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25 Novembre 2024 10:02

L’ex ministro Scajola e Chiara Rizzo “contribuirono alla latitanza del condannato per mafia Matacena”. Le motivazioni della sentenza

L’analisi finale dei giudici è che “dal punto di vista oggettivo la condotta di Scajola e della Rizzo è certamente strumentale a consentire a Matacena di protrarre la sottrazione all’esecuzione della pena che gli è stata inflitta a seguito di processo svoltosi con tutte le garanzie previste dall’ordinamento democratico per uno dei reati di massima offensività”.

ROMA – Nelle 1500 pagine di motivazioni della sentenza viene escluso alcun dubbio legittimo che l’aiuto, apprestato da Scajola e dalla Rizzo, in concorso con Speziali, consistette “nell’attuare lo spostamento da Dubai in Libano si legasse funzionalmente all’intenzione dello stesso Matacena di sottrarsi alla cattura poiché attraverso quell’aiuto egli avrebbe potuto assicurarsi condizioni di vita o di sicurezza certamente maggiori di quelle di cui godeva a Dubai mentre, senza quell’aiuto, egli avrebbe dovuto procurarsele diversamente”.

Claudio Scajola

Dopo 120 udienze svoltesi nei cinque anni di dibattimento, per la presidente del collegio giudicante del Tribunale di Reggio Calabria Natina Pratticò e per i giudici Stefania Rachele e Mariarosa Barbierila vicenda dello spostamento di Matacena dagli Emirati Arabi in Libano si inserisce in un piano più articolato di protezione del latitante attraverso un reticolo di rapporti che ha origini precedenti alla stessa decisione di trasferimento del latitante”.

Sono parole pesanti quelle espresse dal collegio giudicante, nei confronti dell’ex ministro degli Interni e dello Sviluppo Economico, attuale sindaco di Imperia, Claudio Scajola. che lo scorso gennaio è stato condannato a 2 anni di carcere (pena sospesa) per procurata inosservanza della pena in favore dell’ex parlamentare  Amedeo Matacena (eletto nelle liste di Forza Italia), attualmente latitante a Dubai dopo la condanna definitiva subita a 3 anni di reclusione per “concorso esterno in associazione mafiosa“.

Amedeo Matacena, Claudio Scajola (in basso) e Chiara Rizzo

Il Tribunale di Reggio Calabra ha condiviso l’impianto accusatorio della Direzione distrettuale antimafia che, nel 2014, aveva arrestato l’ex ministro Scajola con l’accusa di aver favorito la latitanza di Matacena

Nella sentenza vengono ricostruiti i rapporti tra Matacena e l’ex ministro Scajola a partire dalla “comune militanza politica” in Forza Italia, ma anche successivamente. I giudici motivano che che Scajolasi mette a disposizione dell’ex armatore Matacena, introducendolo in nuovi ambienti imprenditoriali, spesso affini a quelli operanti nei settori in cui si era svolta la sua attività di Ministro dello Sviluppo economico, prima, e delle Attività produttive, dopo, e che, quindi, meglio gli consentivano di indirizzarne le iniziative o mettendolo in contatto con personaggi che ne avrebbero potuto agevolare altre, introducendolo in ambienti diplomatici nei quali a Matacena preme accreditarsi come un perseguitato dalla Giustizia italiana e si sono, quindi, mantenuti inalterati durante la latitanza di Matacena”.

Nelle 1500 pagine di motivazioni di sentenza, viene evidenziato “un ruolo di direzione” assunto da Scajola per il tentativo di fuga in Libano. La vicenda che è stata minuziosamente ricostruita nel corso del processo istruito dal Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo che aveva chiesto una condanna a quattro anni e sei mesi bei confronti di Claudio Scajola, mentre per Chiara Rizzo l’ex moglie di Matacena, condannata ad un anno, aveva chiesto undici anni e sei mesi. Per entrambi è stata esclusa l’aggravante mafiosa, e la Rizzo è stata assolta dall’accusa di essere stata complice di Matacena nella gestione dei suoi beni e delle sue imprese.

Secondo il Collegio giudicante non vi sono dubbi sul contributo causale di Scajola nel piano di spostamento del latitante”. Scajola ha sempre dichiarato in questi anni di essere innocente e di aver aiutato la Rizzo in maniera lecita, accreditando la tesi di essere stato mosso da “trasporti” e “sentimenti”, alimentato dalla “fragilità in cui la Rizzo si trovava durante la latitanza del marito, assillata da problemi economici, ma anche provata in ragione della solitudine che provava nel seguire i problemi dei figli senza alcun aiuto”.

Per il Collegio se, per un verso è evidente che i sentimenti di Scajola potrebbero avere rilievo al più sul piano dei motivi dell’agire e non certo scriminarne la condotta non si è esaurita in un aiuto lecito al latitante; per altro verso le risultanze dibattimentali hanno dimostrato l’esistenza di indubbi e consolidati rapporti tra Claudio Scajola e Amedeo Matacena, che andavano ben al di là del legame confinato alla sfera emotiva e sentimentale di due persone adulte, sorto in epoca successiva e del tutto irrilevante nella valutazione dei fatti”.

Matacena, in realtà da latitante, “veniva informato pedissequamente dalla moglie delle iniziative assunte da Scajola in termini di aiuto e assistenza alla donna per farla lavorare o farle riprendere iniziative imprenditoriali interrotte dalla latitanza del marito, ma, soprattutto in termini funzionali a consentire a quest’ultimo di sottrarsi all’ordine di carcerazione, tant’è che la prima persona che Matacena si premura che venga avvisata, tramite la moglie, del proprio arresto è proprio Claudio Scajola.Claudio Scajola. ‘Avverti per primo Claudio, perché Claudio ci è stato molto vicino’, per come Scajola stesso ricorda alla Rizzo durante una conversazione telefonica”.

il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, dr. Giuseppe Lombardo

Secondo il collegio giudicante del Tribunale è stato provato nel processo che Chiara Rizzo  il giorno stesso dell’arresto di suo marito, avvisò per primo proprio l’ex ministro degli Interni, ed i due che fissarono un incontro “clandestino” a Place du Moulin a Montecarlo. Una circostanza questa come si legge nelle carte che “rende fin troppo evidente che a Scajola vengano rappresentati i problemi che il latitante aveva restando a Dubai, evidentemente non risolvibili dai legali di Matacena e di cui non si poteva parlare telefonicamente”. Infatti “è quella la prima occasione in cui a Scajola è dato mandato di ricercare una soluzione che consentisse al marito di continuare a trascorrere la propria latitanza al riparo dalle ricerche dell’autorità giudiziaria italiana, o comunque, di sottrarsi all’ordine di carcerazione di questa”.

Scajola che all’epoca dei fatti era Ministro della Repubblica, anziché rifiutarsi di fornire il proprio contributo e collaborazione alla fuga, entra in azione mettendo in campo quelle che erano le proprie conoscenze. “È certamente inoppugnabile che Scajola si appalti la questione dello spostamento di Matacena – scrivono in sentenza i giudici – trovando un valido interlocutore in Speziali, il quale, consulente catanzarese, ha rapporti di parentela con il leader delle falangi libanesi, Amin Gemayel, anch’egli imputato in un altro troncone giudiziario del procedimento.

Amin Gemayel

Speziali dopo un periodo di irreperibilità, chiese ed ottenne di chiudere il procedimento penale a suo carico, con un patteggiamento ed una pena ad un anno di carcere, così ammettendo di aver provato ad aiutare l’ex parlamentare Matacena a sfuggire all’espiazione della condanna definitiva subita da quest’ultimo per “concorso esterno in associazione mafiosa“.

Il programma illegale prevedevalo spostamento da Dubai in Libano ed il piano prevedeva, solo in un secondo momento, la richiesta di asilo politico in Libano”. Per un buon fine di questa operazione vi fu anche la parteciapzione di soggetti “di elevato rango costituzionale”. Durante il corso del processo processo è stato ricostruito e provato dall’ accusa, come entrambi si adoperano per organizzare il trasferimento di Matacena a Beirut, dove l’armatore siciliana, “avrebbe avuto la garanzia, grazie all’interessamento dell’ex presidente del Libano Gemayel e di un alto funzionario governativo avv. Firas di ottenere asilo politico”.

Il faccendiere Speziali secondo quanto emerso dalle evidenze processuali, aveva “la capacità di mettere in contatto Scajola e Matacena con Gemayel, laddove da questo contatto entrambi ricavavano un vantaggio: Gemayel quello di ottenere l’appoggio politico di Scajola e Berlusconi per il suo rientro in politica e Matacena quello di ottenere l’asilo politico in Libano”. Nella sentenza si legge anche dell’ altro, perché nel corso del processo è stato affrontato anche l’argomento della tentata fuga dell’ex senatore Marcello Dell’Utri fondatore di Forza Italia , arrestato proprio a Beirut, anche lui condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.

Sergio Billè, l’ex presidente della Confcommercio

Due vicende che manifestano “dei parallelismi”. come affermano i giudici nella sentenza sostenendo che “le due latitanze sono maturate nello stesso contesto” delle cosiddette “cene romane”, organizzate dall’ex segretario della Democrazia Cristiana Pino Pizza nel 2013, cene alle quali partecipano sempre Speziali e Gemayel. Ed insieme a loro a tavola anche Emo Danesi, Marcello Dell’Utri e Sergio Billè, l’ex presidente della Confcommercio.

Sempre nella sentenza è scritto ed evidenziato che “L’analisi di quei tabulati consegnava agli investigatori la prova dell’esistenza di rapporti tra Billè Sergio ed il senatore Dell’Utri Marcello, oltre che di Billè con Speziali Vincenzo e di Billè con Scajola Claudio. Il collegio così prosegue: “Se pure i commensali interrogati hanno affermato che, per lo più, le cene hanno avuto ad oggetto argomenti di natura politica italiana ed internazionale ed evidentemente nessuno ha confermato la tesi investigativa secondo cui in quelle cene si organizzò anche la latitanza di Dell’Utri, non sfugge al Tribunale sia la circostanza che Pizza Giuseppe abbia riferito che, durante la cena del Giugno 2013 Dell’Utri e Gemayel si appartarono per parlare di qualcosa sia la coincidenza temporale che è dato registrare tra la cena dell’ottobre 2013 a casa Piazza, a cui partecipo Speziali e Gemayel e Dell’Utri e la proposta fatta da Scajola alla Rizzo il 17-10-2013 di spostamento del latitante Matacena da Dubai in Libano”.

Quindi secondo in giudici siciliani, “si intende dire che è assai verosimile che l’organizzazione della latitanza di Dell’Utri possa essere avvenuta in una di quelle cene, nelle quali non era neppure necessaria l’intermediazione di Billè, atteso che Dell’Utri viene a diretto contatto con Gemayel e con Speziali”. Per i giudicanti “appare evidente che anche il piano di spostamento di Matacena da Dubai e il Libano sia maturato nell’ambito di questi rapporti vischiosi tra personaggi appartenenti al mondo della politica, del commercio, della finanza, dell’imprenditoria, della massoneria (Danesi risulta essere stato affiliato alla loggia P2), che sposso trovano convergenza di interessi nell’aiuto di personaggi che pure sono stati giudicati e condannati per gravi reati di mafia in esito a processi svolti con tutte le garanzie riservate agli imputati in uno Stato democratico”.

Una vicenda rimasta a margine del processo venendo ritenuta soltanto di “colore” rispetto alle condotte illegali degli imputati, “poiché pur non essendo rimasto accertato che a quelle cene ha preso parte anche Scajola (ed anzi con riferimento ad una di esse vi è un riscontro negativo integrato dalla circostanza che Scajola all’epoca di quella cena era fuori Roma) è pur vero che i punti di contatto tra Scajola, Speziali, Billè, Dell’Utri, Gemayel sono tutti rimasti accertati”. Contatti questi che “fanno ritenere, rifuggendo da una lettura frammentaria di tutti gli elementi, altamente verosimile che le due latitanze siano maturate nell’ambito dello stesso contesto con un trade d’union che è stato di certo Speziali Vincenzo, naif quanto pare, ma certamente in grado di intessere legami e relazioni in cui tutti i protagonisti non disdegnavano di essere coinvolti”.

Per portare avanti “l’affaire” da parte di Scajola e Rizzo vi fu un atteggiamento di “estrema cautela” che, secondo la Corte si scontra platealmente con l’impostazione difensiva che rappresentava l’esistenza di un “progetto lecito”.

Il Collegio del Tribunale ha messo in evidenza come questa “alla luce del tenore complessivo dei colloqui intercettati e, più in generale, delle condotte poste in essere dai protagonisti della vicenda, si traduce in nulla più che in un espediente”.

Pertanto in “transfert” di Matacena passava attraverso altri canali. Un fatto che viene riscontrato dall’atteggiamento della stessa Rizzo, “non vuole esporsi intuendo l’illiceità del piano e voglia fare esporre solo Scajola”.
I giudici, comunque, non mettono in dubbio che Scajola possa aver nutrito un trasporto per l’ex moglie di Matacena, tutt’altro. Però si evidenzia anche che lo stesso “non è interamente contraccambiato da quest’ultima”. Ed è anche in questo contesto che ha avuto inizio una sorta di tira e molla negli incontri.

Sottolineano i giudici che da una parte vi è la donna che evidentemente ha mentito a Scajola allorquando ha inventato un pretesto per non incontrare Speziali e che, tuttavia, lungi dal far chiarezza in ordine alle ragioni del proprio comportamento, continua a rassicurare Scajola, allo scopo evidente di non perdere l’opportunità di realizzare un progetto favorevole al marito latitante, che tutti insieme stavano coltivando; d’altra parte, vi è un uomo che, ancorché decisamente invaghito della signora, non ha perso la capacità di coglierne la freddezza e che, a cagione di questo percepito distacco, si rammarica, tanto più per essersi esposto al punto tale da intraprendere un’iniziativa illecita, dopo averne a lungo parlato con la donna in passato”. 

L’analisi finale dei giudici è chedal punto di vista oggettivo la condotta di Scajola e della Rizzo è certamente strumentale a consentire a Matacena di protrarre la sottrazione all’esecuzione della pena che gli è stata inflitta a seguito di processo svoltosi con tutte le garanzie previste dall’ordinamento democratico per uno dei reati di massima offensività”.

Chiara Rizzo, ex moglie di Amedeo Matacena

Chiara Rizzo, quasi 6 anni dopo l’arresto, può tirare un sospiro di sollievo e ringraziare il suo difensore, avvocato Bonny Candido, il quale lo scorso 20 gennaio con un’arringa durata 4 ore, aveva dimostrato che la Rizzo non meritava l’accanimento dell’accusa, con una sentenza che esclude anche la schermatura del patrimonio e, quindi, ottenuto la restituzione delle società e dei conti correnti

L’ avvocato Candido ha così commentato la sentenza di primo grado: “Il Tribunale di Reggio Calabria ha definitivamente escluso ogni collegamento tra Chiara Rizzo e la ‘ndrangheta. Ha inoltre confermato che la mia cliente non ha goduto di fittizie intestazioni del patrimonio di Matacena e per questo, oltre ad essere stata assolta, ha ottenuto la revoca dei sequestri. La condanna ad un anno di reclusione, a fronte di una richiesta di oltre 11 anni, è relativa alla procurata inosservanza della pena e sarà certamente oggetto di impugnazione. Da questa sentenza discende che Chiara Rizzo ha subito una ingiusta detenzione di sei mesi. In questi termini l’odierno verdetto è da considerarsi già un notevole successo che sarà totale nel secondo grado di giudizio”.

I giudici hanno anche disposto la prescrizione per la segretaria di Scajola Mariagrazia Fioredilisi, e l’assoluzione di Martini Politi, collaboratore dell’ex ministro.

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