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21 Novembre 2024 23:14

Mittal rifiuta lo scudo penale offerto da Conte, e conferma l’addio all’ Italia

Conte: "Lo scudo penale non è il tema, il tema è che l'azienda ritiene che con i livelli di produzioni non siano sostenibili gli investimenti e di non poter assicurare gli attuali livelli di occupazione". I sindacati: 'La multinazionale ha ribadito a Conte la volontà di recedere il contratto, il problema non è solo lo scudo penale". Uno sciopero di 24 ore è stato proclamato dalla Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm per oggi 8 novembre.

ROMA – In una conferenza stampa notturna, convocata al termine del Consiglio dei Ministri, tenutosi dopo dodici ore di riunioni e vertici dai toni anche drammatici, dedicati alla situazione dello stabilimento pugliese e alla necessità dell’esecutivo di arginare la volontà di disimpegno del gruppo ArcelorMittal, il premier Giuseppe Conte ha riepilogato quella che è una vera e propria “guerra” tra il governo e la multinazionale dell’acciaio.  Conte ha iniziato così: “E’ una vertenza che sta particolarmente a cuore al governo, riteniamo quel polo industriale di interesse strategico per il Paese. Per il governo rilanciare l’Ilva e Taranto è una priorità” che ha aggiunto “non riteniamo giustificate le preoccupazioni di ArcelorMittal e il governo ha dichiarato, per sgombrare il campo, la sua disponibilità all’immunità“.

Con il premier, in conferenza stampa anche il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, per ribadire un punto in particolare. “ArcelorMittal non è in grado di rispettare il suo piano industriale e non possono essere i lavoratori e Taranto a pagare , a prescindere da ogni altra condizione, la società oggi dice che non riesce a produrre più di 4 milioni di tonnellate e che queste non sono sufficienti a remunerare l’investimento. Ma Mittal ha vinto la gara per Ilva promettendo 6 milioni di tonnellate ed 8 milioni dal 2024“. Nell’esecutivo dell’ alleanza giallo-rossa (M5S-Pd) , emerge anche un’altra considerazione: quanto conviene che l’azienda resti? Per questo, parallelamente, si stanno cercando “strade alternative“.

Un “piano B” che non includerebbe la partecipazione di Cdp ma che potrebbe concretizzarsi con una nuova cordata. E’ un’ipotesi che emerge a tarda notte e che non riguarderebbe necessariamente Jindal o AcciaItalia. Allo stesso tempo nel M5S filtra già una certa irritazione per la scelta di ArcelorMittal – che ha azzerato la concorrenza – e nei confronti di chi ha gestito il dossier, l’ex ministro Carlo Calenda. Sospetti che il titolare del Mise Stefano Patuanelli così sintetizza: “è evidente che ArcelorMittal voleva solo un’acquisizione”. Un teorema quello di Patuanelli che però si scontra con tutte le bonifiche ambientali ed il rispetto dell’ Aia sinora attuato da Arcelor Mittal.

“Il governo si è dimostrato disponibile a introdurre lo scudo penale, che è stato rifiutato – ha affermato il premier -. Dopo un po’ è emerso nella discussione che non era questa la vera causa del disimpegno dell’azienda. Lo scudo penale non è il tema, il tema è che l’azienda ritiene che con i livelli di produzioni non siano sostenibili gli investimenti e di non poter assicurare gli attuali livelli di occupazione. Per assicurare la continuità aziendale ci viene rappresentato l’esubero di 5mila lavoratori. Per noi è inaccettabile“.

Noi Siamo disponibili a forme di accompagnamento (cigs) contingenti. Ma nessuna delle nostre offerte è stata accettata. Nessuna. Non abbiamo nessuno strumento per tenerli, se non la pressione di un intero paese. Faccio appello a governatore regione, sindaco di Taranto, e sindacati per aprire tavolo di crisi. Possiamo solo chiamare a raccolta l’intero paese. E chiamare Mittal alla responsabilità”.

“Qui non è una qualsiasi crisi aziendale. E’ una vertenza che in questo momento prospetta un disimpegno da impegni contrattuali specificamente assunti a seguito da una gara” – ha evidenziato Conte – . Se ci sono criticità non giustificano affatto la riconsegna dell’intero impianto, per noi è scattato un allarme rosso. Ci siamo resi disponibili ad aprire una finestra negoziale, ventiquattro ore su ventiquattro“.

“La produzione è scesa a 4mila tonnellate – ha aggiunto ancora il Presidente del Consiglio  -. Benissimo. A chi spetta il rischio impresa? Chi è che viola il contratto? Vogliamo dire che il Governo non rispetta il contratto? Nessuna responsabilità sulla decisione dell’azienda può essere attribuita al governo. Nessuno ha costretto ArcelorMittal a partecipare a una gara con regole chiare e trasparenti. Chiediamo il rispetto del piano industriale e ambientale. Questa è un’altra preoccupazione: che non garantendo la continuità produttiva non si continui con il risanamento ambientale. L’azienda rimedi alle sue iniziative. Al momento non c’è nessuna soluzione, nessuna richiesta nostra è stata accettata”. Le prossime 48 ore passeranno sul filo della suspense per il Governo e di terrore per un’intera provincia, quella di Taranto che vive sull’attività dello stabilimento siderurgico ed il suo indotto.

Conte ha utilizzato cinque aggettivi per delineare la posizione del Governo nei confronti di Arcelor Mittal. Ha parlato di una “posizione, unitaria, di compattezza e coesione”, e  di un esecutivo “coeso e compatto”. Ma in realtà così non è. Infatti il Pd ed i “renziani” di Italia Viva hanno spinto sull’acceleratore, chiedendo per venerdì in Consiglio dei Ministri subito un decreto per ripristinare lo scudo penale addotto da Mittal come pretesto per la recessione dal contratto, al fine di sgomberare il campo da eventuali alibi sotto mentite spoglie. Una richiesta che tanto per cambiare  ha ricevuto un secco “no” dai grillini del M5S  che pretendono garanzie sul fatto che le altre pesanti richieste di Arcelor Mittal in tal caso vengano ritirare, o altrimenti nessuna concessione.

Barbara Lezzi, Giuseppe Conte e Luigi DiMaio, i tre veri responsabili del disastro Ilva-Arcelor Mittal

Questa la versione ufficiale che Palazzo Chigi ha fatto filtrare in nottata. Quella ufficiosa è che il Movimento 5 Stelle  non ha i numeri al Senato per far passare un provvedimento di questo tipo. La fronda capitanata dall’ex ministra, la salentina Barbara Lezzi che ha già affossato lo scudo penale in sede di conversione del “decreto Salva Imprese”, ed è pronta a rifarlo. Luigi Di Maio schiuma rabbia, ma deve tacere sul punto, non può fare altrimenti pur di restare in sella. Proprio lui che sulla cancellazione dell’immunità aveva fatto una battaglia campata in aria. Se non fosse politica per dilettanti allo sbaraglio, sarebbe una vera e propria reciproca estorsione.

Tra gli elementi del contenzioso incide anche il prossimo spegnimento all’Altoforno 2. Il custode giudiziario dell’area a caldo, Barbara Valenzano (dirigente della Regione Puglia, considerata molto “vicina” al Governatore pugliese Michele Emiliano) , ha dato 90 giorni ad ArcelorMittal per definire una serie di interventi sull’Afo2. Un termine scade il prossimo 13 dicembre, pressochè impossibile da rispettare da cui consegue il prossimo spegnimento dell’altoforno. I Mittal nell’incontro di Palazzo Chigi hanno fatto presente che lo stesso problema potrebbe riproporsi a breve  anche con gli altri due altoforni attualmente in funzione, il numero 1 e il 3.

il governatore pugliese Emiliano, e la sua dirigente regionale Barbara Valenzano

La trattativa con ArcelorMittal non è ancora definitivamente chiusa. “Al momento la via concreta è il richiamo alla loro responsabilità”, spiega Conte che ha chiesto a Lakshmi Mittal e a suo figlio di aggiornarsi tra massimo due giorni per una nuova proposta. “Non lasceremo soli gli operai e le comunità locali. Domani convocheremo i sindacati – ha annunciato il presidente del Consiglio -. C’è l’assoluta determinazione di rilanciare Ilva e Taranto. Non è questione di minoranza o maggioranza, è l’intero Paese che deve reggere l’urto di questa sfida, sono assolutamente inutili le polemiche“.

Il canale di comunicazione tra Palazzo Chigi ed Arcelor Mittal in ogni caso rimane aperto, al punto che le parti si sarebbero lasciate non escludendo un prossimo incontro a breve. Molto si deciderà nel corrente mese di novembre. Infatti, sulla base all’articolo 47 della legge 428 del 1990 sulla “cessione di ramo d’azienda“, l’eventuale annunciata uscita di ArcelorMittal non può effettuarsi prima di 25 giorni dalla data della comunicazione di recesso, e cioè da  ieri, quindi non potrebbero abbandonare la partita prima del primo dicembre.

nella foto il Tribunale di Milano

Una cosa è certa e cioè che per quella data il Tribunale di Milano non si sarà pronunciato. ArcelorMittal può uscire in modo unilaterale ma così facendo si assumerebbe un grande rischio legale. in quanto se il Tribunale milanese le desse torto, in tal caso non soltanto il gruppo franco-indiano sarebbe costretto a mantenere in attività l’ex-Ilva e contestualmente potrebbe vedersi costretto a pagare salate penali. Uno scenario per il quale cruciale ancora una volta il ruolo “centrale” del Tribunale di Milano.

L’ipotesi di reperire una cordata alternativa che subentri in corsa per rilevare lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa, sembra soltanto una chimera. Per questo motivo prende quota l’ipotesi di un intervento pubblico che possa farsi carico di un’azienda che dà lavoro a oltre 10 mila persone in una zona del Paese dove il lavoro non abbonda. Una possibilità che però rischierebbe di essere bloccato dall’ Unione Europea, che vieta gli aiuti di Stato all’impresa. La via più naturale sarebbe un nuovo commissariamento, oppure il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti. Dopo la decisione di ieri della Fim-Cisl, anche la Fiom-Cgil e la Uilm hanno indetto uno sciopero di 24 ore proclamato per domani 8 novembre. Oggi saranno i sindacati ad incontrare il Governo. Basterà ?

 

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