di REDAZIONE POLITICA
Nell’ordinanza di custodia cautelare il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, dr.ssa Angela Minunni gli contesta di aver venduto per circa 5mila euro a consegna ad ufficiali del GRU, il “Glavnoe Razvedyvatel’noe Upravlenie”, l’intelligence militare russa all’estero “181 foto di materiale classificato, 9 documenti bollati come “riservatissimo” tra questi nove classificati come riservatissimi, perchè di natura militare, sottratti dai computer di servizio e “47 documenti segreti provenienti dalla Nato” file riservati cioè possibili da consultare soltanto a pochissime persone e dopo una serie di accessi riservati, ed avrebbe ricevuto dal suo contatto russo 4 smartphone Samsung per comunicare. Un modello Samsung S9 come quello che è stato ritrovato nella sua villetta di Pomezia. Il materiale era su una pen drive: c’erano, tra gli altri, 9 documenti classificati come riservatissimi, di natura militare, e 47 documenti Nato considerati “segreti”. I livelli dei documenti top secret sono 4: riservato, riservatissimo, segreto, segretissimo.
Secondo la pm Gianfederica Dito della Procura di Roma il capitano di fregata della Marina Militare, Walter Biot aveva procacciato notizie importanti per la sicurezza dello Stato fotografando i documenti con un cellulare e consegnando poi la scheda microSd contenente gli atti ai russi, in un parcheggio a Spinaceto, una località alle porte di Roma.
“Le modalità esecutive e la natura della vicenda mostrano l’estrema pericolosità del soggetto stante la professionalità dimostrata nel compimento delle azioni” si legge nel provvedimento . Il capitano Biot ha spiegato al magistrato di essere “frastornato per l’accaduto”, sottolineando di voler chiarire la sua posizione “solo dopo aver raccolto le idee”. Secondo il Gip non è stata un’attività isolata e sporadica, infetti dall’ordinanza di custodia cautelare emerge che le sue sono state “modalità esecutive che mostrano in maniera palmare l’estrema pericolosità del soggetto stante la professionalità dimostrata nel compimento delle suddette azione desumibile dai parecchi strumenti utilizzati (4 smartphone) e dagli accorgimenti adottati”.
Nell’ordinanza del Gip Minunni vengono evidenziate le “accurate modalità nell’agire, quali ad esempio l’inserimento della scheda Sd all’interno del bugiardino dei medicinali così come il fatto che dai telefoni in suo possesso non emergono appuntamenti o contatti con l’agente russo” e le “accurate modalità nell’agire, quali ad esempio l’inserimento della scheda Sd all’interno del bugiardino dei medicinali così come il fatto che dai telefoni in suo possesso non emergono appuntamenti o contatti con l’agente russo”. Per il giudice questi sono “elementi sintomatici dello spessore criminale dell’indagato che non si è posto alcuno scrupolo nel tradire la fiducia dell’istituzione di appartenenza al solo fine di conseguire profitti di natura economica”.
Le indagini dell’Aisi (il servizio segreto italiano interno guidato dal Gen. Mario Parente) dimostrano che l’uomo, in servizio all’ufficio politica militare e programmazione della difesa, sarebbe stato reclutato già da alcuni mesi. Al capitano Biot non doveva sembrare rischiosa la facilità delle consegne dei documenti ai russi pianificato dai russi. Gli era stato consegnato uno smartphone dedicato. Tutto quello che deve fare è, grazie al suo N.O.S. (il nulla osta segretezza) visualizzare i documenti Nato di interesse russo sullo schermo del suo computer allo Stato Maggiore Difesa, e scattare con lo smartphone fornito dai russi delle foto dallo schermo per non lasciare traccia della copia furtiva dei documenti militari sottratti dall’ufficiale infedele della Marina Militare italiana.
A Biot bastava salvarle e custodirle nella memoria della mini-scheda SD Kingston estratta dallo smartphone e quindi avvolgere fra le pieghe del “bugiardino” (le istruzioni all’uso) di una scatola di medicine la mini-scheda di memoria contenente le foto sottratte. Operazione questa che veniva effettuata lo stesso giorno di ogni mese, consegnandola con le medesime modalità ai russi, alla stessa ora alla fermata della metro “B” antistante il Palazzo dello sport del quartiere Eur, in un grande parcheggio all’aperto, da almeno tre mesi.
Lo stesso parcheggio dove il capitano di fregata Biot, durante la settimana, arrivava da Pomezia la mattina con la sua autovettura , parcheggiandola per poi aggiungere in metro il centro storico e gli uffici dello Stato Maggiore Difesa. Per fare ritorno il pomeriggio a fine lavoro. Un luogo perfetto per gli incontri riducendo i margini di rischio per non dover usare troppo il telefono. Nel caso il capitano della marina italiana o l’ufficiale-spia russo Dmitrij avessero disatteso l’appuntamento, era il segnale che qualcosa non era andato in porto. Se invece tutto era andato per il verso giusto i due, si spostavano da quel parcheggio fermandosi nella adiacente località di Spinaceto.
Ma i russi del Gru non sapevano e tantomeno si erano accorti di avere addosso gli occhi degli 007 italiani dell’Aisi da oltre un anno. E che negli uffici romani dei “servizi” italiani c’erano ampi fascicoli su di loro, che erano monitorati dal nostro controspionaggio con la stessa scrupolosità con cui il Gru cercava di nascondere le sue azioni, ignorando che tutti i loro contatti finiscono schedati negli archivi dell’ Aisi. I servizi italiani avevano scoperto tutto, ricostruendo le tracce di altre tre consegne avvenute tra il dicembre 2020 e martedì scorso.
Non appena l’Aisi ha la certezza del giorno in cui il capitano di fregata, raggiungerà la fermata della metropolitana per incontrare l’agente russo del Gru, in quello si rivelerà l’ultimo incontro, il sistema di sicurezza che collega i Servizi italiani, ed il dipartimento antiterrorismo della Procura di Roma, il lavoro da 007 si è trasformato in una vera e propria notizia di reato , indagine di polizia giudiziaria, inchiesta della magistratura, provvedimento di arresto. Quindi scendono in campo dell’ Antiterrorismo del ROS dei Carabinieri e l’auto del capitano di fregata Walter Biot viene imbottita di cimici e telecamere. Il russo Dmitrij puntualmente con il suo solito cappellino blu in testa, arriva alla fermata del metro, per salire quindi su un bus (sul quale salgono in incognito anche gli uomini del ROS) con destinazione Spinaceto dove il capitano Biot arriva però con la macchina malconcia di sua moglie Nissan Patrol verde targata ZA576AE al cui interno non c’erano microspie. I due si siedono all’interno dell’abitacolo per lo scambio dei soldi avvolti nelle scatole di medicinali. Ma al contrario dei mesi precedenti, la solita consegna sarà l’ultima e la prima non andata in porto grazie all’immediato intervento dei Carabinieri del ROS che li fermano in flagranza di reato.
I due funzionari dell’ambasciata russa a Roma espulsi dal Governo italiano a seguito della scoperta della loro attività di spionaggio hanno già lasciato l’Italia. Sarebbero di Aleksej Nemudrov, addetto navale e aeronautico dell’ambasciata russa a Roma, e di Dmitrij Ostroukhov, impiegato nello stesso ufficio. Nemudrov un alto ufficiale delle forze armate russe, è il capo “stazione” del Gru a Roma. Alle consegne e al ritiro dei documenti trafugati dal capitano Biot era Ostroukhov, uno della dozzina di uomini del Gru che compongono la stazione romana, che operano accreditati come “addetti militari” e quindi protetti dall’ immunità diplomatica.
Il capitano di fregata Walter Biot avvalendosi della facoltà di non rispondere al Giudice, ha affidato al suo avvocato Roberto De Vita nell’incontro avuto nel carcere romano di Regina Coeli, le sue giustificazioni “Io ho quattro figli, il primogenito che non lavora, due figlie che studiano e la più piccola che ha una grave malattia e necessita di cure particolari. Ho sbagliato ma l’ho fatto per la mia famiglia. Ho avuto un momento di grandissima debolezza e fragilità. Sono stato coinvolto in un meccanismo più grande di me. Avevo un debito che non riuscivo a ripagare“.
“Non avevo alcun interesse politico o ideologico. Non ho mai messo a rischio la sicurezza dello Stato, non ho fornito alcuna informazione di rilievo. Non ho dato alcuna informazione classificata. Non ho mai fornito documenti che potessero mettere in pericolo l’Italia o altri Paesi. Parlerò con i magistrati, voglio rispondere e raccontare tutto” ha detto al suo legale. “È una storia semplice fatta di grande tristezza per grave difficoltà familiare. Oltre ad essere giudicata deve essere compresa” ha sostenuto l’avvocato al termine del colloquio.
Il legale del capitano Walter Biot ha formulato richiesta al Gip di concedere gli arresti domiciliari al capitano della Marina Militare italiana. Richiesta che non ha trovato parere favorevole dalla Procura di Roma. E’ molto probabile che il capitano Biot venga trasferito ed associato al penitenziario di Santa Maria Capua Vetere riservato ai militari.
Sono ancora diversi gli aspetti da chiarire – come evidenzia il Gip Minunni – “Va accertato chi fossero i reali destinatari del materiale segreto e se vi fossero ulteriori soggetti responsabili” cioè, se altri ufficiali infedeli oltre a Biot possano aver venduto documenti riservati a un altro Stato. E’ probabile che anche la procura militare decida di aprire un’inchiesta sulla vicenda, ed i magistrati militari nei prossimi giorni incontreranno i colleghi della procura ordinaria.
La moglie di Biot: “3mila euro al mese non bastavano”
“Mio marito non voleva fottere il Paese, scusate la parola forte. E non l’ha fatto neanche questa volta, ve l’assicuro, ai russi ha dato il minimo che poteva dare. Niente di così compromettente. Perché non è uno stupido, un irresponsabile. Solo che era disperato. Disperato per il futuro nostro e dei figli. E così ha fatto questa cosa…”. Claudia Carbonara parla di suo marito Walter Biot, il capitano di fregata sorpreso a vendere segreti militari ai russi . “Walter era veramente in crisi da tempo – racconta al Corriere della Sera – aveva paura di non riuscire più a fronteggiare le tante spese che abbiamo. L’economia di casa. A causa del Covid ci siamo impoveriti“.
Strano, considerato che l’ufficiale della Marina riceveva uno stipendio fisso di circa 3mila euro al mese dalla Difesa che non è cambiato o diminuito a causa del contraccolpo economico della crisi pandemica: “Tremila euro di stipendio non bastavano più per mandare avanti una famiglia – continua la moglie di Biot – con 4 figli, 4 cani, la casa di Pomezia ancora tutta da pagare, 268 mila euro di mutuo, 1.200 al mese. E poi la scuola, l’attività fisica, le palestre dei figli a cui lui non voleva assolutamente che dovessero rinunciare. Noi viviamo per i figli, abbiamo fatto sempre tanti sacrifici per loro. Niente vizi, niente lussi, attenzione, solo la vita quotidiana che però a lungo andare fa sentire il suo peso“.
“Se solo me ne avesse parlato ne avremmo discusso insieme, avrei provato a dissuaderlo – afferma Claudia Carbonara – invece ha deciso tutto da solo e adesso è un giorno e mezzo che non lo vedo, davvero è a Regina Coeli? Non riesco a parlarci, non riesco nemmeno a trovargli un avvocato. Per 30 anni ha servito il Paese, dalla Marina alla Difesa, a bordo delle navi come davanti a una scrivania. Walter si è sempre speso per la patria e lo ribadisco: anche se ha fatto quello che ha fatto sono sicura che avrà pensato bene a non pregiudicare l’interesse nazionale. Non è uno stupido, lo ripeto. Ora temo la gogna mediatica. Chi non lo conosce lo ha già condannato, lo ha già crocifisso. Lui la patria l’ha servita“.
Resta da capire come faccia a dire che suo marito “ai russi ha dato il minimo che poteva dare. Niente di così compromettente“. Ma lei non sapeva niente ?