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3 Luglio 2024 11:39
3 Luglio 2024 11:39

Meloni, l’outsider in corsa per Palazzo Chigi

Deputata per la prima volta a 29 anni e giovanissima vice presidente della Camera, diventata ministro a 31 anni. La leader di Fratelli d'Italia è pronta allo scontro all'ultimo voto con il segretario Dem Enrico Letta

C’è chi si ricorda di lei più o meno nella primavera del 2006 , a prendere diligentemente nota in un angolo del Transatlantico, delle istruzioni e consigli da Giulio Tremonti su come si doveva comportare una capace vicepresidente della Camera dei Deputati.

Giorgia Meloni era stata eletta deputata per la prima volta, a soli 29 anni, raggiungendo un traguardo ragguardevole per l’epoca, e solo qualche giorno dopo la proclamazione, era già pronta a salire sullo scranno più alto di Montecitorio, in qualità di presidente vicario in quota di Alleanza Nazionale.

Nelle ore in cui all’interno della coalizione del centrodestra, sembrano scomparsi i dubbi residuali sull’ipotesi della leader di Fratelli d’Italia a presidente del Consiglio, l’episodio tornato alla memoria dei più stagionati frequentatori del Palazzo dice molto sul carattere di quella che potrebbe essere la prima donna inquilino di Palazzo Chigi, e può essere una chiave per comprendere il perché di un “cursus honorus” così rapido.

Molto è stato già spiegato da lei stessa nel suo libro autobiografico che ha avuto un gran successo di vendite, Io sono Giorgia”, ma le vicende dell’ultimo anno impongono un aggiornamento: certamente l’autodefinizione di “secchiona” spiega molte delle fortune della Meloni, ma non può bastare.  Il secchione, per definizione, è colui che ha nell’umiltà e nell’abnegazione le proprie doti principali, e certamente l’immagine della Meloni che ascoltava attenta e deferente Tremonti e prendeva nota, studiando nei minimi dettagli i dossier riflette questo profilo.

Ma il raggiungimento di obiettivi sempre più importanti, fa parte di un altro profilo, quello dell'”outsider“. Chi la conosce bene, non a caso, preferisce fare ricorso a questo termine. Che definisce chi si confronta spesso con la preoccupazione – per non dire ossessione – di dimostrare di essere all’altezza di un ambiente in cui viene percepito come parvenu.

Una volta riuscita a vincere le insicurezze e le diffidenze, Giorgia Meloni è poi sempre riuscita a indirizzare le cose nella direzione desiderata e a far valere la propria determinazione. Della baby outsider vicepresidente della Camera molti colleghi ricordano come da subito seppe condurre con piglio energico – alcune volte forse troppo – i lavori d’aula, così come era outsider nel Fronte della Gioventù, dove era arrivata bussando la porta della sezione, iscrivendosi da semplice attivista, senza provenire da nessuna casata della destra romana.

Giorgia Meloni

Il percorso della leader di FdI rappresenta la storia dell’ultima generazione di politici che si sono sottoposti alla “trafila” classica: con la scalata all’organizzazione giovanile di Alleanza Nazionale, cui ha fatto seguito l’approdo alle prime cariche elettive locali, e infine, al Parlamento nazionale. Molte di queste storie finiscono con quest’ultimo traguardo e quella della Meloni, data la precocità, sarebbe già stata di successo.

La sindrome dell’outsider, invece, ha fatto il resto: la legislatura successiva a quella della vicepresidenza della Camera arriva l’esordio da ministro, che non può che essere delle Politiche giovanili, poi le vicende interne del centrodestra e la rottura traumatica tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi portano la Meloni ad allontanarsi da quello che era stato il suo mentore, a non seguirlo nell’esperienza di Futuro e Libertà per “dare una nuova casa alla Destra” con la fondazione di Fratelli d’Italia assieme a Ignazio La Russa e Guido Crosetto.

Una forza nata anche come conseguenza dello stop alle primarie aperte nel Pdl, imposto da Berlusconi. E anche in questo caso, si parte con la sfida di essere la prima donna leader di partito (e attualmente l’unica) per giunta di destra, un territorio considerato generalmente più chiuso alla presenza femminile in politica.

Gli inizi, come è noto, non sono dei più incoraggianti: FdI non arriva al 2 per cento alle Politiche del 2013, migliora alle Europee l’anno successivo ma non supera lo sbarramento e non elegge deputati a Strasburgo. Cresce ma non troppo alle Politiche del 2018, quando prende il 4,3 per cento, contro il 14 per cento di Forza Italia e il 17,4 per cento della Lega di Matteo Salvini. Poi, la decisione di non entrare nel primo governo Conte assieme all’alleato Salvini, un’ipotesi che a un certo punto parve concretizzarsi, per poi sfumare definitivamente.

Alle Elezioni Europee del maggio 2020, nelle quali il partito di Salvini raggiunse il 34,3 per cento, FdI ha ottenuto il 6,4 per cento, un incremento non paragonabile al raddoppio della Lega e non sufficiente a operare un sorpasso su Forza Italia (allora all’8,8 per cento). Ma è con l’esperienza di governo di Salvini e l’inizio della fase calante di FI che le cose cominciano a cambiare: la non partecipazione con l’esecutivo gialloverde (1° governo Conte) paga, così come paga l’utilizzo sempre più penetrante della comunicazione sui media e sui social.

Il tutto affiancato da una nota abilità oratoria. Il 2019, in quest’ottica, è l’anno decisivo: vengono eletti i primi governatori di Fratelli d’ Italia in Abruzzo, nelle Marche ed in Sicilia, i primi risultati a doppia cifra in alcuni territori, il sorpasso su Forza Italia. E come spesso accade, c’è un momento che simbolicamente suggella l’ascesa della Meloni:cioè quello del discorso alla manifestazione unitaria del centrodestra a Roma della fine di ottobre, in piazza San Giovanni, l’ormai celebre “Io sono Giorgia, sono una madre, sono una cristiana“, ben presto diventato virale, che ha contribuito, contrariamente alle intenzioni di chi aveva diffuso in Rete “meme” e remix, ad aumentare la popolarità e la simpatia in favore della leader di FdI.

Secondo il parere di tutti gli addetti ai lavori, fu proprio “Giorgia” a rubare la scena agli altri due leader e a galvanizzare gli animi della piazza. Il gradimento nei suoi confronti fece registrare un’impennata, con percentuali che sono schizzate oltre il 45 per cento. E proprio in questa fase, Meloni e il suo partito hanno acquisito quel rilievo internazionale, impensabile fino a qualche mese prima, culminato con la nomina a presidente dell’Ecr, grazie anche al lavoro “diplomatico” di Raffaele Fitto.

Anche all’Estero iniziano ad accorgersi della Meloni: il New York Times la inserisce nei 20 personaggi mondiali emergenti che “potrebbero disegnare il futuro” e il Financial Times le predice un futuro da premier. Molti se la ridono, ma lei decide di resistere in Italia anche alle sirene del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, scommette sull’implosione della maggioranza e vince.

L’evoluzione della Meloni è storia di questi giorni: l’ascesa nei sondaggi (attualmente FdI è stimata dai sondaggi attorno al 22 per cento) e l’ultima battaglia: quella per ottenere il via libera alla candidatura a premier nel caso FdI ottenga più voti degli altri partiti di centrodestra. Al vertice decisivo, Salvini e Berlusconi a un certo punto se ne vanno, lasciando il dossier “premiership” e collegi ai suoi più stretti collaboratori, mentre la Meloni, da brava inguaribile “secchiona” resta fino alla fine per sincerarsi di ottenere ciò che vuole.

Anche in questo caso, le cose si indirizzano nel verso desiderato, con una campagna elettorale che sta prendendo la piega di uno scontro tra la sua personalità e quella del segretario dem Enrico Letta, diverso dalla Meloni in moltissime cose, prima fra tutte quella di non poter certo essere considerato un outsider.  Letta ha detto che l’Italia dovrà scegliere tra lui e noi. E vero: noi vogliamo un ritorno del bipolarismo e questo confronto non ci spaventa – conclude -. Quando la storia chiama bisogna rispondere e noi non ci siamo mai tirati indietro. Tanto meno lo faremmo adesso”

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