I magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma hanno chiuso l’indagine ha chiuso le indagini sulla maxi inchiesta “Propaggine” relativa alla prima “locale” di ‘ndrangheta che da anni era attiva nella Capitale. Il 415 bis è stato notificato a 67 persone che adesso rischiano di finire sotto processo anche per l’accusa di “associazione a delinquere di stampo mafioso”. Secondo l’impianto accusatorio dell’inchiesta, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò con i pm Giovanni Musarò, Francesco Minisci e Stefano Luciani, a capo dell’organizzazione c’erano Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Cosoleto, centro in provincia di Reggio Calabria. La ‘locale’ operava a Roma dopo avere ottenuto il “via libera” dalla casa madre in Calabria.
Le indagini hanno evidenziato come fino al settembre del 2015 non esistesse una “locale” nella Capitale, anche se sul territorio cittadino operavano numerosi soggetti appartenenti a famiglie e dediti ad attività illecite. Tra i reati contestati la cessione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco.
Carzo avrebbe ricevuto, secondo quanto accertato dagli inquirenti, dall’organo collegiale posto al vertice dell’organizzazione unitaria (la Provincia e Crimine), nell’estate del 2015, l’autorizzazione per costituire una struttura locale che operava nel cuore di Roma secondo le tradizioni di ‘ndrangheta: riti, linguaggi, tipologia di reati tipici della terra d’origine. Il gruppo agiva su tutto il territorio di Roma con una gestione degli investimenti nel settore della ristorazione (locali, bar, ristoranti e supermercati) e nell’attività di riciclaggio di ingenti somme di denaro.
“Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto”, dicevano gli indagati in un’intercettazione . E nelle conversazioni riportate nell’ordinanza del gip alcuni degli indagati facevano riferimento proprio al lavoro di alcuni magistrati e poliziotti che avevano lavorato prima in Calabria e poi a Roma: “C’è una Procura… qua a Roma … era tutta …la squadra che era sotto la Calabria. Pignatone, Cortese, Prestipino.. e questi erano quelli che combattevano dentro i paesi nostri …Cosoleto … Sinopoli… tutta la famiglia nostra…maledetti”.