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5 Novembre 2024 01:21

Omicidio Serena Mollicone, tutti assolti. Ma la famiglia e la procura non ci stanno

Il processo che ha preso il via il 19 marzo 2021 giunge al termine dopo 16 mesi e oltre 50 udienze, non prive di colpi di scena. La sentenza emessa dalla Corte d'Assise del Tribunale di Cassino è arrivata dopo circa 8 ore di Camera di Consiglio.

Non sono bastati 21 anni dall’omicidio di Serena Mollicone, la giovane di Arce uccisa nel 2001, per fare giustizia ed accertarne le responsabilità. Era giovane Serena, diciotto anni e tutta una vita davanti. Uccisa sbattendo la testa e finita con un sacchetto di plastica per poi essere abbandonata in un bosco vicino casa, nel frusinate.  La ragazza a scuola aveva detto che ad Arce il problema della droga non si sarebbe mai risolto, essendo lo stesso Marco Mottola uno spacciatore ed essendo per tale ragione tutto coperto da suo padre che comandava la locale stazione dei Carabinieri, che dopo quell’intervento le avrebbe detto che “dovevano parlare”.

Oggi è arrivata in serata la sentenza della Corte d’Assise del Tribunale di Cassino: il maresciallo Franco Mottola ex comandante della Stazione Carabinieri di Arce , suo figlio Marco, e la moglie Annamaria imputati con l’accusa di concorso nell’omicidio di Serena Mollicone sono stati assolti per insufficienza di prove. I carabinieri Quatrale e Suprano invece con formula piena. Suprano era accusato di istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi mentre nei confronti del carabiniere Suprano l’accusa era favoreggiamento.

Il processo che ha preso il via il 19 marzo 2021 giunge al termine dopo 16 mesi e oltre 50 udienze, non prive di colpi di scena. La sentenza emessa dalla Corte d’Assise del Tribunale di Cassino è arrivata dopo circa 8 ore di Camera di Consiglio.

La prima udienza si è celebrata il 19 marzo, giorno della festa del papà, un data simbolica, interpretata da molti come un omaggio a Guglielmo Mollicone, il padre di Serena, il quale ha passato la vita a lottare per la verità ma è morto prima dell’inizio del dibattimento. Centotrenta i testimoni che hanno sfilato davanti alla Corte.  Prima dell’udienza vi è stato l’ abbraccio tra due donne che conoscono il dolore più profondo. E’ arrivata in aula a Cassino nel pomeriggio Valerio e Marina Vannini, i genitori di Marco Vannini il ragazzo di soli 20 anni lasciato morire nel maggio del 2015 in una villetta di Ladispoli dalla famiglia della fidanzata, Martina Ciontoli.

Le parole di Marina Vannini sono state taglienti e commoventi:” Serena, come mio figlio, non è stata protetta. Ho rivissuto la tragedia di mio figlio, racconta,  Marco era nella casa dove doveva essere protetto. Serena era in una caserma. E invece non è stato  così”. I genitori di Marco Vannini hanno deciso oggi di portare il loro supporto alla famiglia Mollicone ed hanno assistito alla lettura  della sentenza.

Alle 10,20 davanti al presidente della Corte d’Assise, Massimo Capurso, sono cominciate le discussioni. La pm Beatrice Siravo ha portato un testimone a sorpresa, il barbiere che ad Arce avrebbe tagliato i capelli a Marco Mottola, due giorni prima del funerale, facendo sparire quelle “meches” bionde, che lo stesso parrucchiere, gli aveva fatto. Un ulteriore elemento di prova per l’accusa: sarebbe stato proprio Marco, dunque, ad essere stato visto con Serena il giorno dell’omicidio in un bar della zona. Ma il giudice Capurso ha accolto l’opposizione della difesa dei Mottola di non ascoltare questo teste.

Il giudice Massimo Capurso

I giudici avevano lasciato l’aula alle 11.18 e sono usciti dalla lunga camera di consiglio con il verdetto alle 19.30. Dopo la sentenza ci sono stati momenti di caos e forte tensione davanti al tribunale di Cassino. “Bastardi“, “assassini“, gli insulti rivolti al del maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, al figlio Marco, ed alla moglie Annamaria mentre lasciavano palazzo di giustizia dai tanti cittadini di Arce che stavano attendendo la decisione della Corte d’Assise. Per sedare gli animi è stato necessario l’intervento dei Carabinieri.

“È uscita la verità”, il commento di Marco Mottola dopo la sentenza, accolta con lacrime e abbracci dagli imputati e dalle loro famiglie. “La verità è ben altra, non ci fermeremo di fronte a questa meschinità”, ha detto dal canto suo Antonio Mollicone, zio di Serena.

Annamaria Mottola, Marco Mottola e Franco Mottola

I pubblici ministeri Maria Beatrice Siravo e Maria Carmen Fusco al termine di una lunga e circoscritta requisitoria hanno chiesto la condanna a 30 anni per Franco Mottola, 24 per il figlio Marco, 21 anni per la moglie Annamaria, 15 anni per Quatrale e quattro anni per Suprano, tutti accusati di concorso nell’omicidio. Quatrale era accusato inoltre di istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi mentre per Suprano l’accusa era favoreggiamento. Assolti anche l’ex vice comandante Vincenzo Quatrale e l’appuntato Francesco Suprano . Bisognerà attendere le motivazioni della sentenza per capire questa decisione

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La tesi accusatoria della procura

Secondo l’impostazione accusatoria, Serena Mollicone sarebbe stata uccisa all’interno della caserma dei carabinieri di Arce il 1 giugno del 2001, sbattuta contro la porta di un alloggio al termine di una colluttazione, intorno alle 11.30 di mattina. Svenuta e con un trauma alla testa importante ma non letale, sarebbe stata successivamente soffocata con un sacchetto di plastica e con un nastro adesivo che le ha avvolto la bocca. Quindi sarebbe morta dopo cinque ore di agonia.

Il corpo sarebbe stato trasferito nella notte tra il 1 e il 2 giugno nel bosco di Fonte Cupa, dove poi venne rinvenuto il 3 giugno. E’ questa la ricostruzione dell’omicidio, sostenuta dalle pm della procura di Cassino, Beatrice Siravo e Carmen Fusco, nel corso del processo davanti alla Corte d’Assise.

Sempre secondo tesi che la procura ha portato avanti nel processo, a compiere il delitto sarebbe stata l’intera famiglia Mottola. Marco Mottola avrebbe spintonato Serena Mollicone contro la porta e poi sarebbero entrati in scena il padre e la madre, che dopo aver aiutato il figlio a portare a termine il delitto, avrebbero occultato il cadavere.

la stazione dei Carabinieri di Arce

“Il delitto di omicidio accomuna tutti i componenti della famiglia Mottola – hanno sostenuto le pm nel corso della requisitoria – Se immediatamente soccorsa, Serena si sarebbe salvata ma muore per effetto di una condotta attiva, perché i Mottola tutti presenti e tutti concordi sul da farsi, davanti a una ragazza svenuta ma viva, le ostruiscono le vie aree e le chiudono il capo con un sacchetto di plastica e con il nastro adesivo“, aggiungendo che “Marco, Franco e Annamaria non soltanto hanno concorso attivamente a uccidere Serena Mollicone ma sono tutti titolari di una posizione di garanzia” come “i Ciontoli nell’omicidio di Marco Vannini” hanno sostenuto le pm.

Per suffragare la propria ricostruzione e dimostrare in particolare che la porta è l’arma del delitto, la procura di Cassino cita la superperizia di Cristina Cattaneo, medico legale che dirige il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università di Milano, decisiva per la riapertura delle indagini. “Il cranio di Serena Mollicone può aver creato quel buco nella porta? – si è chiesta in aula la CattaneoAssolutamente sì. L’arcata zigomatica di Serena combacia molto bene con la rottura nella porta“, ha aggiunto, tanto che “facendo la simulazione con i prototipi il cranio rimane incastrato”. “Dopo aver risposto a questa domanda siamo andati avanti con le nostre analisi per verificare se ci fosse stato uno scambio di materiali tra la testa di Serena Mollicone e la porta” ha spiegato il medico legale.

Sul nastro adesivo che avvolgeva la testa di Serena Mollicone, in base alle attività scientifiche eseguite dal Ris dei Carabinieri di Roma, sono state isolate tracce di legno, resina e vernice. Microframmenti, secondo le analisi, morfologicamente e chimicamente coerenti con il legno della porta e la caldaia sul balcone di un alloggio della caserma di Arce. In sostanza, secondo la Procura, ci sarebbe una “perfetta compatibilità” tra le lesioni riportate dalla vittima e la rottura della porta collocata in caserma e “la perfetta compatibilità” tra i microframmenti rinvenuti sul nastro adesivo che avvolgeva il capo della vittima e il legno di quella porta e con il coperchio di una caldaia della caserma.

Antonio Mollicone come ha fatto per anni suo fratello Guglielmo, morto prima dell’inizio del processo, ha puntato il dito contro i tanti che sapevano e non hanno parlato, ostacolando la ricerca della verità: “Tanta gente sapeva e non ha parlato e ha favorito queste persone“. Le prove c’erano e per lo zio di Serena erano schiaccianti: “Non condivido questa sentenza come cittadino italiano e non solo come familiare: sì, ci sono prove schiaccianti. Non è vero che non c’erano indizi . Lo abbiamo dimostrato con scienziati venuti in Aula a raccontare come sono andate le cose“. 

Lo zio di Serena si riferisce agli accertamenti di natura scientifica eseguiti sulla porta dell’alloggio dei Mottola, ritenuta dall’accusa l’arma del delitto. Ma per i giudici, le conclusioni dei consulenti non hanno dimostrato la piena colpevolezza, aggiungendo “Adesso si sono accorti che mancavano dei centimetri, tutto collimava”.

Ma la ricerca di giustizia della famiglia Mollicone non si fermerà con la sentenza di primo grado. 
Andremo avanti, purché la nostra bambina trovi la pace che fino a questo momento le è stata negata“. Antonio Mollicone ha voluto ricordate suo fratello Guglielmo: “Oggi è stata una giornata di attesa con il ricorrente pensiero verso mio fratello, verso Serena e verso sua madre. Se qualcuno pensa che noi ci arrenderemo si sbaglia di grosso, forse altri lo faranno”.

il Procuratore della Repubblica di Cassino Luciano d’Emmanuele

Così in una la nota il Procuratore della Repubblica di Cassino Luciano d’Emmanuele dopo la sentenza:  ”Questa Procura prende atto della decisione che la Corte di Assise nella sua libertà di determinazione ha scelto. E’ stato offerto tutto il materiale probatorio che in questi anni tra tante difficoltà è stato raccolto. La Procura di Cassino non poteva fare di più. Gli elementi a sostegno dell’accusa hanno superato l’esame della udienza preliminare. Il contraddittorio tra le parti nel corso delle numerose udienze celebratesi davanti la Corte evidentemente ha convinto i giudici circa la non colpevolezza degli imputati. Sarà interessante leggere le motivazioni sulle quali si farà un analitico e scrupoloso esame per proporre le ragioni dell’accusa innanzi al giudice superiore. Questo Procuratore e tutti i Sostituti ringraziano la dr.ssa Siravo per il grande impegno che ha manifestato nel corso delle indagini e la giovane collega Fusco per l’attenta e scrupolosa partecipazione alle udienze” ha concluso il Procuratore di Cassino.

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