng ci tiene a precisare:Ho sempre lavorato e mi sono costruito tutto con le mie mani, vivo in Italia da 12 anni: non sapevo cosa si nascondesse dietro quella casa, vorrei sempre aiutare se potessi, ma alla fine i giudici hanno deciso che quell’asta non sarebbe stata annullata e non concludere l’acquisto per me sarebbe stato un pericolo“. Zheng aveva però chiesto ed ottenuto una dilazione di un mese per ottemperare a quell’acquisto. Perché l’aveva chiesta ? Lo spiega proprio lui: “speravo che l’asta venisse annullata, ho chiesto tempo in più proprio per quello, in attesa della decisione del Tribunale sul ricorso, ma è stato inutile. ed adesso Ci andrò a vivere con la mia famiglia, moglie e tre figli”.

Dopo un anno di accertamenti ed istruttoria il Csm, cioè il Consiglio Superiore della Magistratura  – come rivela il quotidiano La Stampa – invece, scopre altre verità e la racconta diversamente, in un documento di 18 pagine. In pratica i suoi mutui bancari accesi risalgono al 2001, ben quattro anni prima del 2005: quindi in realtà non seguono il blocco dei pagamenti degli enti pubblici, ma lo precedono. Il curatore fallimentare dopo il 2011,  avvia un’azione di responsabilità contro Braminiper gravi condotte di aggravamento del dissesto” e  gli imputa di “essersi attribuito quale amministratore, nell’ultimo periodo di vita della Icom, un compenso di 570 mila euro“.

La contestazione si chiude con una conciliazione: Bramini s’impegna a restituire 200 mila euro (che non vengono però mai versati). Il curatore fallimentare della Icom, aziona anche un procedimento di revocatoria in quanto  Braminicirca un mese prima del fallimento aveva ceduto alla moglie, in sede di separazione consensuale”, la casa successivamente pignorata. E dopo dopo lo sfratto i due “sparati consensualmente” abitano insieme in una casa affitto, “per risparmiare“.

Ma non è finita qui. Infatti anche i presunti crediti vantati dalla Icom verso gli enti pubblici sono controversi. Secondo il tribunale fallimentare di Milano “non erano certi, liquidi ed esigibili, bensì tutti contestati e in buona parte insussistenti”. In pratica ed in soldoni: tra cause perse e cessioni già effettuate, la Icom ha incassato solo 500 mila euro e nella migliore delle ipotesi vanterebbe crediti per circa 1,6 milioni di euro, e non di 4,2 milioni, come aveva sempre sostenuto.

“I debiti della Icom: 3,8 milioni di euro: 1,7 con il fisco; 1,1 con i fornitori, il resto con le banche. Dunque il principale creditore di Bramini (che non pagava Iva, Irpef, Irap, Tfr contributi previdenziali) è lo stesso Stato da lui additato come aguzzino. E per una cifra quasi doppia rispetto a quella, pur cospicua e ingiusta, che la Icom non ha mai incassato dalle pubbliche amministrazioni. Conclude il Csm: “È falso che la Icom sarebbe stata fatta fallire per le inadempienze di enti pubblici, che pure ci sono state e non si vuole trascurare.

Per questo motivo per la prima volta in cinque anni, il Csm vota una “pratica a tutela” di un magistrato: il giudice Romito di Monza “aggredito, denigrato, offeso, diffamato“, stretto in una tenaglia politico-mediatica alimentata da una campagna costruita su fake news. In perfetto stile… “neo-governativo”. Su quella casa, la pratica del Csm racconta anche di intimidazioni di Bramini fatte al custode giudiziario incaricato di vendere l’abitazione. Si parla di “minacce di morte con utilizzo di armi legalmente detenute” da parte di Bramini al funzionario. Le armi successivamente sono state poi ritirate dalla Polizia unitamente al relativo porto d’armi

Il giudice dell’esecuzione immobiliare Romito, dunque, per il Csm, non ebbe atteggiamento persecutorio nei confronti di Bramini, ma seguì leggi e procedure standard.

“Bramini non è un furbo, ma una persona perbene”, ha replicato l’ avvocato Monica Pagano, suo difensore (…). L’avvocato spiega che Bramini ha sempre negato “comportamenti ostruzionistici“; i crediti della Icom erano di almeno 4 milionima anche se li vogliamo dimezzare a 2 milioni, comunque è una somma che se fosse stata pagata avrebbe evitato il fallimento” e precisa che i 570 mila euro di stipendio “si riferivano a sette annualità ed erano lordi“. Quindi circa 80 mila euro all’anno. L’ultimo bilancio della Icom nel 2010, redatto dallo stesso Bramini e pubblicato da Altreconomia, riporta: perdite operative per 1,2 milioni di euro, compenso dell’amministratore 160 mila euro. L’anno dopo è fallita.

Nonostante il conto economico dell’azienda Icom a non reggere, il compenso per l’amministratore resta comunque fissato a 159mila euro. “Sergio lavora bene, mai un incidente, mai una contestazione”, raccontano in televisione  Le Iene. Sicuramente. resta il fatto che anche nell’ultimo bilancio pubblico sono riportate due contestazioni a carico della ICOM per mancato versamento IRPEF, IVA e IRAP (oltre 200mila euro). Non è una novità visto che già in passato la società aveva già pagato a rate sanzioni risalenti addirittura al 1998.

Incredibilmente la vicenda Bramini è diventata una bandiera indiscutibile. L’imprenditore, intervistato dal Corriere della Sera il 2 giugno 2018, sarebbe già a Roma al lavoro su “un pacchetto di norme che mi hanno detto che si chiamerà legge Bramini”. La domanda legittima da porsi è: quale Bramini?

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