L’ Arcivescovo di Taranto Filippo Santoro già missionario per 28 anni in Brasile, ha scritto il libro “La forza del fascino cristiano” e l’ha presentato ieri al Meeting di Rimini solo per un motivo, come riassume don Stefano Alberto e cioè «Ricordare che il cristianesimo non si diffonde mai per proselitismo o per una posizione ideologica, ma per attrazione. Dobbiamo portare alla gente l’amore del Signore morto e risorto che scalda il cuore e cura le ferite. Questa non è una frasetta da ripetere ma il metodo e il cambiamento a cui papa Francesco sta chiamando tutta la Chiesa, specie quella italiana».
Il libro di Mons. Santoro cerca di portare luce sul cammino che «Dio, attraverso papa Francesco, sta chiedendo alla Chiesa» e per testimoniarlo narra «l’esperienza esaltante» e i contenuti della Conferenza di Aparecida, che nel 2007 ha raccolto nel santuario dove è apparsa la Madonna per volere di Benedetto XVI 250 vescovi provenienti da tutta l’America Latina, presieduti dall’allora Arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio.
In quei giorni di lavoro, «in cui avevamo davanti agli occhi tutti i giorni fino a 100 mila pellegrini, i problemi sono stati assunti come sfide alla verità della fede. Lì ho capito che la forza del fascino cristiano è l’azione dello Spirito Santo che ci fa affezionare a Gesù e in forza di questo ci fa andare in missione dove vuole».
LA RISPOSTA ALLA REALTÀ
Il documento conclusivo, che ha determinato l’azione della Chiesa in tutta l’America Latina, «è un evento dello Spirito Santo perché mette insieme tutti i problemi della gente che avevamo davanti agli occhi, dalla povertà alla corruzione alla teologia della liberazione, partendo dalla lode al Signore che ci ha visitati e con una preferenza speciale per i poveri». È questo che monsignor Santoro, la cui fede è nata seguendo proprio don Luigi Giussani e il movimento di Comunione e Liberazione, si è portato dietro anche quando è stato chiamato a Taranto. Dove, racconta, «non ho fatto altro che rispondere alle provocazioni della realtà».
GIOIA CONTAGIOSA
«Tra l’ ILVA e i migranti» ha detto Mons. Santoro, «ci siamo trovati davanti a un vero dramma umano. Io ho capito che il mio compito era quello di accogliere, come ho fatto con gli operai dell’ ILVA, andando a visitarli durante le proteste, o con una signora che è venuta da me un giorno per chiedermi di pregare per la figlia caduta in coma irreversibile proprio prima di sposarsi. Abbiamo pregato in ginocchio insieme il Santissimo e la Madonna. Dopo 15 giorni quella donna è uscita dal coma».
«Ho anche cominciato a visitare sempre più spesso il carcere – ha aggiunto Mons. Santoro – e siccome per la Messa ci avevano dato una stanza terribile, i detenuti l’hanno ritinteggiata. Poi mi hanno detto: “L’abbiamo fatto per lei e per Gesù”. E nelle visite seguenti mi hanno ringraziato così: “Lei ci prende la mano e non ci lascia”. Ma quella mano era di Gesù e ad afferrarli è stato il fascino di una gioia contagiosa».