ROMA – L’Economist boccia il Governo italiano che, secondo i suoi analisti, ha fatto scendere nel 2018 l’Italia dal 21° al 33° posto nella classifica globale del ‘Democracy Index’ (Indice della Democrazia). In un quadro generale che vede la testa e la coda della classifica dello stato della democrazia nel mondo rimanere invariata, con la Norvegia in cima e la Corea del Nord in fondo, gli analisti dell’Economist segnalano che per la prima volta negli ultimi tre anni l’indice globale della democrazia a libello globale non si è deteriorato.Ma c
Una stabilità che però nasconde un quadro più complesso dove il profondo disincanto nei confronti della politica, delle istituzioni e dei partiti tradizionali e al continuo declino delle libertà civili è stato controbilanciato soltanto dall’aumento significativo di un parametro, quello della “partecipazione politica” che è però ambivalente. In questo ambito spicca l’indicatore della partecipazione delle donne che è aumentato più di ogni altro. E’ aumentato in generale a livello globale l’interesse nell’informazione politica ma anche nell’azione diretta e nella protesta sia nel mondo reale sia in quello virtuale dei social media.
Democracy_Index_2018Ma come funziona l’indice? L’indice della democrazia redatto dagli analisti dell’Economist fornisce un’istantanea dello stato della democrazia in tutto il mondo per 165 stati indipendenti e due territori. Copre dunque quasi l’intera popolazione mondiale e la stragrande maggioranza degli Stati del mondo (i microstati sono esclusi). L’indice della democrazia si basa su cinque parametri: il processo elettorale e il pluralismo; le libertà civili; il funzionamento del governo; la partecipazione politica; e la cultura politica. Sulla base del punteggio in una serie di indicatori all’interno di questi categorie, ogni paese è quindi classificato in uno dei quattro tipi di regime: “piena democrazia”, ”democrazia imperfetta“, “regime ibrido” e “regime autoritario”.
Se il punteggio globale è rimasto stabile all’interno ci sono stati movimenti contrastanti. Per esempio, un paese, il Costa Rica, è passato da “democrazia imperfetta” a “democrazia compiuta” mentre, all’opposto un Paese come il Nicaragua, è passato da “regime imperfetto” a “regime autoritario.” 42 paesi hanno registrato un calo del loro punteggio totale rispetto al 2017; 48 hanno invece registrato un aumento del punteggio totale. Dal punto di vista della percentuale della popolazione mondiale, un numero inferiore di persone vive in qualche modo in democrazia (47,7%, rispetto al 49,3% nel 2017). Molto pochi di questi che rappresentano comunque una drastica minoranza a livello del pianeta (il 4,5%) vivono in una democrazia compiuta. Poco più di un terzo della popolazione vive sotto un regime autoritario, e una gran parte di questo è rappresentato dalla Cina.
Un desiderio di partecipazione che però, avverte il rapporto, può indebolire ulteriormente il livello di democrazia nel momento in cui premia tendenze populiste e anti-sistema che minano parametri decisivi per la sussistenza di un regime democratico come quello delle libertà civili, il pluralismo e la cultura politica. L’indice della democrazia infatti esamina la coesione sociale, fattore determinante per sostenere una democrazia stabile e funzionante. Il punteggio in questo ambitocontinua da anni a peggiorare e suggerisce un approfondimento della polarizzazione politica che potrebbe sfociare in un indebolimento della qualità del processo decisionale e delle istituzioni. Insomma conclude il rapporto, il “degrado della democrazia” non ha affatto toccato il fondo e l’aumento della partecipazione combinato con la restrizione delle libertà civili, potrebbe rappresentare un mix esplosivo per un 2019 all’insegna dell’instabilità e dei disordini sociali.
In Europa Occidentale l’Italia scende dal 15° al 18° posto, superata da Malta (13a), Spagna (14a), Portogallo (15°) Francia (16a) e Belgio (17°). Fino alla Spagna la democrazia è ‘compiuta’, dal Portogallo alla Grecia (20a) è “imperfetta“, mentre la Turchia, fanalino di coda in Europa, è un “regime ibrido“.
Il caso Italia Un capitolo a parte è dedicato all’Italia e si intitola “Il governo anti-establishment e le minacce alle libertà civili“. L’Italia, sintetizza il rapporto, ha avuto un sostanziale arretramento nella classifica globale dell’indice del 2018 dal 21° al 33° posto. Le cause di questa discesa, sostengono Fiona Mackie, autrice del rapporto, e Agnese Ortolani, analista per l’Ue e l’Italia, sono da ricercare nella profonda disillusione nei confronti della politica e delle istituzioni compreso il parlamento e i partiti politici. Una disillusione che alimenta l’attrazione nei confronti di “uomini forti” che bypassano le istituzioni politiche, e che va di pari passo con un indebolimento della componente della cultura politica dell’indice. Il parametro sulla “Cultura Politica” è sceso da 8,13 a 6,88 punti e quello sui “Diritti Civili” da 8,53 a 8,24 punti, invariato invece quello sul “Pluralismo” (9,58), mentre è salito quello sulla “Partecipazione Politica” da 7,22 a 7,78 punti.
Nell’analisi dell’ Economist questo disincanto è culminato con la formazione del governo “gialloverde” nato all’insegna di un esplicita retorica anti-establishment. Il rapporto considera in particolare la posizione dura presa dal ministro dell’Interno Matteo Salvini sul tema dell’immigrazione, delle minoranze come quella Rom e sulla chiusura dei porti alle navi che trasportano i migranti salvati nel Mediterraneo dalle Ong. Nell’analisi dell’Economist tutto questo contribuisce ad aumentare il rischio di un deterioramento nelle libertà civili. Oltre a valutare in modo esplicito la protezione dei diritti umani e la discriminazione, l’indice della democrazia infatti tiene in forte considerazione quanto un governo invochi nuove minacce come alibi per ridurre le libertà civili. In questa ottica sono state lette l’approvazione del cosiddetto decreto sicurezza, che potrebbe cancellare lo stato di protezione umanitaria per circa 100.000 migranti, la minaccia di sospendere la partecipazione alla missione internazionale destinata a sostenere il Guardia costiera libica e l’adesione del governo italiano al gruppo di Paesi contrari al Global Compct sulle migrazioni.
L’Italia nella classifica globale L’Economist boccia dunque il nostro paese che non solo scende in termini relativi nella classifica globale ma anche in termini assoluti con il voto complessivo che passa da 7,98 a 7,71 punti. In testa alla classifica, che vede comunque i Paesi europei essere maggioritari, rimane la Norvegia (9,87 punti). Seguono l’Islanda (9,58) e la Svezia (9,39), mentre la Nuova Zelanda (9,26) soffia la quarta posizione alla Danimarca (9,22). Si conferma sesto il Canada (9,15), a pari merito con l’Irlanda (9,15), seguita da Finlandia (9,14) e Australia (9,09). Gli Usa (7,96) sono venticinquesimi e la Corea del Nord rimane ultima (167/a a 1,08 punti). L’Italia in Europa occidentale Nella classifica dell’Europa Occidentale l’Italia scende dal 15esimo al 18esimo posto, superata da Malta (13esima), Spagna (14esima), Portogallo (15esimo) Francia (16esima) e Belgio (17esimo). Fino alla Spagna – secondo l’analisi dell’Economist – la democrazia è ‘compiuta‘, dal Portogallo alla Grecia (20esima) è ‘imperfetta‘, mentre la Turchia, fanalino di coda in Europa, è un ‘regime ibrido‘.