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22 Dicembre 2024 18:54

Le rivelazioni dei Twitter-files: utenti in blacklist e post oscurati.

L'inchiesta del New York Times dimostra l'esistenza di un team di dipendenti di Twitter il cui scopo era “costruire liste nere, impedire ai tweet sfavorevoli di diventare di tendenza e limitare la visibilità di interi account o addirittura di argomenti di tendenza”. Nuova bufera per il più potente dei social network

Inizialmente lo scandalo con tanto di accuse reciproche e di cause legali sul reale numero degli utenti, dopo è arrivata la questione dei licenziamenti di massa successivamente in parte reintegrati con tanto di scuse, dopo gli uffici trasformati in dormitorio ed ora i “Twitter files”. Che l’ingresso di Elon Musk in Twitter non sarebbe stata semplice e indolore era prevedibile fin dal primo momento. Adesso però nella Twitter-story arrivano dettagli che potrebbero far cambiare radicalmente il modo in cui gli utenti guardano quello che è indubbiamente uno dei social network più potenti.

Le rivelazioni del quotidiano “New York Times”, le ultime in ordine di tempo arrivate nella notte, svelano un fitto e per nulla trasparente intreccio che politica e istituzioni e il social media. La giornalista Bari Weiss, con la “benedizione” del nuovo Ceo di Twitter, ha infatti pubblicato su lungo “thread” in cui si dimostra l’esistenza in passato di un team di dipendenti di Twitter il cui scopo era “costruire black list” cioè liste nere, impedendo ai tweet sfavorevoli di diventare di tendenza e limitare la visibilità di interi account o addirittura di argomenti di tendenza”. “Il tutto in segreto,– prosegue il post retwittato dallo stesso Musksenza informare gli utenti”.

Le Blacklist di Twitter

Tra gli utenti finiti nella blacklist compare ad esempio Jay Bhattachary, professore dell’ Università di Stanford che sosteneva che i lockdown messi in atto per contenere la diffusione del Covid avrebbe potuto danneggiare i bambini (e per questo finito nella “trend blacklist” che impediva appunto ai suoi tweet di diventare virali) o l’account del presentatore di un popolare talk show Dan Bongino finito nella blacklist delle ricerche perché dichiaratamente di destra.

Nel mirino dei censori di Twitter era finito anche l’attivista conservatore Charlie Kirk (esplicativa la nota interna “Da non amplificare” allegata al suo profilo). Un sistema organizzato e strutturato, insomma, tutt’altro che qualche caso sporadico legato alle intemperanze dei singoli account. Secondo la giornalista del New York Times i vertici di Twitter chiavano questa politica VF cioè “Visibility Filtering” (“filtraggio di visibilità”) . “Pensate al filtro di visibilità come a un modo per sopprimere ciò che le persone vedono a diversi livelli. È uno strumento molto potente”, ha dichiarato un dipendente di vecchia data.

Altro caso è stato quello della pagina “Libs of TikTok” (1,6 milioni di follower) sospeso sei volte ufficialmente per incitazione all’odio nonostante un documento interno dimostri che i gestiri della pagina non hanno mai violato il regolamento interno di Twitter. Nella foto postata dalla giornalista americana si vede che proprio nella scheda di tale utente capeggiava in bella mostra il messaggio, in rosso, con scritto “Non prendere inizitive sull’utente senza consultare il Sip-Pes”, ovvero il “Site Integrity Policy, Policy Escalation Support,” il braccio operativo di questo tipo di operazioni.

Chi pensava che lo “scandalo Twitter” fosse limitato, alla vicenda legata al figlio di Biden, Hunter, e alle notizie (insabbiate) relative ad una non molto chiara consulenza con Paesi stranieri e frodi fiscali, sbagliava di grosso. La vicenda adesso si sta allargando a macchia d’olio e la stessa giornalista promette nuovi aggiornamenti a breve, anche grazie alla collaborazione offerta da altri colleghi e da altre testate.

Elon Musk ha fatto sapere che Twitter sta lavorando a un aggiornamento del software che mostrerà il vero stato dell’account, in modo da sapere chiaramente se si è stati bannato, il motivo e le modalità per fare ricorso”.

Amazon e Apple scommettono su Twitter e investono in pubblicità

Gli incentivi all’attività di advertising decisi da Twitter hanno fatto centro, dal momento che hanno spinto molti inserzionisti a rilanciare le loro campagne sulla piattaforma. In cima alla lista ci sono due società big, come Amazon e Apple. La prima, come riporta la Reuters, si prepara a investimenti per 100 milioni mentre la seconda avrebbe pianificato di riprendere a pieno regime l’attività precedente stabilendo di fatto che maggiore è la quantità di denaro spesa sulla piattaforma, più verranno amplificati gli annunci, generando così un “valore aggiunto” (in termini di “impressions”).

In altri termini, se un inserzionista spende 200mila dollari, otterrà un valore aggiunto del 25%. Se ne spende 350mila, un valore aggiunto del 50%. Se invece investe 500mila, otterrà un valore aggiunto del 100%. Lo sforzo della piattaforma (secondo gli analisti si tratta di incentivi molto generosi) si è reso necessario in seguito all’allontanamento di molti inserzionisti a causa delle nuove policy imposte da Elon Musk al social network. Queste entrate rappresentano più del 90% del totale.

Nonostante gli inserzionisti di ritorno possano essere una buona notizia per Twitter, fonti interne hanno riferito al New York Times che le entrate pubblicitarie della terza settimana di novembre sono state inferiori dell’80% alle aspettative. Proprio il 20 novembre sono iniziati i Mondiali di calcio, storicamente un’occasione ghiotta per Twitter, con traffico record e un grande afflusso di pubblicità. Non questa volta. Le aziende restano prudenti, accettano di fare pubblicità solo per eventi circoscritti e con clausole in cui si afferma che possono cambiare idea per qualsiasi motivo. 

Tutti i numeri

I pesanti tagli al personale imposti dal tycoon, nel primo mese da proprietario della piattaforma, hanno coinvolto i dipendenti che si occupavano sulla moderazione dei contenuti, lasciando scoperta questa attività, con il conseguente proliferare di “fake news“, account falsi e odio online (situazione incentivata anche dal ripristino degli account bannati). Novembre è stato anche il mese del caos degli account verificati e della spunta blu a pagamento: molti utenti hanno approfittato della nuova funzionalità per impersonare account falsi e twittare messaggi pericolosi e dannosi per la reputazione del marchio “impersonato” (Twitter poi ha messo in pausa la funzione, promettendo un rilancio con nuove misure di sicurezza).

Di conseguenza, molte grandi aziende, tra cui il produttore di automobili General Motors, la società alimentare General Mills, il produttore di Oreo Mondelez International, Audi e la società farmaceutica Pfizer avevano interrotto o sospeso la pubblicità su Twitter

Secondo i dati di MediaRadar, a maggio Twitter contava 3.980 inserzionisti. A ottobre il numero è calato a 2.315, mai così pochi. Come da analisi di Media Matters, la metà dei primi 100 inserzionisti di Twitter ha ridotto poi le proprie spese nei giorni successivi all’acquisizione. Nella terza settimana di novembre, le vendite pubblicitarie dell’azienda in Europa, Medio Oriente e Africa sono diminuite di oltre il 50% rispetto alla seconda.

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