L’ex giudice del Consiglio di Stato Francesco Bellomo ritorna agli arresti domiciliari per decisione del Tribunale del Riesame di Bari. La vicenda giudiziaria è quella inerente ai casi di maltrattamento denunciati da quattro donne, una ricercatrice della sua Scuola di Formazione e tre ex borsiste.
Francesco Bellomo secondo l’accusa, imponeva loro assurdi codici di comportamento e persino il “dress code”, cioè il genere di abbigliamento che dovevano indossare , e avrebbe compiuto anche un tentativo di estorsione nei confronti di un’altra ex corsista da lui costretta a lasciare il proprio lavoro in una emittente televisiva locale.
Bellomo fu arrestato l′8 luglio 2019 e ha trascorso 20 giorni agli arresti domiciliari, poi quasi un anno libero ma interdetto e ora è di nuovo detenuto. La vicenda è quella nota dei presunti casi di maltrattamento su quattro donne, tre ex borsiste e una ricercatrice della sua Scuola di Formazione per la preparazione al concorso in magistratura ‘Diritto e Scienza’, e di una presunta estorsione a un’altra ex corsista per averla costretta a lasciare il lavoro in una emittente locale.
Il Tribunale del Riesame di Bari, ha rivalutato la sua situazione cautelare dopo che la Corte di Cassazione, a gennaio scorso, aveva annullato con rinvio il provvedimento del 29 luglio 2019 di revoca degli arresti domiciliari, disponendo la misura alternativa della interdizione per 12 mesi. Una delle ragazze racconta, come scrive il Corriere della Sera,: “Mi ha riportato indietro di tre anni. Non è facile“, ha confidato a un’amica, spiegando come “ogni volta che c’è una notizia sull’inchiesta mi ritrovo a combattere con la mia parte razionale e quella emotiva. Quella razionale è contenta. L’altra invece mi fa ripiombare in uno stato di ansia”. I giudici del Riesame di Bari hanno anche confermato la riqualificazione dei reati contestati da “maltrattamenti” a “concorso in tentata violenza privata aggravata” e “stalking“, e da “estorsione” a “violenza privata“.
La Procura aveva impugnato e la Suprema Corte le aveva dato ragione, definendo la condotta dell’ex consigliere di Stato “lesiva della dignità umana”. Succxessivamente anche i giudici baresi del Tribunale della Libertà hanno ritenuto che Bellomo dovesse tornare in custodia cautelare in attesa dell’udienza preliminare, per il rinvio a giudizio chiesto dal procuratore aggiunto Roberto Rossi e dalla pm Daniela Chimienti, che hanno coordinato le indagini.
Bellomo però adesso rischia il processo non solo per i reati originariamente contestati ma anche di calunnia e minaccia nei confronti dell’attuale presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, all’epoca vicepresidente del consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, e di Concetta Plantamura, rispettivamente ex presidente ed ex componente della commissione disciplinare chiamata a pronunciarsi su Bellomo quando, nel 2017, fu sottoposto a procedimento disciplinare e poi destituito.
Agli atti dell’indagine ci sono le dichiarazioni delle donne, che hanno descritto il ‘dress code’ come un “contratto di schiavitù sessuale” e raccontato di “addestramenti” che sarebbero consistiti in “prove di velocità” a 200 km orari a bordo di una Ferrari o “camminare in zone malfamate”. Dalle donne “prescelte”, inoltre, Bellomo avrebbe preteso che non si sposassero e non frequentassero uomini “sfigati”, arrivando a controllare e sanzionare persino i loro profili Facebook.
Per i presunti maltrattamenti la Procura di Bari ha chiesto il rinvio a giudizio anche per l’ex pm di Rovigo Davide Nalin, mentre l’avvocato barese Andrea Irno Consalvo, organizzatore dei corsi all’interno della Scuola, è accusato di “false informazioni al pm”. in quanto quando venne chiamato a rendere dichiarazioni nell’ambito di questa inchiesta, secondo la Procura avrebbe “taciuto quanto a sua conoscenza” sui rapporti tra Bellomo e le corsiste.
Il Corriere della Sera ha raccontato le testimonianze nel dettaglio:
“Per molte andò così. Bellomo passava dalla didattica a una relazione “sentimentale”. Poi scattava il “controllo, l’imposizione, la denigrazione, l’offesa del decoro e della dignità”, la pretesa di «comportamenti di assoluta di dedizione» il controllo dei social nel timore di relazioni con altri. Persino una ceretta alle 18:45 insospettiva Bellomo: “Si fa quando si mostrano le gambe, cosa che sarebbe accaduta tra 9 giorni”, contestava a una ragazza. Nel rapporto didattico-amoroso c’era spazio per ricatti morali: “Non è normale che rientri a mezzanotte il giorno prima della tua prima udienza. Non autorizzerò più uscite serali. Mentre attendevo che ti facessi viva mi sono fatto una lesione al pettorale. Questo significa avere a fianco un animale. Tu lo sei. È la riprova del tuo Dna malato“.
Uscire indenni era impossibile. Una ragazza ha confidato a un’amica di aver firmato di fatto «un contratto di schiavitù sessuale» e di essere stata punita per aver violato una delle clausole. La punizione era finire sulla rivista «scientifica» della Scuola dove si «pubblicavano dettagli intimi sulla vita privata». E la borsista dice: «Sono terrorizzata dalla reazione… mi stanno facendo paura… non vogliono lasciarmi andare». Poi c’era la richiesta di foto. Una borsista riferisce a un’amica: «Mi vergognavo di quelle foto che sono stata costretta a mettere su Facebook mi facevo schifo da sola mi sentivo messa in vendita».