di REDAZIONE POLITICA
Matteo Salvini è stato ormai messo all’angolo nel suo partito venendo isolato dal resto del centrodestra di governo (Forza Italia) che addirittura invoca l’obbligo vaccinale, oltre ad essere stato scavalcato nei recenti sondaggi da Fratelli d’ Italia, dopo le sue scivolate estive al fianco dei “no-vax” e “no-pass“, che molti dei suoi compagni di viaggio, hanno definito senza tanti giri di parole come “fallimentare”.
Oggi in Consiglio dei ministri, la Lega voterà “sì “al nuovo allargamento dell’obbligo del lasciapassare sanitario che proprio Salvini appena due mesi fa, definiva “una cagata pazzesca“. Una citazione in stile Fantozzi che non ha portato fortuna al segretario leghista, la cui linea controversa sui provvedimenti anti-Covid è stata gradualmente opposta dal pragmatismo del capo-delegazione della compagine di governo Giancarlo Giorgetti e dei governatori regionali leghisti Zaia, Fedriga, Fontana, insomma di quell’“altra Lega” che non resta supina agli ordini del “capitano” Salvini , costituendo una consolidata e sempre crescente rappresentanza di big del partito sensibile alle richieste degli imprenditori del Nord attanagliati dall’incubo di nuove chiusure.
L’attuale segretario della Lega prova a consolarsi con qualche tentativo di spallata al Governo come i tamponi gratuiti invocati anche dai sindacati, ma esclusi con fermezza dal premier Mario Draghi. Ormai si assiste all’atto finale di un “teatrino” salviniano andato in scena lo scorso 4 luglio, quando Salvini, al termine di un faccia a faccia con Draghi, giurava che l’Italia mai avrebbe imitato il modello della “patente” alla francese: “Il premier non è per gli estremismi“. Dopo appena due settimane, per la precisione il 22 luglio, poche ore prima del via al certificato da parte del governo , diceva “Green Pass? Non scherziamo“. Il 26 luglio a provvedimento approvato ed avallato dai suoi ministri, cambiava registro: “Il Green Pass è da cambiare“, ed il giorno dopo cioè il 27 luglio dichiarava: «Un lasciapassare per accedere agli istituti scolastici? Non scherziamo“.
Ma lo “scherzetto” a Salvini arrivava una seconda volta del Consiglio dei Ministri del 9 settembre. Non contento, Salvini ha provato a creare problemi all’esecutivo sei giorni fa: “Qualcuno prevedeva l’obbligo del Green Pass anche per i dipendenti pubblici, grazie alla Lega non c’è”. Non c’era, ma adesso è in arrivo l’estensione del certificato a tutti i lavoratori, decisione peraltro annunciato per primo da Giancarlo Giorgetti, ormai punto di riferimento principale di Draghi e persino oggetto di riconoscenza da parte del leader Pd Enrico Letta: “Sono grato al ministro, il suo è il modo corretto di stare al governo”.
Il segretario del Pd trova campo libero nel segnalare le divisioni del partito che sono rispuntate ieri in commissione, alla Camera ed al Senato, che soltanto il voto di fiducia posta dal governo alla conversione del primo Green Pass ha mascherato. In casa “dem” addirittura c’è chi ipotizza e scommette su una frattura interna alla Lega che veda come alleato di Governo solo la Lega che fa riferimento a Giancarlo Giorgetti anche se al momento, non ci sono segnali di conferma per una divisione interna.
Una cosa però è certa i malumori verso la linea del segretario Salvini, sono sempre più forti, crescono e si insinuano fra parlamentari ed esponenti di governo che si chiedono a cosa sia servita una fiera opposizione a “vincoli e obblighi“, se poi alla fine la compagine della Lega presente nel Governo Draghi li ha approvati tutti, e stando ai sondaggi col gradimento dell’elettorato leghista .
Non sono più sufficienti le campagne “salviniane” su immigrazione e sicurezza a tenere unita ed allineata la Lega: gli attacchi alla ministra dell’ Interno Luciana Lamorgese che ieri hanno movimentato l’aula parlamentare andando ad infrangersi sulla barriera del resto della maggioranza (inclusa Forza Italia) e sul premier Draghi, così come il tentativo di compensare le dimissioni del sottosegretario leghista Claudio Durigon , con quelle richieste da Salvini della Lamorgese, rientra fra le “mission” dell’estate salviniana, che si tramutano in sconfitte politiche, come già avvenne quando voleva dimissionare il precedente premier in carica Giuseppe Conte che lui stesso aveva votato ed accettato nell’instaurare il governo giallo-verde (M5S-Lega).
“Se il motore di tutto è la competizione con Meloni, vediamo quali risultati porterà il 4 ottobre”, dice a Repubblica un deputato leghista, convinto come tanti che dopo le amministrative servirà un chiarimento. Il fronte di chi chiede congressi locali e maggiore democrazia è guidato da Roberto Marcato, assessore e fedelissimo di Luca Zaia, tradizionale rivale interno con cui Salvini in questi giorni ha cercato inutilmente di fare sponda. E non a caso all’improvviso, ieri in casa Lega più di qualcuno ha rimesso in circolo la notizia, rilanciata dalle agenzie di stampa, che la “Lega per Salvini premier è in ritardo pure sul congresso federale”, che si sarebbe dovuto celebrare a un anno dall’approvazione dello Statuto, avvenuta a fine 2018.
Un preavviso di sfratto dalla segreteria o una minaccia anonima alla leadership indebolita sempre di più del “Capitano” Salvini ?