Nel corso della mattinata, i Carabinieri del ROS – con il supporto in fase esecutiva del Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Emilia – hanno dato esecuzione ad un provvedimento di confisca beni in executivis emesso dalla Corte d’Appello di Bologna per un valore di oltre 11 milioni di euro, in danno di Antonio Muto. Il provvedimento consegue alla irrevocabilità della condanna del Muto nell’ambito del processo “Aemilia” alla pena di anni 8 e mesi 6 di reclusione, tra gli altri, per il delitto di associazione mafiosa poiché appartenente alla cosca di ‘ndrangheta “Grande Aracri” di Cutro (KR) che operava nelle provincie di Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena.
Le mani del boss don Nicolino Grande Aracri non erano solo macchiate di sangue ma “puzzavano” di soldi sporchi e riciclati attraverso colletti bianchi, professionisti, imprenditori il più delle volte gravitanti nella massoneria. Secondo gli inquirenti, il “boss” poteva vantare entrature nei palazzi che contano: compresi il Vaticano e la Corte di Cassazione. Se da una parte è vero che non è stato mai accertato il coinvolgimento di un magistrato, dalle carte sulla cosca di Cutro è emerso come il boss abbia cercato di aggiustare un processo a Roma per far annullare una sentenza del Tribunale del Riesame di Catanzaro.
Il provvedimento eseguito nelle province di Reggio Emilia, Parma, Mantova e Crotone ha portato al sequestro di 5 aziende operanti nel settore degli autotrasporti ed immobiliare, per un fatturato relativo all’anno 2017 di circa 3 milioni e mezzo di euro, ed un patrimonio netto complessivo di € 1.063.999,00; 23 immobili (tra cui 3 capannoni industriali sede delle aziende di autotrasporti, 8 abitazioni, 3 garage e 2 ettari e mezzo di terreno), acquistati ad un prezzo complessivo di 5 milioni euro; 92 veicoli, tra cui 28 trattori stradali, 43 semirimorchi, 5 autobus, 4 furgoni, 2 autocarri, 10 autovetture tra cui una Maserati e due Volkswagen ed 1 motociclo acquistati ad un prezzo complessivo di oltre 1 milione e mezzo di euro, e 9 rapporti bancari con saldi positivi per circa 100.000,00.
Le indagini che nell’ambito del procedimento AEMILIA hanno dato origine a interventi repressivi di notevole portata nei confronti dell’organizzazione capeggiata da Nicolino Grande Aracri hanno evidenziato l’ingerenza della cosca “Grande Aracri” nella gestione e controllo di attività imprenditoriali formalmente intestate a prestanome, nonché l’accumulo illecito di significativi patrimoni personali. In tale quadro, gli esiti dalle indagini patrimoniali svolte nei confronti degli interessati hanno trovato conferma nella gestione occulta di numerose imprese operanti sul territorio nazionale: l’analisi di oltre 700 rapporti bancari ha consentito di ricondurre i processi decisionali delle aziende agli indagati i quali, dietro lo schermo di compiacenti prestanome, sono risultati i veri dominus delle aziende stesse.
Per ultimo, l’indagine economico-finanziaria ha confermato i legami tra i fratelli Muto e gli altri imprenditori legati all’organizzazione capeggiata dal boss Nicolino Grande Aracri