di REDAZIONE POLITICA
Le indagini sulla presunta loggia Ungheria, l’associazione segreta di cui, secondo l’avvocato Piero Amara, farebbero parte decine di uomini delle istituzioni, continuano sull’asse giudiziario delle procure di Brescia e Perugia. A Brescia, proseguono le indagini ed approfondimenti sui magistrati milanesi che, sulle base del pm Paolo Storari, non vollero credere alle dichiarazioni dell’ avv. Amara e quindi non aprirono immediatamente un fascicolo per capire se quello che raccontava fosse frutto di fantasia strumentale o drammatica realtà. A Perugia invece vengono resi noti i nomi di nuovi indagati, che secondo le dichiarazioni dell’ex legale esterno dell’Eni avrebbero avuto un ruolo in questa presunta loggia nascosta.
Ai tre indagati già noti Piero Amara, Alessandro Ferraro (un suo ex collaboratore) , ed il suo ex socio Giuseppe Calafiore – si sono aggiunti altri due nomi molto ben noti nello scenario politico nazionale. L’ex deputato Denis Verdini e l’ex- giornalista Luigi Bisignani. In totale cinque indagati per associazione segreta e un’ipotesi investigativa ancora tutta da riscontrare. Che la “Loggia Ungheria” sia realmente esistita, o sia frutto della sterminata fantasia di Amara è ancora tutto da capire. Ed i magistrati sono a lavoro per questo che potrebbe rivelarsi anche un grande “bluff” come lo ha definito Paolo Mieli ex direttore dei quotidiani LA STAMPA e CORRIERE DELLA SERA.
Costituire un’associazione occulta è vietato dalla legge Anselmi, istituita a suo tempo nella 1a repubblica, per sciogliere la P2, che contiene una serie di norme per sanzionare le associazioni segrete. Ed è per questo motivo che queste persone cinque si trovano a essere indagati. E’ Amara a puntare il dito contro Bisignani e Verdini. Luigi Bisignani che è già stato sentito dai pm ha smentito: “Di questa loggia ho sentito parlare solo dai giornali e non so assolutamente niente. Quando ci sono questi polveroni alla fine qualcuno che ti chiama c’è sempre, non mi meraviglia, non è la prima volta né sarà l’ultima, ogni volta che c’è una Loggia mi mettono in mezzo e ogni volta ne esco fuori. E l’ho proprio messo a verbale, non sono mai stato massone, non ho mai fatto parte di nessuna Loggia, e della Loggia ‘Ungheria’ non ho mai saputo niente. Ma non mi sconvolge più di tanto, assolutamente nessuna preoccupazione”. Denis Verdini, invece, verrà ascoltato dai magistrati nei prossimi giorni.
E’ bene ricordare che l’avvocato Piero Amara, ex avvocato esterno di Eni indagato anche nell’ultima indagine della procura di Milano su presunte attività di depistaggio per condizionare l’inchiesta sul caso Eni-Nigeria, è in carcere dove deve scontare un cumulo pena di tre anni e 8 mesi per le condanne inflittegli nei procedimenti relativi alle sentenze pilotate al Consiglio di Stato e al `Sistema Siracusa´, indagine che ha scoperchiato una sorta di accordo tra pm e avvocati per pilotare indagini e fascicoli. Un “particolare” questo che è sfuggito ai magistrati della Procura di Potenza che hanno cercato di insinuarsi nella scia dell’attenzione mediatica causata dalle dichiarazioni di Amara, ma che il Tribunale di Potenza non ha ritenuto credibili, come si evinto nel “folle” arresto del prof. Enrico Laghi liberato dal Riesame nei giorni scorsi.
Quanto ci sia di fantasia depistatoria e quanto di verità in questa strana vicenda dovranno verificarlo ed appurarlo i magistrati inquirenti. Mentre la notizia delle indagini nei confronti di Bisignani e Verdini è balzata agli onori della cronaca, è rimasta più soffusa l’altra conseguenza di questa vicenda. E cioè il corto circuito che si è creato tra gli uffici giudiziari di Milano dove, è bene ricordarlo, è nato questo scontro fra magistrati . Da quando il pm Storari aveva consegnato i verbali con le dichiarazioni a Piercamillo Davigo, all’epoca ancora consigliere del Csm sostenendo che i suoi vertici si rifiutavano avviare indagini sulle dichiarazioni di Amara che coinvolgevano le più alte istituzioni dello Stato, magistratura compresa.
Un atto se non addirittura illecito, certamente non rituale, al quale sono seguite altre azioni singolari. L’ex magistrato (ora in pensione) ed ormai ex consigliere anche del Consiglio Superiore della Magistratura Invece di consegnare il materiale formalmente all’ufficio di presidenza, ne aveva parlato con il vicepresidente David Ermini e con vari consiglieri. Non contento di tutto ciò Davigo sempre calpestando ed ignorando l’ufficialità prevista da Leggi e regolamenti, lo aveva consegnato a Ermini il quale molto correttamente lo aveva distrutto. Quei verbali successivamente sono usciti dalla stanza di Davigo ed arrivati nelle redazioni del Fatto Quotidiano e di La Repubblica, secondo i pm che stanno indagando per rivelazione del segreto d’ufficio ad opera di Marcella Contrafatto che guarda caso era l’ex segretaria di Piercamillo Davigo al Csm .
i pm De Pasquale e Spadaro il pm Storari ed il procuratore Greco
Fra i fascicoli attenzionati dalla Procura di Brescia c’è anche qualcos’altro che potrebbe aiutare a capire il perché in procura a Milano, nessuno aveva dato seguito alle dichiarazioni di Amara. Ed è su questo punto che vengono a galla gli elementi più interessanti. Mentre Storari chiedeva di procedere, il procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale, avrebbe mandato a dire: “Questa indagine deve rimanere ferma due anni” parole che sono state riportate e verbalizzate nell’interrogatorio dello scorso 15 settembre a Brescia, avuto dalla sua collega, Laura Pedio, altro procuratore aggiunto della procura di Milano. Nel verbale, che è tra gli atti depositati dagli inquirenti bresciani con l’avviso di conclusione indagini per “omissione di atti d’ufficio” nei confronti di De Pasquale e del pm Sergio Spadaro ora in servizio presso la procura europea, e di “rivelazione del segreto d’ufficio” per l’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo e per il pm Paolo Storari, emergono stralci delle denunce fatte da quest’ultimo nei due interrogatori dello scorso maggio.
Laura Pedio rivendica la scelta di aver ignorato il pressing di Storari che sollecitava l’apertura di un fascicolo, sostenendo che era l’unico modo per capire se quello che aveva rivelato dall’ avv. Amara nel corso di un interrogatorio inerente all’inchiesta Eni avesse un qualche fondamento probatorio o no. “Rispetto a una notizia di reato così fluida, quindi noi mettevamo sotto intercettazione tutte le istituzioni italiane, noi prendevamo i tabulati di tutte le istituzioni italiane, andavamo dal Papa in giù (…) tutti i tabulati? (…) Questo era quello che si doveva fare? Secondo me no”.