Operazione della Polizia di Stato volta a disarticolare un importante sodalizio criminale attivo a Taranto. In tutto sono 33 gli arresti effettuati, Gli appartenenti al clan “malavitoso” vengono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, tentato omicidio, estorsione aggravata dal metodo mafioso, rapina aggravata, detenzione illecita di armi clandestine, danneggiamento aggravato dal metodo mafioso ed altro.
Il “blitz” è stato richiesto dal pubblico ministero Alessio Coccioli della DDA di Lecce e dal collega Lanfranco Marazzia della Procura di Taranto, nell’ambito di una vasta inchiesta che colpisce ancora la vecchia guarda della malavita tarantina, ed è stato attuato per l’incombente pericolo di fuga di alcuni indagati, mentre altri sono già detenuti nel carcere di Taranto per altre condanne precedenti. Nel corso delle operazioni che ha visto impegnati circa 200 poliziotti delle Questure di Bari, Brindisi Lecce, Foggia, Potenza, Campobasso, della Sezione della Polizia Stradale di Taranto e del Reparto Prevenzione Crimine e Reparto Volo di Bari, sono state sequestrate cinque pistole, 350 grammi di hascisc e reperti archeologici
Al centro dell’inchiesta, armi, estorsioni e rapine . A capo della contestata organizzazione mafiosa sono Cosimo Di Pierro, Cosimo De Leonardo, Pasquale De Leonardo e Ignazio Taurino. Nel corso le indagini i poliziotti hanno anche filmato, mentre era in corso, un rito di affiliazione al “clan” da parte di una donna.
“La città è nostra” si vantava al telefono, venendo intercettato dalla Polizia Cosimo Di Pierro,il primo giorno della sua scarcerazione, uno dei “boss” a capo dell’omonimo “clan” arrestato stamani dalla polizia di Stato. La conversazione completa è agli atti dell’indagine della Dda di Lecce.
Questi i destinatari di ordine di carcerazione coinvolti a vario titolo nell’operazione del provvedimento antimafia attuando quanto previsto dal 416-bis, in materia reati di estorsione, rapine e detenzione di armi. (N.B. fra parentesi indicato l’anno di nascita)
Daniele Angelini (1991), Calogero Bonsignore (1962), Giuseppe Cantore (1981), Antonio Ciaccia (1988), Massimiliano Cocciolo (1975), Giuseppe D’Addario (1977), Massimo D’Addario (1972), Egidio De Biaso (1980), Cosimo De Leonardo (1953), Pasquale De Leonardo (1973), Francesco De Santis (1969), Angelo Di Pierro (1991), Cosimo Di Pierro (1955), Gaetano Diodato (1969), Cristian Galiano (1988), Luigi Giangrande (1986), Emanuele Giannotta (1982), Cosimo Inerte (1993), Riccardo Labarbera (1964), Tommaso Liuzzi (1969), Valentina Loperfido (1995), Francesco Mancino (1981),Francesco Micoli (1971), Cosimo Marinò (1973), Davide Montella (1991), Cosimo Nitti (1972), Nicola Pascali (1979), Gabriele Pignatelli (1987), Piergiuseppe Pontrella (1974), Luana Rossano (1990), Andrea Sansone (1990), Davide Sudoso (1974), Ignazio Taurino (1956), Erminia Terrasi (1985). Egidio Turbato (1969) è coinvolto esclusivamente per un episodio di presunta estorsione ai danni di una pescheria.
Le indagini, avviate dai poliziotti della Squadra Mobile di Taranto nel mese di aprile dello scorso anno, hanno preso il via dopo la scarcerazione del pluripregiudicato Cosimo Di Pierro al quale veniva concessa, per motivi di salute, la misura della detenzione domiciliare – da espiare presso la sua abitazione – con facoltà di allontanarsi solo ed esclusivamente per esigenze di vita primarie.
Il Di Pierro, come accertato nel corso delle attività di intercettazione ambientale e telefonica, sin dalla sua scarcerazione, aveva dichiarato di volersi “impossessare della città” e ricostruiva, a tal fine, una vera e propria organizzazione criminale che poteva contare su una continua disponibilità di armi ed esplosivi ( n.1 pistola clandestina cal 7.65 e n. 7 proiettili; n.1 revolver cal. 38 special; n.1 ordigno esplosivo artigianale del peso di grammi 500 circa; n.1 ordigno esplosivo artigianale del peso di grammi 1360 munito di detonatore; n.1 pistola semiautomatica Beretta cal. 7,65 con matricola abrasa munita di caricatore rifornito con n. 6 cartucce; n.1 Beretta cal. 6.35; n.1 pistola FNH Model 27 cal. 7.65 con matricola abrasa munita di caricatore rifornito con n. 6 cartucce) e che aveva la capacità di imporre periodiche dazioni di denaro a commercianti e spacciatori dei quartieri “Borgo” e “Solito”.
Un sodalizio criminale, profondamente radicato nel territorio del capoluogo jonico, organizzato in modo verticistico, incentrato sulla figura di Cosimo Di Pierro, che poteva contare su numerosi giovani “fedelissimi” che ne rappresentavano il braccio armato. Continui sono i riferimenti del Di Pierro alla necessità di mantenere il controllo criminale del territorio attraverso periodici “atti di forza” che valgano non solo a rinverdire il carisma criminale ma anche a procurare, attraverso fatti estorsivi, le risorse economiche necessarie a garantire la sopravvivenza dell’organizzazione stessa.
Per rafforzare il legame tra i sodali, come emerso dalle attività tecniche, erano previste anche cerimonie di iniziazione e di affiliazione, sulla falsariga dei rituali di matrice ‘ndranghetista, da cui ne mutuavano anche il gergo. In particolare, il rituale praticato era articolato in più fasi: vi era una prima fase in cui veniva recitato, come una litania, il testo propiziatorio, contenente i canonici riferimenti a Mazzini, Garibaldi e Lamarmora, seguito poi dalla “punciuta”, cioè il rito della puntura dell’indice della mano, con il sangue che viene adoperato per imbrattare un’immaginetta sacra a cui viene dato fuoco.
Per quanto concerne i settori di interesse, il Di Pierro prediligeva, in particolare, i gestori delle “piazze” di spaccio, sia perché riteneva gli stessi tenuti a corrispondergli una tangente sui guadagni sia, soprattutto, perché la considerava una attività meno pericolosa rispetto ad una estorsione ai danni di commercianti ed imprenditori. Il sodalizio criminale facente capo al Di Pierro, inoltre, interagiva con altre consorterie criminali locali. In particolare, le attività di captazione hanno permesso di individuare, continue interazioni tra l’organizzazione del Di Pierro e altri due gruppi delinquenziali, entrambi ugualmente strutturati in maniera verticistica: il primo facente capo a Gaetano Diodato ed a Angelo Di Pierro (il figlio di Cosimo) – prevalentemente dedito al commercio di stupefacenti – e il secondo a Nicola Pascali detto Nico, più orientato verso le attività estorsive e l’acquisizione illecita di attività imprenditoriali.
I rapporti tra le consorterie, inizialmente conflittuali, si erano poi stabilizzati su binari di reciproca tolleranza se non di collaborazione in affari criminali. In particolare, tra il gruppo del Di Pierro e il gruppo del Diodato, sono intercorsi, per diversi mesi, rapporti caratterizzati da una intensa e prolungata inimicizia, determinata anche da ragioni di carattere personale, che è sfociata anche in eclatanti atti di reciproca ostilità.
L’esistenza del gruppo riconducibile a Gaetano Diodato e Angelo Di Pierro è comprovata dall’intero coacervo delle intercettazioni effettuate, dalle quali emerge il ruolo di Diodato “capo” di un gruppo di individui organizzati in maniera gerarchica e dedito prevalentemente allo spaccio sistematico di sostanze stupefacenti con una gestione diretta e capillare di numerose “piazze” e con l’impiego di mezzi anche violenti per imporre la propria supremazia nell’ambito del relativo mercato.
Dall’attività tecnica, inoltre, è emerso come Diodato ed Angelo Di Pierro, in costanza di detenzione, ricevessero periodiche dazioni di denaro dai gestori delle “piazze di spaccio” nella zona di competenza e, a loro volta, provvedessero al mantenimento in carcere dei loro affiliati. Così come emerge che nel corso della faida con Cosimo Di Pierro essi si avvalessero dei loro giovani affiliati per veri e propri servizi di “vigilanza” sotto la loro abitazione del Diodato, servizi finalizzati a prevenire e contrastare eventuali attentati dagli antagonisti.
Anche l’associazione di tipo mafioso facente capo al noto pluripregiudicato Nicola Pascali detto “Nico“, della cui esistenza e del cui “organigramma” si ha piena contezza attraverso la intercettazioni nell’abitazione del Di Pierro. In realtà, sin dal principio delle indagini, e poi nel corso delle complesse attività di intercettazione effettuate dalla Squadra Mobile a partire dall’aprile 2015, sono emersi frequenti riferimenti al Pascali, che era stato scarcerato nel marzo 2015 e sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno. Le attività di osservazione e di intercettazioni, oltre a documentare alcuni incontri del Pascali con Cosimo Di Pierro , ha fornito consistenti indizi circa il riorganizzarsi, intorno al Pascali, di un gruppo agguerrito di giovani già alle dipendenze del “reggente”Giuseppe Pascali , poi arrestato nel novembre 2014.
Nel corso dell’operazione, sono stati rinvenuti e sottoposti a sequestro: 352 grammi di sostanza stupefacente tipo hashish; n. 1 pistola scacciacani sprovvista di tappo rosso unitamente a n. 34 cartucce a salve; n. 1 rilevatore di microspie; n. 1 pistola scacciacani; n. 3 pistole lanciarazzi; vari reperti archeologici.
Questi fatti dimostrano che “Taranto non è la città più sicura di Puglia” come aveva dichiarato nei giorni scorsi alla Festa della Polizia il Questore di Taranto Stanislao Schimerra, se si considera l’ultimo blitz della Guardia di Finanza , quello di questa notte della Polizia di Stato e tutti gli arresti fatti nelle ultime settimane dai Carabinieri ! Forse aveva ragione qualcun altro…?
Aggiornamento: Per il Procuratore Capo della Dda di Lecce Cataldo Motta, quella di Taranto “è una criminalità organizzata diverse dalle altre, sicuramente più efferata. Meraviglia il fatto che nonostante gli interventi della Polizia, si ricrei la stessa situazione malavitosa appena usciti dal carcere . Resto dell’idea – ha aggiunto Motta – che la prevenzione sia più efficace della repressione“.
Ecco come gli altri giornali presenti a Taranto hanno dato la notizia online. Nessun nome….!