Cara Asia Argento,
comincio col dirti che tu non mi eri mai stata particolarmente simpatica. Mi eri sempre sembrata poco più di una starlette, aiutata da un cognome famoso, e disinibita ma soprattutto a favore di telecamera. Sai, la mia generazione – che pure è quella che più ha lottato contro moralismi e inibizioni e divieti – ha sviluppato tutto un suo moralismo e inibizione verso quelle più giovani e disinibite, ma con un sospetto di tornaconto e/o narcisismo che a noi, madri fondatrici della disinibizione, suona inaccettabile.
Ti chiedo scusa di questo, ma te lo dico perché forse può aiutare un poco a comprendere questa vicenda, che nasce orribile in America tanti anni fa, ma assume qui, oggi, in Italia, tutta una sua sfumatura marroncina a cui concorrono firme famose, amazzoni del web e testate giornalistiche (sia pure di quelle avvezze alle patate bollenti, più che altro: i loro titoli di prima pagina sono ormai un sottogenere del trash). Ti chiedo scusa anche a nome loro.
Purtroppo, sei caduta anche tu nella famosa trappola che ogni giorno inghiotte tante di noi: il rovesciamento delle responsabilità. La colpa della violenza, della molestia, dell’abuso sono tuoi. E il linciaggio nei tuoi confronti è persino superiore, e di tanto, alla riprovazione nei confronti dell’autore di violenze, molestie, abusi. Peraltro c’avete proprio il fisico: tu bella, sensuale, trasgressiva; lui sfatto, butterato, con la silhouette da cinghiale strizzato negli smoking. Ecco imbastito il romanzaccio che colpisce la fantasia.
E anche la trama perfetta perché ciascuna di noi possa impersonale il ruolo migliore: quella-che-non-l-avrebbe-mai-tollerato. Quella che di fronte al maiale che chiede “un massaggio” (talmente vigliacco da non chiamare nemmeno le cose col loro nome, e sminuirle lì stesso, davanti alla vittima, mentre si apre l’accappatoio, suggerendo l’eufemismo come riparo per entrambi, come paravento) avrebbe messo il mondo al suo posto e fatto giustizia per tutte.
Io di me devo pensare che avrei detto di no, perché ne va della mia definizione di me. Devo pensare che avrei rifiutato il cinghiale e tutto il suo sistema (il solito, antico e consolidato: proprio quello in cui prosperano tanti che oggi ti stanno biasimando, proprio quello in cui tutto l’ipocrita star-system, che oggi è tutto un “ma io non sapevo, io non credevo, io non so perché ho taciuto”, è immerso fino al collo). Ma non ne sono mica sicura.
A 21 anni ero inimmaginabilmente cretina e fragile, e tante fragilità nel tempo si sono solo fatte più furbe. Guardo indietro, a quella me, con indulgenza e un certa tenerezza, e vorrei guardare te così, oggi. Quella di 21 anni che non sa fronteggiare il cinghiale e ci si sottomette, quella di 22 che continua a dargli sesso non desiderato – come fanno milioni di donne che non riescono a dire un “no” che fermi i cinghiali, e poi lo trasformano in tanti altri “sì” senza che questo renda la violenza meno violenta e disgustosa. Vorrei abbracciare quella ragazza lontana, e tutte le altre: anche, oggi, quelle che – come me per cinque minuti – hanno pensato “ma io avrei detto no, lei perché non lo ha fatto, anzi poi ha continuato?”.
Per milioni di motivi (e se entrate per un solo pomeriggio in un centro antiviolenza – di quelli che esistono ancora – potreste conoscerne un certo numero). Per la definizione di sé, perpetrando quell’inganno di linguaggio che il cinghiale ha messo in scena con quella sua richiesta di “massaggio”, mica di sesso estorto.
Per la fragilità di chi si sente comunque solo, debole e perdente di fronte a un gigantesco sistema (che sì, ha le fattezze di un cinghiale in accappatoio, grande quanto Godzilla) che non gli consentirà di sopravvivere, dopo.
Per la paura di avere paura, di mostrarla, di doverla sostenere, poi, davanti all’istruttoria ininterrotta di media, pubblico, familiari, amici, coscienza.
Per non dover rispondere alle domande irrispettose, oscene, violente quanto la stessa violenza (vi ricordate la sentenza sui jeans? Vi ricordare Jodie Foster in “Sotto accusa”, violentata su un flipper da cinghiali che si erano sentiti provocati dal fatto che lei fosse provocante?).
Per non sentirsi dire “figliuola, ma tu volevi fare l’attrice: se avessi voluto fare la lavapiatti non ti sarebbe successo”. Dimenticando che invece succede anche a tante lavapiatti, che nemmeno vent’anni dopo lo potranno raccontare.
Per non ammettere che si sta aderendo a un sistema disgustoso, ma non si ha la forza di combatterlo e cercarne un altro (per inciso: sono molti anni che lo cerchiamo tutte, con risultati non incoraggianti, ma indispensabili. Ci auguriamo che anche la tua storia serva a questo)(per altro inciso: se anche esistonodonne che credono nel sistema maschilista o lo usano per vantaggi personali, questo non assolve il maschilismo o condanna le donne, nemmeno quelle che lo sostengono. Sia ben chiaro).
Sei bella, sei famosa, fai una vita interessante, ma non baratterei nessuna delle tue fortune con una sola ora nel letto del cinghiale, cara Asia. Quindi, se c’è qualcuno ansioso di “farti espiare”, sappia che lo hai già fatto.
Tutta la mia solidarietà, dunque, cara Asia, di sorella maggiore che vorrebbe abbracciare non solo le vittime degli altri, ma anche le vittime di se stesse: a cominciare da quelle che si dicono “io avrei detto no” per rassicurarsi, e attaccano te per tranquillizzarsi, col solo effetto di sminuire le colpe dei cinghiali.
Sorelle, non è necessario. Facciamo un gesto di forza vera: riconosciamo le nostre debolezze e abbracciamole. E fanculo ai cinghiali.