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16 Luglio 2024 02:25
16 Luglio 2024 02:25

L’ultima assoluzione per l’ex pm Palamara e per il magistrato Fava

il pm Stefano Fava aveva da subito capito quello che, soltanto ora, i suoi colleghi più autorevoli hanno dovuto riconoscere e prendere atto e cioè che Pietro Amara è un calunniatore, un "avvelenatore di processi". Ma all'epoca dei fatti i vertici della Procura di Roma, con in testa il procuratore capo Giuseppe Pignatone, bloccarono ed impedirono il suo arresto richiesto da Fava.

È l’ultima sentenza per abuso d’ufficio in Italia, emessa Il giorno prima che il reato venisse cancellato dal codice penale con la pubblicazione della nuova legge sulla Gazzetta Ufficiale. Una sentenza che in realtà è una assoluzione dopo un processo durato cinque anni, che conferma quanto fosse vago quel reato. L’imputato ad essere stato assolto dall’accusa di abuso è Stefano Fava, il pm romano che andando all’attacco dei suoi capi Pignatone e Ielo scatenò il terremoto giudiziario noto come “caso Palamara”.

Fava è stato condannato solo per una accusa minore e peraltro una pena quanto mai irrisoria. Mentre il suo collega Luca Palamara, che era finito sotto processo insieme a lui per rivelazione di segreto d’ufficio, è stato assolto con formula piena. Quindi non resta nulla della valanga di accuse che travolsero l’allora onnipotente leader della magistratura italiana, e l’ottimo magistrato Stefano Fava.

La sentenza è stata pronunciata ieri nel tribunale di Perugia, dal collegio presieduto dal dr. Alberto Avenoso, al quale la Procura aveva chiesto di condannare Fava a due anni e Palamara a otto mesi. Al centro del processo i veleni che nel maggio 2019 attraversavano la Procura di Roma, con Fava che chiedeva ripetutamente (ma inutilmente) di poter arrestare il faccendiere Pietro Amara, ex avvocato di Eni, che veniva utilizzato da alcune Procure come teste d’accusa in processi delicati sia a Roma che a Milano.

Fava aveva da subito capito quello che, soltanto ora, i suoi colleghi più autorevoli hanno dovuto riconoscere e prendere atto e cioè che Pietro Amara è un calunniatore, un “avvelenatore di processi”. Ma all’epoca dei fatti i vertici della Procura di Roma, con in testa il procuratore capo Giuseppe Pignatone, bloccarono ed impedirono il suo arresto richiesto da Fava. La situazione deflagrò quando arrivarono a due quotidiani (La Verità ed il Fatto Quotidiano) le carte di un processo che chiamava in causa l’ avvocato Domenico Ielo, fratello del magistrato Paolo Ielo uno dei procuratori aggiunti di Pignatone, per incarichi professionali legati al mondo Eni. Da qui nacque l’inchiesta contro Fava e Palamara, i quali vennero accusati di avere complottato contro Pignatone e il suo entourage, teorema che ieri è stato raso al suolo dalla sentenza di Perugia, nella quale vengono inflitti solo cinque mesi con la condizionale a Fava per avere scaricato i documenti dal server del tribunale di Roma.

Al contrario dell’ ex presidente dell’ ANM e leader della corrente centrista di Unicost, Palamara, il magistrato Stefano Fava era anche accusato del reato di abuso in atti d’ufficio, reato che è stato abolito ieri definitivamente dal Parlamento, per il quale i giudici di Perugia all’ultimo secondo hanno avuto la possibilità ed i tempo di sentenziare ed assolvere Fava sulla questione. Assoluzione che peraltro non potrà essere impugnata dai pubblici ministeri di Perugia.

“Questa sentenza certifica che non ho mai tramato contro nessun magistrato come in maniera roboante avevano titolato i giornali del Sistema” commenta oggi Palamara . Nella reazione dell’ex presidente Anm, l’inchiesta che ieri finisce in nulla è l’altra sponda della manovra dell’operazione che lo stesso giorno degli articoli pubblicati contro Fava portò alla comparsa di altri articoli: quelli che svelavano l’indagine sull’Hotel Champagne, sulle trattative tra magistratura e politica per occupare le cariche di vertice della giustizia. Secondo Palamara, quella riunione e gli accordi aveva come obiettivo bloccare la nomina di magistrati invisi alle correnti di sinistra. “La mia ricerca della verità” – ha dichiarato ieri Palamaracontinuerà per capire chi e perché il 29 maggio del 2019 pubblicò quegli articoli con l’evidente intento di impedire che Marcello Viola potesse essere nominato Procuratore di Roma interferendo con l’attività di un organo di rilievo come il Csm“. Una fuga di notizie sulla quale, guarda caso, nessuno ha mai davvero indagato.

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