Questo il racconto di Nicastri: “A Causarano davo con cadenza quasi mensile somme di denaro in contante. Gli ho consegnato personalmente nei miei uffici circa 100 mila euro, in tranche da 10 mila, 12 mila euro, denaro che poi secondo quanto riferitomi da lui avrebbe dovuto consegnare a Tinnirello, una volta tornato in città”. Nicastri ha svelato anche la provenienza dei soldi per le mazzette. “Il denaro di volta in volta consegnato mi veniva fornito da Francesco Isca, in banconote da 50 e 100 euro”. Isca è un imprenditore trapanese indagato per associazione mafiosa, i pentiti raccontano che veniva finanziato dalla cosche di Calatafimi. Il “re” dell’eolico ha precisato: “Ricordo che in alcune occasioni Isca portò banconote da 500 euro, ma Causarano mi disse che non erano gradite a Tinnirello e dunque fu ridotta la pezzatura”.
I centomila euro sarebbero state solo un anticipo. Al momento della firma per il via libera degli impianti di biometano a Francofonte (Siracusa) e Calatafimi (Trapani) sarebbe arrivato il resto. Dice Nicastri: “I 400 mila euro rimanenti avremmo dovuti farli pervenire a Tinnirello attraverso un conto, per quello che ci ha riferito Causarano, acceso a Malta dove aveva credo interessi societari“. L’imprenditore Barbieri deve invece difendersi dall’accusa di intestazione fittizia, autoriciclaggio e corruzione, le stesse accuse che tengono in carcere Nicastri. Anche questa seconda ordinanza di custodia cautelare è firmata dal gip Guglielmo Nicastro.
Il prezzo della corruzione sarebbe stato 500mila euro. I soldi venivano dall’imprenditore mafioso Francesco Isca, anche lui arrestato, ma il taglio originario delle banconote non piaceva al funzionario e venne cambiato. Cinquencentomila euro, dunque, per un sì che avrebbe consentito al re dell’eolico di avere un progetto approvato da rivendere a grosse imprese del settore incassando fino a 15 milioni di euro. E Tinnirello avrebbe risposto con sollecitudine. “Per la terza e ultima istanza gli uffici si mossero addirittura in un giorno”, racconta Nicastri.
L’indagine
Dunque, ancora una svolta a sorpresa nell’inchiesta della procura di Palermo e della Dia di Trapani che sta portando alla luce un intreccio fra politica e affari. Il 18 aprile, erano scattate alcune perquisizioni fra Trapani, Palermo e Roma, che avevano coinvolto pure l’allora sottosegretario ai Trasporti Armando Siri, indagato dalla procura della Capitale per corruzione: le intercettazioni hanno scoperto Arata impegnato a parlare di una “mazzetta” da 30 mila euro per l’esponente politico della Lega. In ballo, c’era un emendamento che avrebbe dovuto aprire le maglie dei finanziamenti per il mini-eolico.
Il successivo 12 giugno, la procura di Palermo ha deciso di fare scattare il blitz: in carcere sono finiti Arata, Nicastri ed i rispettivi figli, Francesco e Manlio, tutti accusati di aver organizzato una società “occult”a per gestire gli affari dell’eolico e del biometano. Subito dopo il blitz, Nicastri ha deciso di parlare dei suoi affari, e le dichiarazioni rese ai magistrati inquirenti di Palermo sono “blindate” coperte da un rigido segreto istruttorio. Nicastri attualmente per i pm, ha lo status di “dichiarante”, e le sue confessioni vengono vivisezionate e passate al vaglio di magistrati e investigatori. I primi riscontri di queste confessioni hanno portato al blitz di stanotte. E Nicastri continua a parlare. Vi è molto attesa per quello che potrebbe dire (o potrebbe aver già detto) sulla “mazzetta” al sottosegretario Siri.
Le mazzette
Alberto Tinnirello, ex dirigente dell’assessorato regionale siciliano all’Energia, che sarebbe stato al soldo della spregiudicata coppia Arata-Nicastri era già finito agli arresti domiciliari. Secondo la ricostruzione della procura, Tinnirello e Causarano operavano in accoppiata, e quest’ultimo sarebbe stato il tramite fra il “re” dell’eolico e il dirigente regionale.
I “fedelissimi” di Vito Nicastri e Francesco Paolo Arata si muovevano non solo per favorire le pratiche degli amici, ma anche per bloccare la concorrenza. Nel mirino di Tinnirello e di Causarano, rispettivamente dirigente e funzionario del Servizio Terzo, autorizzazioni e concessioni – era finito proprio Barbieri, che da qualche tempo per una questione economica era in aperto contrasto con Nicastri .
In quel momento, la “Sun Power Sicilia” di Barbieri avrebbe dovuto iniziare i lavori per l’impianto fotovoltaico di Melilli e Carlentini, ma Causarano inviò alla ditta una lettera dai toni perentori, con cui chiedeva di produrre al più presto “gli atti attestanti la disponibilità dei terreni”. Condizione posta per ottenere il via libera ai lavori. Ma soprattutto era una mossa raffinata per provare a fare pressioni su Barbieri e farlo tornare sulla strada di Nicastri.
Gli indizi di questa storia sono presenti nelle parole di Manlio Nicastri, il quale lo scorso 30 ottobre si era recato nell’assessorato di viale Campania per parlare con Causarano, e subito dopo era arrivato Tinnirello: “Oggi, sono andato a sistemare la cosa delle turbine… poi sono passato da lì… s’è fermato Tinnirello nella sua stanza che doveva andare a una riunione… gli ha detto “Giacomo vedi che su quella lettera che hai scritto… è successo un casino, sono scesi tutti”, ci fa Tinnirello a Giacomo. E’ sceso De Luca, che è un ingegnere… Che fa parte dell’impianto, che ha buoni rapporti… e dice ha detto un altro nome tipo che è un segretario non so chi,.. e poi c’è il braccio destro di Musumeci (Nicastri ride – annotano gli investigatori della Dia) … dice altre due persone… cinque persone sono tutti incazzati, perché ha dato questi sette giorni”.
Barbieri dopo la lettera-ricatto di Causarano non era rimasto con le mani in mano . Così scrive il gip Nicastro: “Secondo la ricostruzione degli indagati sarebbero stati immediatamente informati gli sponsor politici di Barbieri, che si sarebbero rivolti all’entourage del presidente della Regione Musumeci, che a sua volta avrebbe attivato i vertici dell’assessorato all’Energia, perché chiedessero spiegazioni a Tinnirello”.
Il prezzo della corruzione sarebbe stato 500mila euro. «Ho consegnato a Causarano personalmente nei miei uffici 100 mila euro in tranche da 10-12 mila euro, – racconta Nicastri – denaro che secondo quanto riferitomi da Causarano avrebbe dovuto consegnare a Tinnirello». I soldi venivano dall’imprenditore mafioso Francesco Isca, anche lui arrestato, ma il taglio originario delle banconote non piaceva al funzionario e venne cambiato. Cinquencentomila euro, dunque, per un sì che avrebbe consentito al re dell’eolico di avere un progetto approvato da rivendere a grosse imprese del settore incassando fino a 15 milioni di euro. E Tinnirello avrebbe risposto con sollecitudine. «Per la terza e ultima istanza gli uffici si mossero addirittura in un giorno», racconta Nicastri.
Le amicizie politiche
Arata e Nicastri potevano contare su alcuni fedeli funzionari dell’assessorato all’Energia come Tinnirello e Barbieri, ed anche altri tre funzionari dell’assessorato al Territorio risultano indagati . Arata si era attivato politicamente, con Gianfranco Micciché (il quale era stato attivato da Alberto Dell’Utri, il fratello di Marcello, fondatore di Forza Italia): il presidente dell’Assemblea regionale aveva sollecitato l’assessore regionale all’Energia Alberto Pierobon. Micciche e Pierobon attualmente non sono iscritti nel registro degli indagati, ma dalle intercettazioni emerge una grande disponibilità a ricevere e consigliare Arata. Ma chi erano gli “sponsor politici” di Barbieri?