Sulla questione dello stabilimento siderurgico di Taranto, il più grande d’ Europa, il premier Matteo Renzi, intervistato dal collega Claudio Tito del quotidiano LA REPUBBLICA rivela che il Governo ha in mente un piano d’intervento statale temporaneo per garantire il posto di lavoro ai dipendenti, rilanciare l’azienda e, quindi, rimetterla sul mercato una volta risanata. Una scelta questa che va contro la sua linea di privatizzazioni, ma spiega Renzi “se devo far saltare Taranto, preferisco intervenire direttamente per qualche anno e poi rimetterlo sul mercato”. Una scelta questa che prevede uno sforzo economico per il Governo che dovrebbe protrarsi per 2 o 3 anni: “Rimettere in sesto l’azienda per due o tre anni, difendere l’occupazione, tutelare l’ambiente e poi rilanciarla sul mercato”.
Per risanare l’ILVA dice Renzi “”Stiamo valutando se intervenire sull’ ILVA con un soggetto pubblico. Ci sono tre ipotesi: l’acquisizione da parte di gruppi esteri, da parte di italiani e poi l’intervento pubblico. Non tutto ciò che è pubblico va escluso. Io sono perché l’acciaio sia gestito da privati”, ma non a costo di perdere le acciaierie di Taranto.
Per il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, invece, “sull’ ILVA il presidente Renzi, con un approccio concreto, mette avanti a tutto l’ambiente e il lavoro” e, comunque, “non si tratta di rifare l’ Italsider, come qualche nostalgico dell’acciaio pubblico vorrebbe, ma solo di intervenire per ridare serenità a una popolazione segnata da troppi danni ambientali e di assicurare efficienza e competitività a un’azienda strategica per il paese“.
“Ma Renzi“, ricorda Massimo Mucchetti, presidente della Commissione Industria del Senato, “è anche e soprattutto il premier di questo Paese, e come tale non può più lasciare il caso sulle spalle dei soli ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo. A maggior ragione se il commissario straordinario dell’ ILVA, invoca, sul Sole 24 Ore, l’intervento della Cassa depositi e prestiti, attraverso il Fondo strategico. All’inquilino di palazzo Chigi non potrà sfuggire che un simile intervento costituirebbe una svolta rispetto all’attuale ruolo dello Stato nell’economia“ ed aggiunge “Diversamente, a Taranto gli effetti convergenti della crisi aziendale e dell’emergenza ecologica faranno del più vasto centro siderurgico d’Europa il maggior cimitero industriale del vecchio continente“
Mucchetti che è un illustre collega economico, già vice direttore del Corriere della Sera, e che mastica di industria, banche e numeri come pochi in Italia, ha una sua teoria più che condivisibile. “E’ il momento di dirci la verità. Tener fede al cronoprogramma ambientale senza soldi è impossibile. E i soldi mancano perché l’acciaieria produce troppo poco: 14 mila tonnellate al giorno contro le 21 mila necessarie al mero pareggio. Pesano il cattivo funzionamento della centrale elettrica, sulla cui manutenzione i Riva hanno risparmiato più del giusto; la perdita della prima linea dirigenziale falcidiata dalle inchieste e dalla rottura con la vecchia che teneva in pugno tutto; la scarsità della domanda e la focalizzazione sugli acciai di massa voluta da Emilio Riva e ormai superata. I commissari, prima Enrico Bondi e adesso Piero Gnudi, hanno posto qualche rimedio, richiamando la General Electric e assumendo alcuni manager industriali e commerciali di buona reputazione. Ma alcune decisioni toccano direttamente alla politica. Sui soldi e sulle prospettive“
“il Senato, di sua iniziativa, – spiega Mucchetti – ha messo nelle mani del commissario le chiavi della cassaforte del Fug (il Fondo Unico della Giustizia) così da accedere ad almeno la metà dei fondi sequestrati ai Riva dalla procura di Milano, rendendo attuabile la vecchia norma ormai inefficace. Stiamo parlando di 8-900 milioni, sotto forma di aumento di capitale o di prestito in conto capitale. Con un tale polmone finanziario e con i fondi europei, qualche centinaio di milioni, che potrebbero essere mobilitati ai fini ambientali, l’ ILVA avrebbe migliori chance di costruirsi un futuro con nuovi soci industriali“
“E’ in questo quadro – aggiunge Mucchetti nella sua analisi – che arrivano le dichiarazioni di Gnudi sul Fondo strategico, dal quale ci si aspettano altre centinaia di milioni di capitale di rischio per la normale gestione. Ecco, qui si aprono le questioni politiche di più ampio respiro. Che chiamano in causa palazzo Chigi. I Riva hanno presentato ricorso al Tar del Lazio contro le nomine dei commissari Bondi e Gnudi e contro il piano ambientale, basato sulle prescrizioni dell’ Aia. Se uno solo di questi tre ricorsi andasse a buon fine, salterebbe tutto. Come garantire al socio industriale (ma anche al Fondo strategico della Cdp) di entrare con piena legittimità nella partita dell’ ILVA ? Un conto è trasformare i denari sequestrati in azioni che restano di proprietà dei Riva, ed è già molto”
“Un altro – aggiunge Mucchetti – è espellere il gruppo dei Riva, da una compagine azionaria di cui era ed è ancora il dominus sebbene senza poteri esecutivi. E poi che dire dei contenziosi giudiziari sui rischi ambientali e sanitari? Chi se li prenderà? Se Mittal o altri trovano un accordo con i Riva, amen. Ma potrebbe partecipare in questo accordo anche il Fondo strategico? Secondo la legge, il Fondo e la Cdp in generale partecipano solo a società che fanno profitto. Si temono derive assistenziali. A suo tempo, regnante Enrico Letta – ricorda Mucchetti – Renzi criticò perfino l’ingresso della Cdp nell’ Ansaldo Energia, benché questa impresa guadagni”
“E tuttavia certi vincoli possono anche essere ripensati – conclude Mucchetti – purché si abbia un pò di testa e una strategia. Saremmo infatti di fronte a una svolta radicale dello Stato che torna a fare, se non l’imprenditore, almeno l’azionista. Una svolta che, in generale, non si fa con un tweet e che, nel caso ILVA, avendo cura di gestirne gli effetti sui fornitori, esigerà probabilmente il passaggio all’amministrazione straordinario ex legge Marzano, giusto per non ripetere casi come Alitalia e risolvere alla radice il conflitto con i Riva. Due fronti – quello del ritorno dello Stato azionista e quello della conquista del consenso della città di Taranto verso la nuova ILVA – che meriterebbero l’impegno esemplare e diretto del premier” .
E dalle ultime dichiarazioni odierne, Matteo Renzi sembra aver ascoltato i consigli di Massimo Mucchetti. Per fortuna.