La premier Giorgia Meloni nella conferenza stampa di fine d’ anno slittata a giovedì scorso per motivi di salute, ha acceso il semaforo verde ad un confronto in tv : “Mi impegno volentieri ad un confronto con Schlein. Credo sia normale, giusto che il presidente del Consiglio dei ministri si confronti con il leader dell’opposizione prima della campagna elettorale per le elezioni europee“.
La ragione della soddisfazione e, in parte, dei timori dei Dem, si focalizza in quella definizione di “leader dell’opposizione” usata dalla Meloni, che riconoscendo la Schlein come leader non solo del Pd, ma di tutta l’opposizione, ha messo in crisi i rapporti fra i Dem ed il Movimento Cinque Stelle.
“Come la prenderà Conte?”
Non a caso poche ore dopo le parole della premier, fra gli esponenti del Pd rimbalzava la domanda: adesso come la prenderà Conte? Il timore è che i Cinque Stelle, per non rimanere schiacciati dalle due leader nel corso della campagna per le europee, possano alzare i toni attaccando, non solo la premier, ma la stessa segretaria Dem. Al momento però sondando fonti fra i vertici del M5s niente di tutto questo sembra ancora emergere.
La linea rimane quella del dialogo sui temi con tutte le opposizioni alla ricerca di minimi comuni denominatori sui quali avanzare e costruire proposte unitarie. Il punto sulle Europee, viene aggiunto, sarà fatto alla ripresa dei lavori dopo la pausa natalizia, ma qualche indicazione sul “mood” della campagna elettorale del Movimento già si coglie nelle parole del presidente M5s Conte il quale al termine della conferenza della Meloni, ha criticato aspramente il lavoro del governo in Europa sulla trattativa “Patto di Stabilità-Mes”, rivendicando i 209 miliardi di Pnrr che il suo governo ha “portato in Italia” dopo un braccio di ferro a Bruxelles durato 5 giorni.
Conte: “La Meloni non può scegliersi gli oppositori”
Su questa differenza di “posizionamento” continueranno a battere i Cinque Stelle. Nonostante le rassicurazioni, ai Dem non sfuggono i segnali che arrivano dai potenziali alleati a poche ore dal via libera della Meloni al confronto con la Schlein. Giuseppe Conte, tanto per non cambiare, attacca la presidente del Consiglio affermando che “Meloni può fare le strategie che vuole e scegliere di confrontarsi con chi vuole. Con me ha rifiutato, intimando ai vertici di Fratelli d’Italia il ‘niet’ a una mia presenza ad Atreju. Ciò che non può fare è scegliersi gli oppositori“.
Tradotto in parole più chiare dal “politichense” di Conte, il confronto la Meloni lo può fare con la Schlein, ma il Movimento 5 Stelle non delegherà a nessuno il “fare opposizione”. In gioco c’è, il ruolo del federatore del campo progressista che, per i Dem, i numeri assegnano a Schlein, ma che i Cinque Stelle non vogliono riconoscere arroccandosi: “Non ci facciamo federare da nessuno“, aveva detto Conte giorni fa facendo seguire un attacco diretto alla Schlein: “Se vuole federare, cominci dalle correnti del Pd“. Una posizione ammorbiditasi subito dopo, grazie ad un incontro tra la segreteria dem ed il presidente M5s avvenuto in Transatlantico nel corso del quale sono stati ribaditi i rapporti di amicizia fra i due.
A mettere in guardia la segretaria Dem dall’assumere su di sè il ruolo di federatore è anche un esponente storico del Pd come Goffredo Bettini, sempre impegnato nell’aprire la strada al dialogo fra Pd e M5s: “Invocare un federatore sembra a me prematuro e sbagliato“, dice Bettini per il quale “ogni forzatura politicista e personalistica ingelosisce e moltiplica i sospetti“.
Un rischio che sembra confermato dall’intervista di un esponente di rilievo del M5s come Stefano Patuanelli: “La Meloni è legittimata a confrontarsi con chi vuole, con chi teme meno“. Insomma, la premier avrebbe scelto Schlein perchè meno ‘osticà di Conte. Tutt’altro che una carezza da un dirigente che in passato ha fatto più volte da pontiere tra Pd e M5s.
Quali accordi a sinistra per le amministrative?
Dirigenti Pd vicini Elly Schlein, ribadiscono la necessità di cercare di tenere insieme le forze politiche di minoranza ed opposizione. Anche se va detto, ciò avviene con alterni successi. Se alle prossime elezioni Europee ognuno correrà da solo, considerato che la legge elettorale proporzionale non favorisce le coalizioni, alle regionali e alle comunali si rende necessario un accordo fra le forze di opposizione per avere qualche possibilità di rivincita sulla destra.
Ad oggi, tuttavia, l’accordo fra Pd e M5s è stato raggiunto solo in Sardegna, sul nome della M5s Alessandra Todde, e in Abruzzo, sul nome dell’ex rettore Luciano D’Amico, candidato con la lista Abruzzo Insieme, appoggiate da tutte le opposizioni. In Basilicata Pd e M5s potrebbero trovare la quadra sulla candidatura di Angelo Chiorazzo, sui quali Giuseppe Conte si è tenuto fino ad ora molto prudente. In Piemonte, in particolare, il confronto nell’area progressista sembra essere tutto in salita. Tra M5s e Pd locali i rapporti sono tesi dai tempi della giunta Appendino a Torino.
La circostanza che la città sia attualmente amministrata dal sindaco Pd Stefano Lo Russo, che con l’ex sindaca Appendino ha ingaggiato più di un duello, certamente aiuta ben poco ad un alleanza sicura e stabile. I Dem, come gesto di distensione, hanno sospeso l’iter delle primarie qualche settimana fa, proponendo il nome di Chiara Gribaudo, presidente dell’assemblea Pd, che sembrava poter raccogliere anche il consenso della Appendino. Ma così non è stato e i due partiti sono ancora alla ricerca di un punto di sintesi ed accordo. L’ultima riunione che si è svolta con un confronto durato due ore , non ha portato sostanziali novità, nè sui programmi nè tantomeno sui candidati eventuali. Il rischio è che una “polarizzazione” del confronto fra la Meloni e la Schlein possa portare i Cinque Stelle ad irrigidirsi ancora di più.
Fonti della minoranza Pd invitano a “procedere con le primarie Dem in assenza di un accordo di coalizione“. Il ragionamento è che “mettendo in campo un candidato di peso, sostenuto dal voto delle primarie, le altre forze politiche e le forze civiche si aggregano per forza di cose“.
Quale sede e quale format per il confronto?
La macchina organizzativa nel frattempo comincia a muoversi per concordare location e regole di confronto. Al momento “Nessuna decisione è stata ancora presa“, dichiara il conduttore di Porta a Porta, Bruno Vespa, raggiunto telefonicamente dall’ agenzia AGI. Dal fronte Sky TG24, il direttore Giuseppe De Bellis ricorda e sottolinea che i confronti televisivi fra i leader sono stati spesso ospitati dalla tv all news, definita da De Bellis “la casa del confronto” .
Ma oltre al contenitore, ci sono da definire anche le regole di ingaggio. In passato, sono stati due i formati con maggiore successo. Quello del confronto “aperto”, con botta e risposta fra i duellanti. E quello all’americana, con risposte chiuse alle quali rispondeva prima l’uno, poi l’altro esponente politico. Il primo format è stato scelto da Matteo Renzi e Matteo Salvini nel duello dell’ottobre 2019 proprio nello studio Rai del programma condotto da Bruno Vespa.
Il secondo è il format preferito da Sky, che lo ha utilizzato più volte in occasione delle campagne elettorali e nelle primarie del Pd, mettendo assieme anche più di due candidati. Per quello che riguarda i tempi, la “par condicio” scatterà 60 giorni prima delle elezioni, quindi il confronto dovrà tenersi prima di quella data. Per questa ragione, ieri, la presidente del Consiglio ha dato come indicazione “prima della campagna elettorale”.
Da ricordare che il confronto televisivo tra Enrico Letta e Giorgia Meloni in occasione delle elezioni politiche del 2022, che Bruno Vespa era pronto ad ospitare, venne impedito dalle regole sulla par condicio televisiva e si tenne solo via internet in streaming sul sito del Corriere della Sera .
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