Dalle 8 di questa mattina sfilano circa in 8mila fra i lavoratori dell’indotto ex Ilva ed i titolari delle imprese, protestando insieme intorno all’area perimetrale di undici chilometri dello stabilimento siderurgico tarantino. I manifestanti si erano dati appuntamento poco prima delle 7 davanti alla portineria Imprese dello stabilimento ex Ilva di Taranto. Le organizzazioni sindacali dei metalmeccanici ma anche Aigi, Confapi e Casartigiani manifestano insieme contro le precarie condizioni in cui versa la fabbrica, con l’intento di sollecitare il governo a trovare una rapida soluzione che salvaguardi i diritti sia dei dipendenti di Acciaierie d’Italia (ex Arcelor Mittal Italia) e dell’indotto.
il corteo ha raggiunto inizialmente la portineria Tubifici, in seguito la portineria C dove si sono uniti i lavoratori dell’indotto, tra i quali c’ erano gli autotrasportatori di Casartigiani con i loro camion, circa una cinquantina, per andare sulla statale Appia. Il corteo è accompagnato e vigilato dalle forze dell’ordine. Sin dai giorni scorsi la Questura aveva annunciato possibili disagi e rallentamenti sulle strade in entrata e in uscita dalla città. “La situazione è insostenibile – dice Pietro Cantoro, responsabile area Indotto di Fim Cisl, – non c’è paese civile nel quale i lavoratori effettuano una prestazione lavorativa e non sono pagati, l’azienda è al collasso e la multinazionale si ostina a non risarcire gli scaduti. Il governo deve intervenire per ripristinare le liquidità o sulle banche perché riaprano i crediti. Gli elementi di rischio sono ormai altissimi“.
“Questo è un altro risultato della disastrosa gestione Morselli vedere affiancati i lavoratori e gli imprenditori» commenta Davide Sperti, segretario generale Uilm Taranto, mentre Francesco Brigati della Fiom Cgil sottolinea che “i lavoratori attendono risposte chiare dal governo sulla continuità produttiva e la transizione ecologica. La situazione degli impianti è ormai disastrosa mentre l’azienda deve consentire l’accesso in fabbrica ai commissari straordinari per poter fare una valutazione complessiva della situazione”.
“Via da Taranto!” é lo slogan più ascoltato di tutti gli altri del corteo a tutela dell’indotto di Acciaierie d’Italia. ed ancora “L’amministratore delegato non ha fatto altro che spegnere questo stabilimento. Migliaia di persone sono in cassa integrazione e la multinazionale continua a non pagare. Oggi i lavoratori chiedono il lavoro, non ammortizzatori sociali, ma soprattutto chiedono di mandare via ArcelorMittal. Non ci avrete mai come volete voi, noi saremo sempre contrari alla multinazionale ArcelorMittal che ha fatto solo disastri, Stanno sfilando attorno alla fabbrica migliaia di persone” con un “concerto” assordante di clacson. “Meloni caccia via i franco-indiani che stanno distruggendo questo stabilimento. Ministro Urso datti da fare. Siamo venuti sin qua per vedere cacciare Mittal” hanno urlano gli operai.
Mentre operai erano in sciopero chiedendo risposte concrete sul nodo ex Ilva, le risposte sono giunte ma ad alcuni di loro con una contestuale comunicazione poco piacevole che non rientrava certamente tra quelle attese: licenziamento a decorrere da mercoledì 31 gennaio. Nella e-mail inviata da una piccola azienda subappaltatrice dell’indotto di Acciaierie d’Italia, si legge “Per giustificato motivo oggettivo” . “Con la presente si comunica la cessazione del suo rapporto di lavoro dovuta alla mancanza di ordini e commesse da parte della società Acciaierie d’Italia poiché la stessa ha interrotto drasticamente tutti i lavori di manutenzione e costruzione al proprio interno. Per quanto sopra il suo rapporto di lavoro viene risolto per giustificato motivo oggettivo e pertanto dovrà ritenersi licenziato in data 31 gennaio 2024. Le sue spettanze, unitamente ai suoi documenti di lavoro, saranno a disposizione presso i nostri uffici“. Poche parole che sono state lette da un delegato della Uilm, durante il maxi corteo di protesta.
E’ il sindacalista Mimmo Amatomaggi della Uilm a spiegare la ragioni del provvedimento di licenziamento “Si tratta di un’azienda al di sotto dei 15 lavoratori che lavora in subappalto con un’azienda fornitrice dello stabilimento. Con quest’azienda abbiamo utilizzato tutti gli strumenti ordinari, consumando tutto il budget a disposizione, le 52 settimane. Il problema è che per le aziende al di sotto dei 15 al momento non ci sono strumenti a cui accedere. Giungono notizie – spiega ancora Amatomaggi– secondo cui il Ministero del Lavoro sta mettendo in piedi un decreto attuativo per la cassa integrazione che riguarda le piccole e medie imprese, però siamo arrivati a un punto di non ritorno. Perché una volta utilizzato lo strumento ordinario non c’è cassa“.
Problemi questi che i sindacalisti hanno già enunciato . “Nei mesi scorsi abbiamo anche incontrato una parte politica del territorio e abbiamo già palesato la difficoltà e chiesto uno strumento in deroga“. Ora bisogna attendere le prossime mosse, commenta Francesco Brigati, segretario della Fiom Cgil ma nubi nere potrebbero addensarsi all’orizzonte,
“I licenziamenti erano nell’aria. Nella fase dell’amministrazione straordinaria se non vengono garantiti i crediti che vantano le aziende dell’appalto ci sono delle ricadute a cascata sulle aziende più piccole. Nel futuro non si escludono procedure di licenziamento collettivo. Al momento ci sono procedure di cassa integrazione aperte. Domani c’è un’audizione in commissione e da lì – conclude Briganti – si capirà la volontà del Governo“
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