di Matteo Renzi*
Nell’editoriale di prima pagina, Claudio Velardi pone una questione dopo aver assistito all’atto di omaggio deferente (leggasi: inchino) di Giuseppe Conte e Elly Schlein verso il congresso di Palermo della corrente della magistratura Area: come può la sinistra di questo Paese – facendo finta di credere che davvero Conte rappresenti la sinistra e Elly Schlein davvero rappresenti questo Paese – diventare così esplicitamente cinghia di trasmissione di Area, Md e di tutte le toghe rosse?
E in altra pagina Aldo Torchiaro scrive delle varie cinghie di trasmissione che legano il nuovo PD alle toghe rosse, alla CGIL, agli imbrattatori travestiti da ambientalisti eccetera. Dunque: se cercate raffinate analisi politiche non leggete questo mio pezzo. Saltate la pagina, a più pari. Avete altri articoli più interessanti da consultare.
Qui infatti vorrei solo mettere in fila e raccontarvi qualche sensazione personale dopo aver visto il congresso di una delle più importanti correnti di magistrati attaccarmi in modo furioso, ad personam. Fa sempre un certo effetto quando una corrente di magistrati fa politica. Fa ancora più effetto quando quella corrente ti prende come bersaglio. Io ormai ci ho fatto l’abitudine. Ma per le Istituzioni è un pessimo segnale.
Cosa avrei fatto di tanto strano? Sono stato accusato di reati inesistenti e anziché gridare al complotto, come va di moda, ho osato fare ricorsi sugli atti – illegittimi – dei miei accusatori. E questi ricorsi sono stati accolti in Corte Costituzionale, Corte di Cassazione, tribunali vari. Intendiamoci: quelli di Area non hanno l’esclusiva sugli attacchi al mio modo di difendermi dai PM fiorentini.
Giornali come Il Fatto Quotidiano su carta e parlamentari come Carlo Calenda sui social hanno scritto che io uso Il Riformista “per bastonare i magistrati”: sarebbe intrigante soffermarci sulla curiosa identità di linguaggio tra il direttore de Il Fatto e il segretario di Azione. Ma qui non abbiamo tempo per occuparci di loro: de minimis non curat praetor.
Torniamo al punto: perché la corrente di Area mi attacca nel suo congresso? Intanto partiamo dal linguaggio. In una intervista a La Stampa il leader delle toghe rosse, Eugenio Albamonte, dice che “Renzi è ubriaco di maggioritarismo”. Ubriaco? Ubriaco. Ubriaco di che? Di maggioritarismo. Che poi era meglio ubriacarsi di Solaia o Masseto, nel dubbio. Sinceramente non so se sia normale che un magistrato possa rivolgersi a un parlamentare dandogli dell’ubriaco.
Se un politico dicesse di un magistrato che è ubriaco, a qualunque ubriachezza si riferisse, sarebbe immediatamente posto sotto processo. Pensate che i PM di Potenza vogliono processarmi per diffamazione per aver detto che l’indagine su Tempa Rossa è stata uno “scandalo” e un “buco nell’acqua”. Siamo in un Paese in cui le opinioni dei parlamentari sono protette dall’articolo 68 della Costituzione ma ci sono alcuni magistrati – chissà se iscritti a qualche corrente – che decidono di processare un parlamentare “colpevole” di aver detto che l’inchiesta su Tempa Rossa che ha portato a interrogare quattro membri del Governo e a dimettersi un Ministro della Repubblica senza che vi fosse alcun reato da loro compiuto è stata “uno scandalo”.
Nel dubbio lo ripeto: il modo con il quale la procura di Potenza ha coinvolto nel 2016 il Governo della Repubblica nella vicenda Tempa Rossa è stato uno scandalo. E il fatto che la procura di Potenza provi a processare un parlamentare per averlo detto non è solo uno scandalo: è un atto eversivo e anticostituzionale. Ma di questo parleremo nei prossimi mesi, perché intendo investire il Senato del problema. Torniamo a noi. Anzi, agli ubriachi.
Renzi ubriaco di maggioritarismo. Può esprimersi così un magistrato, leader di una corrente? A quanto pare sì. E io non ho niente contro chi si ubriaca. Grazie a Salvini ubriacarsi ha i suoi vantaggi: pare che sia l’unico modo per trovare un taxi in questo Paese, a giudicare dall’ennesimo annuncio del Ministro dei Trasporti. E per chi pensa meno a Salvini e più alla poesia – come me, del resto, inguaribile romantico – non possono che tornare in mente le celebri parole di Baudelaire: “Bisogna essere sempre ubriachi. Ecco tutto: questo è l’unico problema. Per non sentire l’orribile peso del Tempo che vi rompe le spalle e vi piega a terra, dovete ubriacarvi senza posa. Ma di che? Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi”.
Dunque, caro Eugenio Albamonte, non mi offendo se lei mi considera ubriaco, ubriaco di maggioritarismo. Mi domando di cosa sia ubriaco lei, cara la mia Toga Rossa, per dire le cose che dice.
Ad esempio quando afferma che io attacco i PM di Firenze colpevoli soltanto di fare il proprio lavoro.
Allora, andiamo con ordine. Sono indagato da anni in un procedimento assurdo per finanziamento illecito ai partiti. Ancora non si è capito quale sarebbe il finanziamento illecito e soprattutto quale sarebbe il partito visto che i soldi sono andati a una fondazione. Fondazione della quale non facevo parte. E vabbè. Ho promesso ai lettori del Riformista che non avrei mai parlato dei contenuti clamorosi della barzelletta “indagine Open”. Rimango fedele all’impegno. Rimango sul generale.
Il PM che mi ha indagato è lo stesso che ha arrestato mio padre e mia madre: l’arresto è stato annullato dal Tribunale della Libertà, essendo un provvedimento del tutto spropositato. Ma nel frattempo ai miei genitori è stata rovinata la vita. Il PM che mi ha indagato è lo stesso che ha indagato mia sorella e mio cognato. La nonna ancora resiste, a 103 anni senza avviso di garanzia. Al momento, almeno. Il PM che mi ha indagato ha violato la Costituzione all’articolo 68 come statuito dalla sentenza 170/2023 della Corte Costituzionale.
Il PM che mi ha indagato ha sequestrato il telefonino ai miei amici più cari e ai finanziatori delle mie iniziative politiche: il provvedimento di sequestro è stato giudicato illegittimo dalla Corte di Cassazione ma intanto i magistrati e in molti casi i giornalisti hanno avuto accesso a tutte le informazioni private di decine di persone che si sentono giustamente violate nella loro intimità.
Il PM che mi ha indagato ha archiviato la mia denuncia per diffamazione contro un vicino di casa che ha detto il falso su di me e sui miei figli.
Il PM che mi ha indagato ha archiviato tutte le denunce contro le fughe di notizie sui documenti privati di casa mia che niente hanno a che vedere con le indagini penali che mi hanno riguardato.
Il PM che mi ha indagato mi ha definito “imputato principale” in Aula nonostante vi siano oltre venti imputati alcuni dei quali con accuse più gravi di quelle rivolte a me: davanti alla legge non siamo tutti uguali? Perché uno è imputato principale e gli altri imputati secondari?
Il PM che mi ha indagato ha mandato le carte che dovevano essere distrutte sulla base di una sentenza della Cassazione al Copasir mettendole a disposizione in modo illegittimo di un organismo parlamentare che non avrebbe dovuto vedere le stesse carte.
Il PM che mi ha indagato è lo stesso che dirigeva la procura quando quell’ufficio rifiutava di sgomberare un immobile occupato da una banda di criminali, immobile nel quale si sono consumati numerosi reati e dal quale è scomparsa una bambina di cinque anni.
Potrei continuare. Davanti a questa incredibile sequela di vergogna non ho “bastonato” nessuno.
Ma ho preso carta e penna e ho fatto ricorso. E ho vinto. E questa cosa manda fuori di testa i miei accusatori. Perché io non ho urlato e sbraitato: ho utilizzato la giustizia e difeso la legalità. Quel PM è stato sconfitto in sede di Corte Costituzionale e in sede di Corte di Cassazione. Adesso dovrà affrontare un procedimento disciplinare e se c’è un giudice a Genova dovrà affrontare anche un procedimento penale nel capoluogo ligure.
Quando chiedo giustizia non sono ubriaco. Sono sobrio. E difendo la legalità. E difendo i giudici seri, a cominciare da quelli della Cassazione e della Corte Costituzionale. E in un Paese civile una corrente di magistrati non attacca un cittadino perché sta semplicemente difendendosi usando gli strumenti della giustizia. I magistrati dovrebbero garantire il diritto di quel cittadino perché questo prevede la giustizia. Quando l’attacco non è al singolo cittadino, ma al cittadino parlamentare allora siamo davanti all’ennesima aggressione politica, l’ennesima invasione di campo.
A Palermo le toghe rosse mi hanno attaccato. E non perché mi hanno detto che sono ubriaco, questa è stata la cosa più gentile. Mi hanno attaccato perché sto dimostrando di credere nella giustizia almeno quanto loro credono all’ideologia. E ho dimostrato che potranno mostrificarmi quanto vogliono: non smetterò mai di combattere per una giustizia giusta.
*senatore, presidente di Italia Viva e direttore editoriale del quotidiano Il Riformista