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22 Luglio 2024 10:57
22 Luglio 2024 10:57

Lotta alla ‘ndrangheta, operazione DIA e Carabinieri in Lombardia

L’indagine, che ha avuto inizio dall’anno 2019, protraendosi anche nel periodo della pandemia, ha visto coinvolti 68 persone, divise in due sodalizi criminali che, sebbene “operativamente separati per materia” (da un lato il compimento dei reati economico – finanziari, dall’altro, il traffico di droga e le estorsioni), erano entrambi diretti da un medico calabrese, collaboratore di alcune RSA milanesi, già condannato in via definitiva per traffico di sostanze stupefacenti e, soprattutto, figlio dello storico capo della citata cosca, attualmente detenuto in regime di 41-bis a seguito di condanna irrevocabile per associazione mafiosa.

Alle prime luci dell’alba di oggi il personale della Direzione Investigativa Antimafia e i Carabinieri del Comando Provinciale di Monza, con il supporto del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria, su delega dei magistrati Alessandra Dolci, Paola Biondolillo e Sara Ombra della D.D.A. di Milano, hanno dato esecuzione, a un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali nei confronti di 18 persone (7 finiti in carcere, 4 agli arresti domiciliari, 3 con obbligo di dimora e 4 con obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria), indagati, a vario titolo, per associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, all’estorsione ed al compimento di numerosi reati economico – finanziari, i cui proventi erano destinati ad agevolare le attività della ’ndrangheta ed in particolare della potente cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti.

L’indagine, che ha avuto inizio dall’anno 2019, protraendosi anche nel periodo della pandemia, ha visto coinvolti 68 persone, divise in due sodalizi criminali che, sebbene “operativamente separati per materia” (da un lato il compimento dei reati economico – finanziari, dall’altro, il traffico di droga e le estorsioni), erano entrambi diretti da un medico calabrese, Giovanni Morabito, collaboratore di alcune RSA milanesi, già condannato in via definitiva per traffico di sostanze stupefacenti e, soprattutto, figlio del 89enne Peppe Morabito detto ‘u tiradritto, storico capo della citata cosca di Africo in provincia di Reggio Calabria , attualmente detenuto in regime di 41-bis a seguito di condanna irrevocabile per associazione mafiosa.

Giovanni Morabito, nato a Melito di Porto Salvo il 27 novembre 1963 risulta laureato in medicina e chirurgia nel ’90 all’Università di Messina ed iscritto all’ordine dei medici della provincia di Reggio Calabria. La statura criminale di Morabito era tale che, in caso di questioni che sorgevano fra gruppi di spacciatori, interveniva lui personalmente per dirimere eventuali contrasti. “Il territorio è nostro, non puoi venire a casa mia a fare come ti pare” era il tono dei suoi discorsi, intercettati dagli investigatori dei Carabinieri di Monza.

Il primo dei due gruppi, che ha visto la partecipazione di professionisti ed imprenditori, titolari nel centro di Milano di diverse società di consulenza e portatori del necessario “Know how” tecnico- giuridico, è risultato dedito alla commissione dei seguenti illeciti economico-finanziari. I “colletti bianchi” agevolavano la creazione di un sistema di società “cartiere”, di fatto non operative ed unicamente dedite all’emissione di false fatture, volte a fornire una “copertura cartolare” ad inesistenti acquisti di beni e di servizi,  all’unico scopo di creare, a favore di terzi clienti, la disponibilità “in nero” di ingenti somme di denaro contante.

Questi ultimi, infatti, a fronte del bonifico effettuato a pagamento della falsa fattura, ottenevano, al termine di diversi “passaggi” coinvolgenti conti correnti “on line” radicati su banche europee ed extracomunitarie, ingenti somme di denaro, così sottratte a ogni forma di controllo e monitoraggio da parte delle Autorità. Nel corso delle attività investigative, è stato possibile sequestrare circa 50.000 euro in contanti, provento delle suddette F.O.I., nonché ricostruire altre consegne di denaro gestite dall’organizzazione.

Ma non solo, i “professionisti” milanesi in doppio petto, cooperavano alla creazione e la vendita di false polizze fideiussorie, formalmente emesse da uno dei più grossi gruppi bancari nazionali, a favore di imprese e ditte individuali che mai le avrebbero legalmente ottenute, in quanto prive della necessaria solidità patrimoniale e/o dei necessari requisiti di onorabilità. In particolare, tali “false” fidejussioni servivano al consapevole acquirente per garantire, nei confronti di inconsapevoli “terzi”, il rispetto di obblighi derivanti da reciproci rapporti contrattuali. In un caso, le false fideiussioni sono state create a favore di imprese operanti nel settore dei giochi e delle scommesse (che mai avrebbero potuto ottenerle legalmente, in quanto colpite da interdittiva antimafia emessa al termine di indagini riguardanti anche il reato di associazione mafiosa), allo scopo di garantire l’adempimento degli obblighi economici conseguenti al contratto stipulato con il concessionario dello Stato.

Si occupavano persino della commercializzazione di falsi crediti d’imposta “Ricerca & Sviluppo” ceduti a terze società che, consapevoli della loro natura fittizia, li hanno utilizzati per compensare il pagamento di imposte e di contributi previdenziali. Tali crediti erano creati da un’altra organizzazione criminale con sede nella provincia di Napoli e composta da professionisti (commercialisti, periti ed ingegneri), alcuni dei quali già condannati per analogo reato, organizzando truffe aggravate ai danni dello Stato, dirette al conseguimento di finanziamenti ed erogazioni previste dalle norme COVID 19.

Le indagini hanno, da un lato, accertato l’effettiva percezione di tali somme, dall’altro evitato, tramite la tempestiva attivazione delle competenti Autorità, l’indebita erogazione di somme e di benefici economici (nella forma del finanziamento garantito e del credito d’imposta) per circa 2 milioni di euro, per i quali era già stata depositata la prevista documentazione artatamente predisposta. In uno di questi casi, proprio per sfruttare una specifica norma diretta a favorire la capitalizzazione delle società nel periodo della pandemia, erano stati creati, attraverso bilanci contraffatti, fittizi aumenti di capitale sociale, impiegando, anche grazie alla compiacenza di periti e pubblici ufficiali, titoli esteri di dubbio ed incerto valore ed aventi caratteristiche tecniche difformi da quelle previste dalla legge.

L’organizzazione avrebbe reinvestito il provento dei propri reati ed in particolare di quelli commessi a danno dello Stato, nella creazione, congiuntamente ad altri soggetti anch’essi indiziati di appartenere alla ’ndrangheta, di nuove società commerciali che avrebbero operato in settori quali quello edile – sfruttando i benefici dell’ECOBONUS -, della raccolta e del riciclaggio dei rifiuti, del commercio di carburante e della grande distribuzione. Avrebbero sfruttato le conoscenze in materia di imprenditori e pubblici  funzionari come l’allora funzionario amministrativo contabile in servizio presso la Divisione Bilancio e Contabilità Generale della Direzione Generale del Personale e degli Affari Generali del Mit, il quale al momento non risulta ancora essere indagato.

Il secondo dei due gruppi criminali si è reso responsabile di più delitti di importazione, acquisto, trasporto e cessione sul mercato del Nord Italia (Milano, Torino e altre province) ed in Calabria, di centinaia di chili di sostanze stupefacenti (cocaina, eroina, marijuana e hashish) oltre a gestire un’attività di recupero crediti mediante le tipiche modalità utilizzate dalle organizzazioni mafiose anche ricorrendo, quando necessario, all’uso di armi. Allo scopo, il sodalizio disponeva di basi logistiche e operative, ove i sodali potevano incontrarsi e custodire lo stupefacente, quale un magazzino in Paderno Dugnano, telefoni cellulari, intestati a terze persone, cambiati con frequenza e utilizzati per le comunicazioni inerenti l’attività illecita, ed autovetture impiegate per il trasporto dello stupefacente, spesso appositamente noleggiate a tal fine o messe a disposizione da uno degli indagati.

L’indagine ha consentito di ricostruire anche i canali di approvvigionamento esteri e, in occasione di una delle cessioni intercettate, è stato possibile arrestare in flagranza il corriere e sottoporre a sequestro 5 kilogrammi di eroina, inizialmente destinata al mercato calabrese. Sono state documentate innumerevoli compravendite di stupefacente, per un totale di 50 kg di eroina, 150 kg marijuana e circa 50 kg di hashish, provenienti anche dalla Spagna, dall’Austria e dall’Albania ed è stata, altresì, verificata l’apertura di un canale di vendita di cocaina proveniente dal Perù e dal Brasile e destinata ai membri di una nota famiglia di ‘ndrangheta.

Sono state effettuate perquisizioni in abitazioni ed aziende nelle province di Milano, Monza Brianza, Pavia, Varese, Novara, Alessandria, Messina e Foggia, risultate nella disponibilità dei soggetti coinvolti, anche con il supporto di unità cinofile anti-valuta della Guardia di Finanza.

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