L’ Autorità al termine delle due istruttorie ha sostenuto che in realtà “alla luce delle risultanze istruttorie è emerso che le quotazioni di mercato erano i prezzi di vendita liberamente determinati dai professionisti in misura ampiamente superiore al costo di acquisto della pietra e ai benchmark internazionali di riferimento (Rapaport e IDEX); l’andamento delle quotazioni era l’andamento del prezzo di vendita delle imprese annualmente e progressivamente aumentato dai venditori; e le prospettive di liquidabilità e rivendibilità erano unicamente legate alla possibilità che il professionista trovasse altri consumatori all’interno del proprio circuito“.
L’Antitrust ha inoltre, accertato nelle due istruttorie che gli “istituti di credito, principale canale di vendita dei diamanti per entrambe le imprese, utilizzando il materiale informativo predisposto da Idb e Dpi, proponevano l’investimento a una specifica fascia della propria clientela interessata all’acquisto dei diamanti come un bene rifugio e a diversificare i propri investimenti. In particolare sul ruolo delle banche, il fatto che l’investimento fosse proposto da parte del personale bancario e la presenza del personale bancario agli incontri tra i due professionisti e i clienti, forniva ampia credibilità alle informazioni contenute nel materiale promozionale delle due società, determinando molti consumatori all’acquisto senza effettuare ulteriori accertamenti”.
L’Antitrust spiega di aver anche accertato “la violazione da parte di Idb e Dpi dei diritti dei consumatori nei contratti in merito al diritto di recesso e, per Idb, anche al foro competente in caso di controversie“. Le istruttorie, svolte con la collaborazione della Consob e con “accertamenti ispettivi” della Guardia di Finanza, sono partite da una segnalazione di alcune associazioni di consumatori .