Gioacchino Natoli ex pubblico ministero del pool antimafia di Palermo è stato iscritto nel registro delle indagini dalla Procura di Caltanissetta per i reati di favoreggiamento alla mafia e calunnia, ed ha ricevuto un invito a comparire per farsi interrogare. La vicenda riguarda un filone dell’inchiesta mafia-appalti, svolta nel capoluogo siciliano agli inizi degli Anni ’90. Secondo alcuni, si tratta del vero movente della strage di via D’Amelio, costata la vita al giudice Paolo Borsellino e a cinque agenti della scorta e a cinque agenti della scorta
La procura di Caltanissetta contesta al loro ex collega Natoli di aver insabbiato l’indagine avviata dalla Procura di Massa Carrara e confluita nel procedimento mafia-appalti per favorire degli esponenti mafiosi come l’imprenditore palermitano Antonino Bonura. Secondo quanto si apprende Natoli, che in passato ha lavorato a stretto contatto con Falcone e Borsellino, i due giudici uccisi nel 1992, non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione il fascicolo aperto dai pm di Massa Carrara e poi confluito nell’indagine madre di Palermo sui rapporti fra i clan e il mondo della politica per l’aggiudicazione degli appalti pubblici.
Gioacchino Natoli, è nato nel 1947 a Patti in Sicilia, è in magistratura dal 1978. Ha cominciato la carriera come giudice al tribunale di Trapani e quindi in quello di Palermo, prima di passare alla procura del capoluogo siciliano , dove è rimasto sinché, nel 1998, è stato eletto componente togato del Csm. Tornato nel 2005 in procura a Palermo, ha fatto parte del pool antimafia insieme a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nominato presidente di sezione del tribunale e successivamente nel 2011 presidente del Tribunale di Marsala. In passato è stato presidente della Corte d’appello di Palermo, con una parentesi da membro togato del Consiglio Superiore della Magistratura, ed ancora prima . L’ultimo incarico prima di andare in pensione è stato quello di capo del dipartimento “Organizzazione giudiziaria”.
L’ipotesi del concorso con Giammanco e l’ ex capitano della GdF Screpanti
Secondo la Procura di Caltannissetta Natoli avrebbe agito in concorso con l’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco, (successivamente deceduto), e con l’allora capitano della Guardia di Finanza Stefano Screpanti. Nell’invito a comparire che il CORRIERE DEL GIORNO pubblica integralmente di seguito in esclusiva Giammanco viene definito dai pm come l'”istigatore“. Secondo l’ ipotesi accusatoria l’ex pm avrebbe aiutato gli imprenditori mafiosi Antonino e Salvatore Buscemi (vicini al “capo dei capi” Totò Riina) ed in seguito diventati soci del Gruppo Ferruzzi, e Francesco Bonura, l’imprenditore e politico Ernesto Di Fresco e gli imprenditori Raoul Gardini, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini (gli ultimi tre al vertice del Gruppo Ferruzzi) ad eludere e sviare le indagini.
PM-NatoliAl magistrato viene contestato in particolare di aver svolto, nell’ambito del procedimento 3589/1991 aperto a Palermo dopo l’invio delle carte da Massa Carrara su presunte infiltrazioni mafiose nelle cave toscane, una “indagine apparente”, “richiedendo, tra l’altro, l’autorizzazione a disporre attività di intercettazione telefonica per un brevissimo lasso temporale (inferiore ai 40 giorni per la quasi totalità dei target) e solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione, per assicurare un sufficiente livello di efficienza delle indagini” e di aver disposto, “d’intesa con l’ufficiale della Guardia di Finanza Screpanti che provvedeva in tal senso, che non venissero trascritte conversazioni particolarmente rilevanti, da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato, dalle quali emergeva la “messa a disposizione” di Di Fresco in favore di Bonura, nonché una concreta ipotesi di “aggiustamento”, mediante interessamento del Di Fresco stesso, del processo pendente innanzi alla Corte d’Assise di Appello di Palermo, sempre a carico di Bonura per un duplice omicidio“.
Natoli non avrebbe avviato alcun fascicolo d’ indagine nei confronti dell’imprenditore Luciano Laghi e dell’imprenditore Claudio Scarafia, “sebbene i due fossero risultati a completa disposizione di Bonura e dei suoi familiari” e inoltre avrebbe chiesto l’archiviazione del procedimento “senza curarsi di effettuare ulteriori approfondimenti e senza acquisire il materiale concernente le indagini effettuate dalla Procura della Repubblica di Massa Carrara”. Infine, secondo i pm di Caltanissetta, “per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche, avrebbe disposto la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci”. Reati questi che sarebbero stati commessi con l’aggravante di aver agito al fine di favorire l’associazione mafiosa “con riferimento agli interessi della stessa nel settore dell’aggiudicazione degli appalti (operazione gestita unitamente al mondo imprenditoriale e a quello della politica)”.
Il presidente della Commissione Antimafia, Chiara Colosimo, parlando delle intercettazioni dei fratelli Nino e Salvatore Buscemi, dopo l’audizione dell’ex pm Gioacchino Natoli, ha reso noto che “La procura di Palermo ha comunicato che i nastri di cui era stata disposta la distruzione erano conservati negli archivi dell’ufficio”.
L’ autodifesa di Natoli
L’ex pm del pool antimafia si è difeso con decisione dalle accuse. dichiarando a caldo all’ Agenzia ANSA: “Sono stato e sono un uomo delle istituzioni e ho piena fiducia nella giustizia. Darò senz’altro il mio contributo nell’accertamento della verità. Non posso dire nulla di più: tutto quello che so di questa storia è ciò che ho detto e documentato in audizione di fronte alla Commissione Antimafia“.
Le audizioni davanti alla Commissione Antimafia
Durante le audizioni da lui stesso sollecitate davanti alla Commissione Antimafia, tenutesi a gennaio e febbraio scorsi, per replicare alla ricostruzione offerta dall’avvocato Fabio Trizzino, genero di Paolo Borsellino di cui ha sposato la figlia Lucia, in relazione alla questione dell’archiviazione sulle indagini riguardanti i fratelli Buscemi, l’ex pm Natoli ha difeso con fermezza il proprio operato. Il tema era quello del “dossier mafia-appalti”, nel quale erano già stati indicati gli affari dei Buscemi con la Ferruzzi-Gardini. Borsellino era a conoscenza del contenuto di quel dossier, avendone richiesto una copia allorquando era a capo della procura di Marsala.
Natoli nell’audizione dinnanzi alla Commissione Antimafia, dichiarò di non aver seguito il procedimento mafia-appalti sostenendo di essersi occupato invece del fascicolo trasmesso dalla procura di Massa Carrara, dichiarando di averlo archiviato perché in tutte le intercettazioni non era emerso nulla di rilevante. “Sono stati narrati come fatti veri quelle che erano soltanto mere ipotesi investigative, se non addirittura dei semplici sospetti”. La Guardia di Finanza in una propria una informativa del marzo 1992 concluse sostenendo che”le intercettazioni non hanno consentito di individuare episodi, circostanze specifiche o altri elementi di fatto” tali da accusare i componenti della famiglia Buscemi.
“Le accuse rivoltemi – affermò Natoli all’Antimafia – si fondano su una ricostruzione degli avvenimenti reali distorta e del tutto destituita di fondamento”.
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