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3 Luglio 2024 20:29
3 Luglio 2024 20:29

Messina Denaro si dichiara estraneo dall’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo

Davanti al gip Alfredo Montalto, che lo interrogava, il boss ha scaricato tutte le responsabilità su Giovanni Brusca, da poco a piede libero, dopo aver espiato 25 anni di detenzione in carcere. Messina Denaro ha dichiarato a verbale, che fu Brusca a dare quell'ordine ripugnante.

Matteo Messina Denaro ha confessato il sequestro, ma ha respinto le accuse di avere disposto l’orrenda morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che venne strangolato e sciolto nell’acido per vendetta nei confronti del padre Santino che era diventato un collaboratore di giustizia. La situazione di fatto non cambia ma, Matteo Messina Denaro sta cercando di ridimensionare il suo ruolo, cercando di mostrare il lato umano respingendo il più odioso dei crimini che gli vengono attribuiti. Davanti al gip Alfredo Montalto, che lo interrogava, il boss ha scaricato tutte le responsabilità su Giovanni Brusca, da poco a piede libero, dopo aver espiato 25 anni di detenzione in carcere. Messina Denaro ha dichiarato a verbale, che fu Brusca a dare quell’ordine ripugnante. L’inchiesta è coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Piero Padova e Gianluca De Leo.

La tragica vicenda di Giuseppe Di Matteo è passata attraverso un calvario durato più di due anni. Rapito il 23 novembre 1993 in un maneggio di Villabate, dove andava a cavallo. Aveva soltanto 12 anni. I rapitori gli chiesero di seguirli per portarlo dal padre Santino, che non vedeva da tempo. Si presentarono al cospetto di questo innocente ragazzino come “agnelli”amici”, ma subito si rivelarono delle belve umane. Con quel sequestro la mafia voleva indurre il padre Santino Di Matteo a ritrattare tutte le sue rivelazioni. Nell’attesa di un ripensamento, che non ci fu, il piccolo Giuseppe venne trasferito da una prigione all’altra nelle varie province di Palermo, Trapani, Agrigento.

Il piccolo Giuseppe Di Matteo venne portato incappucciato e chiuso nel bagagliaio di un’auto nella prima prigione di Campobello di Mazara, il paese dell’ultimo covo di Messina Denaro, nella quale il ragazzino trascorse un periodo della sua orribile prigionia nella masseria di campagna di Giuseppe Costa, un fedelissimo del boss. Era soltanto l’inizio di un vero calvario durato oltre due anni, che ebbe una tragica fine l’11 gennaio 1996 in un casolare-bunker nelle campagne di San Giuseppe Jato , allorquando Brusca avrebbe ordinato la sua morte. Del povero innocente ragazzino che venne sciolto nell’ acido, non è rimasta neppure una traccia. Ma il suo ricordo, che in questi anni non si è mai perso, verrà ricordato con un atto simbolico: a Castelvetrano verrà intitolata a lui la scuola elementare che Matteo Messina Denaro aveva frequentato da bambino.

L’interrogatorio del “boss” mafioso non ha fatto chiarezza per il momento nessun altro punto dell’inchiesta della DDA della procura di Palermo a seguito dell’arresto, soprattutto il ruolo svolto dai presunti fiancheggiatori finora arrestati, gli ultimi dei quali sono i coniugi Emanuele Bonafede e Lorena Lanceri, entrambi accusati di essere stati i vivandieri del boss e di averne favorito la latitanza. I carabinieri hanno trovato un quadro a casa loro, a Campobello di Mazara. Un dono di Messina Denaro. Dietro il quadro compare una dedica alla Lanceri. “A Lorena, una donna ma soprattutto un’amica mia”, ha scritto Matteo Messina Denaro, che sarebbe stato legato sentimentalmente alla donna. E’ la stessa Lorena Lanceri a parlare del quadro in una sua lettera inviata ad un’amica. E la conferma arriva da un “pizzino” trovato a casa di Rosalia Messina Denaro, sorella di Matteo, assieme ad altre spese sostenute dal boss durante la latitanza, sul quale si legge indicata una spesa di 500 euro accanto alla voce “quadro”. Ritrovamento questo costituisce un’ulteriore pesante prova a carico dei due coniugi.

Il tribunale del Riesame di Palermo ha respinto l’istanza di scarcerazione (condannandola al pagamento delle spese) presentata dai legali di Rosalia Messina Denaro che quindi non lascerà il carcere dove è detenuta dallo scorso 3 marzo con l’accusa di associazione mafiosa. La sorella del boss viene accusata dai pm della DDA di Palermo di aver gestito la cassa del clan e la rete delle comunicazioni del fratello nel corso degli anni della sua latitanza. Sono decine i pizzini rivenuti nella sua abitazione di Castelvetrano e di Campobello di Mazara. E’ stato proprio uno di quei bigliettini scoperti dai carabinieri del Ros, a dicembre, mentre piazzavano una microspia nella casa della Messina Denaro, che era nascosto dentro l’intercapedine di una sedia, a dare ulteriori conferme all’indagine che ha portato alla cattura del capomafia.

In un pizzino indirizzato alla sorella Rosalia, nome in codice “fragolone” riportante la data del 15 marzo 2022, Matteo Messina Denaro forniva indicazioni precise. Bisognava dare a “Condor altri 4. Quindi W. restano 125”. Chiaramente parlava di soldi e di un fondo cassa. Ma a “Condor”, però, doveva essere consegnato anche un portachiavi: “Ti allego un disegno di un portachiavi, dallo pure a Condor”. Secondo gli investigatori dovrebbe trattarsi “verosimilmente delle chiavi d’ingresso di una abitazione clandestina”. Quindi potrebbe esserci un altro immobile, ancora più segreto, dove il latitante avrebbe nascosto importanti documenti.

Al momento i “pizzini” sono stati trovati nell’asse da stiro e dentro la gamba di una sedia nella casa di famiglia in Alberto Mario a Castelvetrano , nell’abitazione di campagna di Rosalia Messina Denaro in contrada Starsatto-Paratore, nel sottotetto a cui si accede da una botola), e nel covo di via Cb31 dove il boss ha trascorso l’ultima parte della latitanza.

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