di Antonello de Gennaro
C’era una volta un magazine mensile, Ribalta di Puglia che usciva a singhiozzo, pubblicato da una società cooperativa, dove all’interno fra i soci ed amministratori compariva in qualità di socio-direttore responsabile il compianto Giuseppe (detto Pino) Catapano, un ex-cronista di giudiziaria del vecchio “storico” quotidiano tarantino Corriere del Giorno fondato nel 1947 da mio padre ed altre 3 suoi colleghi- soci. Il Catapano di cui vi parlo è il padre del giornalista Salvatore Catapano attualmente alle dipendenze della sede regionale RAI di Bari, un’ altro giornalista “creatura-miracolata” dalla generosità professionale ed economica di mio padre che lo volle e fece entrare con con sè nella costituita e diretta redazione tarantina del quotidiano Puglia diretto dall’indimenticabile Mario Gismondi edito dalla Cooperativa Olimpico, in cui lavoravo anche io all’inizio della mia carriera , insieme ad un giovane umile (e bravo !) esordiente Lorenzo D’ Alò attuale inviato speciale sportivo della Gazzetta del Mezzogiorno, ed il pubblicista Lino Frascella.
La cooperativa tarantina InkLine all’atto della sua liquidazione avvenuta nel 2001 aveva come rappresentante legale Ida Castello, all’anagrafe, la moglie di Salvatore Catapano, la quale ha riaperto la sua attività con una ditta individuale(InkLine di Ida Castello) avente sempre lo stesso nome della cooperativa da poco liquidata, cioè InkLine con sede legale in corso Umberto 131 a Taranto della quale ha continuato ad utilizzare la carta intestata, inducendo in confusione a causa dell’omonimia delle attività editoriali, persino il dr. Italo Federici giudice delegato alla Sezione Stampa del Tribunale di Taranto.
Dopo una “soffiata” molto bene informata, ed aver fatto formale richiesta scritta al giudice barese dr. Italo Federici del Tribunale di Taranto, abbiamo avuto regolare legittimo accesso al fascicolo relativo alla registrazione in Tribunale della testata giornalistica Ribalta di Puglia . E qui iniziano le sorprese. Infatti all’atto della morte di Pino Catapano che fungeva anche da direttore responsabile, abbiamo scoperto che il 18/01/2005 venne nominato direttore responsabile al suo posto Cosimo (meglio noto come Mimmo) Mazza, che fra l’altro era anche alle dipendenze della redazione tarantina de La Gazzetta del Mezzogiorno, quotidiano che versa in una profonda crisi editoriale, e che esce attualmente grazie agli ammortizzatori sociali ed ai contratti di solidarietà, senza dei quali molti giornalisti e poligrafici avrebbero già perso il proprio posto di lavoro, a causa del continuo crollo delle proprie vendite in edicola.
Con stupore abbiamo scoperto qualcosa che i lettori tarantini, i quali abituati agli articoli notoriamente “anti-Ilva” di Mazza sulla La Gazzetta del Mezzogiorno, si potrebbero e dovrebbero a dir poco stupire nello scoprire che proprio sotto la direzione di Mimmo Mazza, il magazine pubblicava sino al dicembre 2011 la pubblicità dell’ ILVA ed articoli redazionali, o meglio “markette” giornalistiche, in quanto violando le norme di legge sulla professionale giornalistica, ed ignorando la dovuta trasparenza del messaggio pubblicitario, apparivano sul mensile “Ribalta di Puglia” paginate” di informazione a pagamento inneggianti al colosso siderurgico.
Qualcuno potrà obbiettare: ma cosa c’entra Mimmo Mazza con la pubblicità ed i soldi dell’ ILVA. C’entra eccome ! E vi spieghiamo il perchè. E’ infatti con i soldi degli inserzionisti pubblicitari che la ditta editrice della “signora Catapano” poteva pubblicare quella rivista. Ed è con i soldi degli inserzionisti che l’editore pagava il suo Direttore responsabile . Tutto ciò è facilmente presumibile, anzi lo diamo per scontato, visto che che il giornalista Mazza è esponente del sindacato giornalistico di Puglia. Potete mai immaginare un giornalista-sindacalista che lavora in “nero” o gratis per un editore ?
L’articolo 57 del Codice Penale (letto in maniera coordinata con l’articolo 7 della legge 633/1941 e con l’articolo 6 del Cnlg), peraltro, dà al direttore il potere di controllare articoli, rubrica delle lettere, inserzioni e testi pubblicitari. L’ultima parola infatti spetta sempre al direttore responsabile. Ma quell'”ultima parola” evidentemente, Mimmo Mazza preferiva non proferirla.
Ma c’è di più. Il Mazza proprio in virtù della sua intensa attività sindacale, che a Taranto non ha mai risolto un granchè, come i fatti confermano, vista la chiusura di quotidiani, periodici e televisioni, ed il licenziamento di svariate decine di giornalisti rimasti senza lavoro, dovrebbe ben sapere che per contratto, il direttore di un giornale ha la facoltà ed il diritto di non accettare inserzioni pubblicitarie sgradire e poco “trasparenti. Il direttore di un giornale deve evitare la commistione informazione/pubblicità in base alla legge e al contratto collettivo.
Poteva non sapere il giornalista-sindacalista Mimmo Mazza ignorare che nell’ambito del contratto, ad esempio, gli editori hanno assunto l’impegno (articolo 44) a tenere separati chiaramente informazione e messaggi pubblicitari e ciò “allo scopo di tutelare il diritto del pubblico a ricevere una corretta informazione“. I direttori, con la stesura dell’articolo 44 del contratto risalente al 1988, “nell’esercizio dei poteri previsti dall’articolo 6 sono garanti della correttezza e della qualità dell’informazione anche per quanto attiene il rapporto tra testo e pubblicità” ? La legge non ammette ignoranza. E pretende la trasparenza e correttezza dell’ informazione.
Lo ha ribadito e sancito ancora una volta la Terza Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione con la propria sentenza n. 22535 del 20 ottobre 2006 (Presidente Giudice Preden, Relatore, Giudice Durante) “L’obbligo del direttore del giornale di garantire la correttezza e la qualità dell’informazione anche per quanto concerne il rapporto fra testo e pubblicità – ha affermato la Cassazione – deriva dagli artt. 44 CCNL giornalisti e 4 D. Lgs. 74/1992; il contenuto dell’obbligo è di rendere la pubblicità chiaramente riconoscibile come tale mediante l’adozione di modalità grafiche di evidente percezione; lo scopo è di tutelare dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali.”
“La fascia dei soggetti tutelati – ha aggiunto la Suprema Corte – si estende a tutti i lettori senza alcuna distinzione in base al grado di cultura; può, in sostanza, affermarsi che il direttore di giornale deve garantire la correttezza e la qualità dell’informazione; a questo fine è tenuto a verificare se la pubblicità sia chiaramente riconoscibile come tale, distinguendosi da ogni altra forma di comunicazione al pubblico mediante modalità grafiche facilmente riconoscibili; in tale verifica non rileva il grado di cultura dei lettori, essendo a tutti accordata tutela; ove la verifica conduca a risultati negativi, il direttore deve impedire la pubblicazione del testo contenente la pubblicità, incorrendo altrimenti nelle sanzioni comminate dalla legge n. 69/1963“. Cioè la Legge professionale per l’esercizio della professione di giornalista.
Il direttore non può ignorare le norme poste a salvaguardia dei minori e dei soggetti deboli nonché le norme elaborate dal legislatore a tutela dei consumatori (e dei lettori) e soprattutto il principio che “la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta” (articolo 1, punto 2, Dlgs 145/2007). Incalza l’articolo 23 del Dlgs 6 settembre 2005 n. 206 (Codice del consumo), che ha sostituito sul punto il Dlgs 74/1992: “La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale. La pubblicità a mezzo di stampa deve essere distinguibile dalle altre forme di comunicazione al pubblico, con modalità grafiche di evidente percezione”. “La pubblicità televisiva e radiofonica deve essere riconoscibile come tale ed essere distinta dal resto dei programmi con mezzi ottici o acustici di evidente percezione” afferma l’articolo 8 della legge 223/1990 (“legge Mammì”).
Gli articoli 2 e 48 della legge professionale 69/1963 impegnano i giornalisti (a prescindere dalle qualifiche) ad essere e ad apparire corretti, a non ingannare il pubblico, ad essere leali. “Costituisce illecito disciplinare, in quanto contrario al prescritto dovere di lealtà nell’informazione, il comportamento del direttore responsabile di un periodico, che avalli la pubblicazione di una copertina e di articoli dotati di contenuto pubblicitario non chiaramente differenziato rispetto al dato informativo” (Trib. Mi 11/2/1999). “E’ dovere del direttore di un giornale o di un periodico evitare che prodotti reclamizzati vengano confusi con quanto, nella stessa pagina, è argomento redazionale. Il direttore di un giornale deve evitare la commistione informazione/pubblicità in base alla legge e al contratto collettivo” (Cassazione Sezione Terza Civile n. 22535 del 20 ottobre 2006)..
Ma come dicevano i latini “pecunia non olet” cioè “il denaro non puzza” e quindi per Mazza in veste di direttore responsabile (probabilmente è stata l’unica volta che gli hanno fatto dirigere un giornale…) alla fine del 2011 i soldi della pubblicità commerciale dell’ ILVA, e le “paginate redazionali che pubblicava sul periodico Ribalta di Puglia , in cui non si evinceva che non si trattava di informazione vera e propria ma bensì di pubblicità redazionale, andavano più che bene.
A Taranto, o meglio in Puglia, come le vicende di corruzione di giornalisti svelate dalle intercettazioni sull’inchiesta Ambiente Svenduto confermano e comprovano, invece va tutto bene … Se una tale analoga commistione fra informazione e pubblicità fosse successa a Milano, all’ Ordine dei Giornalisti della Lombardia avrebbero aperto nei confronti di Mimmo Mazza un provvedimento disciplinare sulla propria responsabilità di direttore. Infatti, anche secondo il Tribunale di Milano (sentenza dell’ 11/02/1999 a seguito di un ricorso contro la decisione del Consiglio Nazionale dei Giornalisti che aveva a sua volta rigettato il ricorso di un giornalista-direttore di un periodico, contro un provvedimento dell’ Ordine lombardo) “costituisce illecito disciplinare, in quanto contrario al prescritto dovere di lealtà nell’informazione, il comportamento del direttore responsabile di un periodico, che avalli la pubblicazione di una copertina e di articoli dotati di contenuto pubblicitario non chiaramente differenziato rispetto al dato informativo“.
Chissà cosa ne penseranno adesso gli “amici” ambientalisti di Mazza? E sopratutto cosa ne penseranno il suo editore ed il suo direttore Giuseppe De Tommaso alla Gazzetta del Mezzogiorno. O forse anche a Bari per qualcuno…i soldi dell’ ILVA e dei Riva non puzzavano ?
Abbiamo scoperto qualcosa di molto più recente. e cioè che l’editore (Ida Castello) ed il direttore responsabile (Mimmo Mazza) di Ribalta di Puglia, contrariamente a quanto prevede la legge, dal dicembre 2011 ad oggi, non hanno mai più depositato presso la cancelleria della volontaria giurisdizione del Tribunale di Taranto, che gestisce il registro della stampa, le previste copie della rivista diretta da Mazza.
Infatti l’unico atto compiuto e risultante nel registro è l’ultimo cambio di direzione del periodico avvenuto il 22 ottobre 2015, con il passaggio di “consegne” fra Mimmo Mazza e Vittorio Ricapito, un giornalista freelance tarantino, rimasto disoccupato dopo la chiusura del quotidiano TARANTO OGGI , e che funge da addetto stampa all’ Ordine degli Avvocati di Taranto (ingaggiato diversi anni fa dall’ Avv. Angelo Esposito) e collabora saltuariamente da Taranto sull’edizione barese del quotidiano La Repubblica. Una variazione di direzione che sembra alquanto “strana” se non irreale poichè ci risulta che la rivista Ribalta di Puglia non viene più stampata da qualche anno, come ci raccontò qualche mese prima di ammalarsi Salvatore Catapano (e fortunatamente riprendersi), cioè il marito della Castello editore del magazine Ribalta di Puglia.
Ci risulta che il Presidente del Tribunale di Taranto ed il giudice delegato dr. Italo Federici hanno scritto all’editore ed al direttore della rivista “fantasma” Ribalta di Puglia invitando loro a voler depositare in Tribunale tutte le copie mancanti, pena la decadenza e cancellazione della testata, secondo quanto prevedono le vigenti norme di Legge.
Una cosa è certa: quello che accade nel mondo dell’informazione e giornalismo a Taranto, non accade in nessun’altra parte d’ Italia, grazie anche al “silente” Ordine dei Giornalisti. Che forse farebbe a darsi una svegliata !
P.S. Avevamo dimenticato qualcosa: anche i contributi economici ricevuti dal mensile “Ribalta di Puglia” dalla Provincia di Taranto sotto la presidenza di Gianni Florido evidentemente non puzzavano . Si, proprio quel Florido arrestato dalla Procura di Taranto per l’inchiesta Ambiente Svenduto. Ma a Taranto di svenduto c’era anche il giornalismo.