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26 Dicembre 2024 13:21

Messina Denaro: “Non svenderò la mia dignità, ho un codice d’onore da rispettare”

Ecco cosa scriveva il Boss prima dell’arresto: "Non andrò mai via. Lo devo a tanti amici che sono rinchiusi e che hanno ancora bisogno, lo devo a mio padre, e a me stesso per tutto quello in cui ho creduto e per tutto quello che sono stato"

Matteo Messina Denaro deve rispondere di ben 12 ergastoli da scontare sulla propria fedina penale, omicidi, stragi. Essere rinchiuso in una cella di massima sicurezza, praticamente blindato, deve essere traumatico per un boss come lui che fino a lunedì scorso non aveva mai trascorso una sola ora in una cella, e che ha vissuto una latitanza dorata, con spese da 10 mila euro al mese, e potrebbe diventare una occasione per riflettere.

Nella corrispondenza tra il numero uno della mafia trapanese e belicina, Matteo Messina Denaro, alias Alessio, e Antonio Vaccarino l’ex sindaco di Castelvetrano, alias “Svetonio“, che in nome e per conto del Sisde (il vecchio servizio segreto italiano interno), a seguito dell’arresto nel 2006 di Bernardo Provenzano boss della mafia corleonese , tentò di snidare il boss castelvetranese Messina Denaro dalla latitanza, viene di fatto anticipata l’attuale condotta del boss arrestato dal Ros dei Carabinieri.

L’assoluto silenzio che ha contraddistinto questi suoi primi giorni da ergastolano finito in carcere parla più di mille proclami. Corre voce che analogo invito a collaborare con la giustizia gli sia stato rivolto anche dai magistrati ed ufficiali dell’ Arma dei Carabinieri che gli hanno parlato prima che venisse tradotto da Palermo al carcere di massima sicurezza L’Aquila, , e lui avrebbe risposto in modo affermativo, “rifletterò non come pensate voi” con due semplici parole avrebbe fatto intendere che le sue riflessioni sarebbero altre. Nell’epistolario con “Svetonio“, alias di Vaccarino, nel frattempo deceduto, il suo comportamento di oggi veniva ampiamente anticipato.

Mattreo Messina Denaro arrestato dal Ros dei Carabinieri

Matteo Messina Denaro scriveva di condividere il pensiero di Toni Negri, il leader di Autonomia Operaia, affermando che è la magistratura a sovvertire ogni ordine e il boss bollava come “Torquemada da strapazzo” i magistrati, accusandoli di avere avviato “un golpe bianco“. Si definiva un novello Benjamin Malaussene (personaggio di Pennac, “capro espiatorio“), ad un certo punto pareva scrivere di una battaglia perduta, “abbiamo vinto le alluvioni e la pestilenza, con la legge non si è potuto, abbiamo perso” e poi però aggiungeva “la sconfitta forgia non la vittoria“.

Quindi ben altro che pronto a riconoscere la sconfitta con il suo stesso arresto: “… Io non andrò mai via di mia volontà, ho un codice d’onore da rispettare. Lo devo a papà e lo devo ai miei principi, lo devo a tanti amici che sono rinchiusi e che hanno ancora bisogno, lo devo a me stesso per tutto quello in cui ho creduto e per tutto quello che sono stato. Ad onore del vero se avessi voluto già me ne sarei andato da tempo, ne avevo la possibilità, solo che non ho mai tenuto in considerazione quest’ipotesi perché non fa parte di me ciò; io starò nella mia terra fino a quando il destino lo vorrà e sarò sempre disponibile per i miei amici, è il mio modo tacito di dire a loro che non hanno sbagliato a credere in me. …

In quelle lettere riteneva impossibile poter pensare ad una collaborazione, contestava il ricorso dello Stato ai pentiti, sostenendo che “l’istituzione Stato facendo così ha fallito…Facciano sempre così, tanto ci saranno uomini che avranno una propria dignità“. “Quando uno stato ricorre alle torture per vendetta, quando porta alla delazione gli esseri più deboli, mi dica che stato è, uno stato che fonda la sua giustizia sulla delazione che stato è, di certo le delazioni hanno fatto fare carriera a certi singoli ma come istituzione lo stato ha fallito. Hanno istituito il 41 bis (cioè il carcere duro ndr), che mettano anche l’82 quater, tanto ci saranno sempre uomini che non svenderanno la propria dignità.

L’unica cosa sulla quale ha cambiato idea, è il fatto di aver rinunciato ad un difensore di fiducia, nei processi in cui è stato giudicato da latitante. Sempre a Vaccarino ne ha spiegato la ragione della scelta di affidarsi ai difensori nominati d’ufficio: “Hanno detto – spiegava a Vaccarino alias “Svetonio” – che ho voluto lanciare una sfida, non è vero, ho valori più nobili, non potevo partecipare a tutti questi misfatti“. Adesso ha un difensore di fiducia, l’avvocato Lorenza Guttadauro, sua nipote diretta, la figlia della sorella, Rosalia Messina Denaro. Ma in quella corrispondenza c’è qualcosa che si riscopre negli appunti trovati dai Carabinieri nel suo ultimo covo di Campobello di Mazara. Il pensiero mai svanito nei confronti della figlia avuta da Francesca Alagna, che nel frattempo lo ha anche reso nonno. Matteo Messina Denaro ha continuato, così si legge dai suoi appunti, a cercare un rapporto con lei, confidando a Vaccarino che “solo da lei accetterò l’unico giudizio“.

In quella corrispondenza con Vaccarino se la prendeva in maniera brusca con Provenzano, per i “pizzini” che Binnu custodiva con se nella fattoria di Montagna dei Cavalli a Corleone, dove la Polizia andò a scovarlo mentre per i più passava come un “fantasma“. “Ha rovinato a tutti”, scriveva Matteo Messina Denaro, per avere conservato l’archivio dei pizzini che scriveva con la carta carbone.

Lui non è stato da meno. D’altra parte proprio Matteo Messina Denaro nella corrispondenza con Provenzano, gli diceva che lui aveva scelto di ispirarsi al vecchio Binnu. In quei pizzini si riferiva alla condivisa scelta di sommersione della mafia, basta stragi e delitti, Cosa nostra nella mani di Provenzano prima e di Messina Denaro, dopo la cattura di Totò Riina e la stagione delle bombe del 1993, era diventata una “holding” di imprese, di business. Ma come Provenzano anche Matteo Messina Denaro ha commesso i propri errori. Se si fosse fatto curare come privato e non attraverso le strutture convenzionate con la sanità pubblica, non sarebbe mai stato tracciato dentro l’archivio del Servizio Sanitario Nazionale. I carabinieri è stato proprio attraverso nomi e codici sanitari che sono risaliti a lui, riuscendolo a catturare lunedì scorso 16 gennaio dopo 30 anni di latitanza, arrestandolo nella clinica La Maddalena di Palermo.

Secondo alcuni giornalisti evidentemente poco attendibili che avevano scritto che Lorenza Alagna, 27 anni, figlia di Messina Denaro, in questi giorni avrebbe dichiarato che da tempo aveva deciso di rompere i rapporti con quel padre che peraltro non conosce e che non l’ha mai vista. Ma in serata l’avvocato Franco Lo Sciuto per conto di figlia di Matteo Messina Denaro, ha smentito queste ricostruzioni: “A seguito dell’arresto di Matteo Messina Denaro, il bailamme mass mediatico innescatosi non ha risparmiato la di lui figlia, Lorenza Alagna. Sono state diffuse attraverso i mezzi di informazione a tiratura nazionale e di divulgazione online, sin dai giorni immediatamente successivi all’arresto e con ritmo sempre più incessante ed insistente, notizie destituite di ogni fondamento, riguardanti una presunta manifestazione di volontà da parte di Lorenza Alagna atta a rinnegare ogni contatto con il di lei padre. Si smentisce in modo categorico tutto ciò che è stato pubblicato falsamente, stante che, Lorenza Alagna mai ha rilasciato alcuna dichiarazione che potesse indurre a ritenere la sussistenza della volontà in capo alla suddetta di rinnegare ogni contatto con il di lei padre a seguito dell’avvenuto arresto, con la doverosa precisazione che mai e poi mai sono intervenuti contatti con il predetto fin dalla nascita – scrive in una nota l’avvocato – Appare doveroso sottolineare che Lorenza si è sempre astenuta da ogni contatto con i giornalisti, quand’anche gli stessi si siano installati quotidianamente sotto casa a presidio dell’abitazione ed alla ricerca di dichiarazioni scoop in modo da alimentare il vortice mediatico. L’avere allontanato in modo risoluto l’assalto mediatico di taluni giornalisti sotto casa è condotta inequivoca, insuscettibile delle fuorvianti interpretazioni ribaltate nelle testate nazionali. La sfera del rapporto padre-figlia è intangibile ed insindacabile, e, come tale, deve rimanere rigorosamente riservata. Non possono, pertanto, tollerarsi indebite intromissioni nella sfera di detti rapporti, le cui dinamiche devono restare estranee alle cronache ed alle critiche da parte di giornalisti, sociologi, opinionisti, mass-mediologi e di tutte quelle figure che, a vario titolo, dispensano sapere e giudizi sui mass-media. Ogni ulteriore intervento sul punto dovrà ritenersi indesiderato, inopportuno e fonte di sicuro turbamento per Lorenza”.

“Si fa invito alla solerte insegnante di letteratura italiana, che richiama con passione contatti di natura scolastica con Lorenza Alagna e con l’intera classe di liceali, limitatisi, per inciso, ad 1 mese di supplenza durante i 5 anni di liceo, – prosegue la nota dell’ avvocato – ad astenersi dalla divulgazione di racconti e commenti in travisamento di fatti sulle testate nazionali, verosimilmente dettati dall’irrefrenabile ed incontrollabile smania di apparire sulle prime pagine dei giornali e delle tv di stato. Le indebite interferenze ad oggi rilevate, hanno persino attinto la sfera dei rapporti riguardanti il nucleo familiare costituito da Lorenza e dal di lei compagno”. Lorenza Alagna vuole “rivendicare la incontestabilità e legittimità di ogni scelta personale e intima, siccome attinente alla sfera dei rapporti con il di lei padre, mai rinnegato“. Ma resta il fatto inconfutabile che in 27 anni la figlia pur potendo non ha mai incontrato suo padre, Matteo Messina Denaro.

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