All’eta di soli tre mesi gli venne diagnosticato un tumore di cinque centimetri al cervello, un male maledetto, lo stesso male che a Taranto è diventata quasi di consuetudine. Solo poche settimane di vita, quella stessa vita per la quale il suo papà Mauro e la mamma Roberta hanno lottato e sperato fino all’ultimo istante. E’ arrivato ieri l’ultimo abbraccio a quella piccola bara bianca in chiesa a Lama, dove una silenziosa e composta folla di amici e concittadini si si è stretta ed unita intorno alla famiglia per dare l’addio al bambino diventato il simbolo del martirio di tutti i bimbi di Taranto.
Nel 2012 suo padre Mauro Zaratta salì sul palco dove terminava la marcia di una manifestazione post sequestro Ilva, esibendo la foto del suo bambino in un letto d’ospedale. Quel papà che da quel palco chiedeva “A quanti altri bimbi toccherà quella stessa sorte ” ? La risposta è arrivata purtroppo di recente dallo studio Sentieri dell’Istituto superiore della Sanità, che con un report dell’orrore finito su tutti i giornali e le tv d’ Italia, ha accertato ed attestato che a Taranto i bambini muoiono più che altrove. Come Lorenzo e le altre anime innocenti.
Un anima innocente, Lorenzo lo era già da quando, con appena alcune settimane di vita, gli venne accertato un cancro al cervello. Ma che vita stiamo parlando? Quale senso si può dare a una vita innocente stroncata in questa maniera atroce e dolorosa? La risposta non lo può dare nessuno se non chi, come i suoi meravigliosi indomabili genitori Mauro e Roberta, hanno lottato ogni ora a fianco di Lorenzo. Portandolo via dalla sua città con un disperato inutile tentativo di fuga dalla sofferenza e dal dolore, che invece senza pietà, lo ha sempre e e comunque raggiunto.
AVEVA APPENA COMPIUTO 5 ANNI – Lorenzo aveva compiuto 5 anni il 27 luglio. A darne conto, era stato sempre papà Mauro, militare della Marina: “E con oggi siamo a 5 anni amore mio…. Sono 5 anni di pianti, sacrifici, dolore, speranze, rinunce, frustrazioni, rimpianti e corse contro il tempo, ma tutto quello che ho fatto e farò non basterà mai a ripagarti del dono più prezioso che ho ricevuto da te… Mi hai insegnato ad amare la vita!!!! Grazie amore mio, non so dove arriveremo ma una cosa posso promettertela..che papà non ti lascerà mai solo, sarò sempre con te!!!! Ti amo vita mia!!”.
Mauro e Roberta Zaratta avevano deciso di lasciare Taranto, la propria città, le rispettive, pur di provare a salvare Lorenzo. La mamma Roberta all’epoca della malattia lavorava nel rione Tamburi, quel “maledetto” quartiere della città attaccato alle ciminiere, che aveva visto nascere Lorenzo ma non l’avrebbe visto soffrire. Il collegamento di causalità tra inquinamento e malattia forse non sarà mai accertato, ma era certo il “male” da cui i due giovani eroici genitori hanno cercato di sfuggire.
Il tumore di Lorenzo era una “bestia” troppo grande ed invasiva, per sperare di debellarla, di sconfiggerla. Ma per Mauro e Roberta bisognava provarci, lottare in tutte le maniere per combattere il tumore. Una lotta quotidiana e ripetuti cicli di chemioterapia che però, purtroppo, non sono bastati. Il loro bimbo aveva perso la vista, ma non la voglia di lottare, quella voglia che Mauro gridò a tutti al termine di una delle tante manifestazioni (purtroppo inutili) contro l’inquinamento a Taranto.
Ha fatto il giro del mondo quella foto di Mauro che portava un cartellone con il suo piccolo Lorenzo raggomitolato sul letto d’ospedale, attaccato a mille tubicini, accanto a lui la sua mamma-coraggio ed una semplice domanda: «Mio figlio, 3 anni, cancro. A quanti ancora?». «I bambini devono poter vivere serenamente e in salute, bisogna fermare questo massacro. Tutti sappiamo che da quei camini non esce acqua di colonia ma gas in grado di modificare il Dna e provocare errori genetici come quello di mio figlio, Lorenzo ha un tumore al cervello dalla nascita e ha perso la vista. Io spero che continui a vivere e sono qui perché condivido la protesta della gente», ha detto il papà di Lorenzino, che prima di volare in Paradiso ha voluto salutare tutti, ancora una volta nella sua città ove era rientrato solo qualche giorni fa.
«Vi preghiamo di non fare telegrammi, fiori o altro, se volete fate donazioni alla Fondazione ospedale pediatrico Meyer, associazione amico di Valerio o Fondazione Tommasino Bacciotti», aveva chiesto papà Mauro. E tutti lo hanno ascoltato e rispettato. Nella chiesa gremita, urlava un silenzio che tagliava le coscienze. In fondo alla navata dinnanzi all’altare la sua bara e tanti palloncini bianchi.
«Lorenzo appartiene a tutti noi, ha solo sfiorato questo mondo – ha ammonito nella sua omelia il parroco della chiesa, don Mimino Damasi – è difficile trovare parole che possano risultare indicative in un momento che richiede silenzio. Il silenzio che ci dice dell’impotenza, del mistero di una vita appena iniziata ma segnata dalla sofferenza. Eppure davanti alla bara bianca dobbiamo trovare le parole. La dignità è la stessa per tutti e il valore aggiunto lo regala l’amore. Allora la vita di Lorenzo ha senso perché è stato molto amato».
«Un bambino tenace, chiedevo ai suoi zii come stava il combattente – ha proseguito don Mimino – ha voluto insegnarci la forza: è uno scambio di consegne perché niente deve essere lasciato intentato. Tante patologie assediano il nostro territorio, noi dobbiamo rispondere con tenacia e la richiesta del primato della vita. Il suo tragitto è stato breve. In lui dobbiamo vedere il nostro destino di gloria. A Mauro e Roberta dico che non è stato tutto vano, il Signore conosce quanto avete fatto per lui. Passa dalle mani premurose dei genitori a quelle di Dio che gli dà un’altra vita. Esprimo la vicinanza dell’ Arcivescovo Santoro e il suo messaggio affinché non venga lasciato nulla d’intentato e che vita, salute e lavoro possano coesistere». Alle 17,30 insieme ai suoi palloncini bianchi che volavano nel cielo, Lorenzo ha lasciato la chiesa. Ma rimarrà per sempre dentro di noi