di Giorgio Assennato*
Nella confusa vicenda dell’ex-Ilva di Taranto occorre trovare una via d’uscita dal doppio stallo che paralizza ad oggi le istituzioni locali. Il primo riguarda la Regione. E la sua richiesta di riesame dell’Aia. Il Ministero dell’Ambiente fa presente alla Regione che la richiesta potrà essere esaminata in presenza di nuove evidenze scaturite dal Piano Regionale di Qualità dell’aria, un piano che si basa sui dati delle centraline di Arpa Puglia.
Ma, a partire dal 2012, anno dell’intervento della Magistratura tarantina, i dati di qualità dell’aria nel quartiere Tamburi, per tutti gli inquinanti monitorati, sono abbondantemente nei limiti previsti dalla normativa (e questa è comunque, a mio parere, una buona notizia per i cittadini di Taranto). Né d’altra parte la Regione può chiedere il riesame dell’Aia sulla base della Valutazione del Danno Sanitario, perché per Ilva non si applica la legge regionale 21 del 24 luglio 2012, ma il Decreto Interministeriale del 24 aprile 2013 (noto come decreto Balduzzi-Clini) che non prevede il riesame dell’Aia per criticità sanitarie anche se acclarate, essendo possibile il riesame soltanto in caso di superamento dei valori soglia degli indicatori di qualità dell’aria urbana.
È evidente quindi che, sic rebus stantibus, la Regione Puglia non ha alcuna concreta possibilità di richiedere il riesame dell’Aia. Il secondo stallo riguarda il sindaco di Taranto Melucci, che minaccia il ricorso ad una ordinanza di chiusura dell’area a caldo del siderurgico. E qui siamo al dèjà vu. Gia nel 2010 il sindaco Ippazio Stefàno emise una simile ordinanza, fondata su dati Arpa ben più critici rispetto agli attuali, ordinanza che fu cassata dal Tar.
La normativa vigente infatti consente al sindaco, come massima autorità sanitaria del comune, di intervenire nelle conferenze dei servizi decisorie dell’Aia e di pretendere, accertata la criticità sanitaria causata dalle emissioni, prescrizioni più rigorose rispetto a quelle previste dalla commissione istruttoria ministeriale. Non c’è quindi alcun motivo per far ricorso ad uno strumento straordinario.
A dare supporto alla mia opinione, e quindi ad una eventuale richiesta di riesame dell’Aia da parte del sindaco, è lo stesso direttore del Dipartimento per le autorizzazioni ambientali del Ministero dell’Ambiente, Giuseppe Lo Presti. In un intervento pubblicato sulla rivista di Arpa Emilia-Romagna, scritto in replica ad una mia nota, egli precisava che «l’istruttoria tecnica (…) non prevede direttamente valutazioni sanitarie; queste sono eventualmente introdotte nel procedimento (Aia) da parte dei soggetti a ciò abilitati, in base a valutazioni istruttorie loro proprie. In particolar modo la norma richiama e fa salvi i poteri del sindaco (…) che vengono esercitati con apposite prescrizioni in sede di conferenza di servizi ovvero con la possibilità di chiedere un riesame volto a stabilire condizioni di esercizio più severe per acclarati motivi sanitari“.
Il Sindaco di Taranto dovrebbe quindi utilizzare le criticità sanitarie per rompere il doppio stallo istituzionale sopra citato.