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22 Dicembre 2024 19:20

Operazione “Feudo” . Eseguiti dalla DDA di Lecce e Guardia di Finanza di Taranto 38 arresti. 27 per associazione per delinquere di stampo mafioso

Decine di sequestri effettuati di compendi aziendali , immobili, autovetture e motocicli per un valore di 1 milione di euro

Schermata 2016-06-15 alle 14.08.01All’alba di questa mattina i  militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Taranto comandato dal Col. Gianfranco Lucignano e coordinati dal T.Col. Domenico Mallia, insieme ai colleghi del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria di Lecce, hanno eseguito a Taranto e nei comuni di Statte e Massafra, 38 ordinanze di custodia cautelare, delle quali 30 in carcere ed 8 ai domiciliari. I provvedimenti di arresto sono stati disposti dal G.I.P. del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura della Repubblica presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce.

Il blitz delle fiamme gialle ha visto impegnati 280 militari per l’esecuzione sia delle ordinanze di custodia cautelare che delle perquisizioni personali e locali nonché sequestri patrimoniali nelle città di Statte, Massafra e Taranto, precisamente in città vecchia e nei quartieri dei Tamburi e Paolo VI.

Schermata 2016-06-15 alle 14.19.42L’operazione è stata denominata “Feudo”, in quanto le attività investigative della Guardia di Finanza hanno portato alla luce come il territorio di Statte fosse diventato un vero e proprio feudo criminale controllato dell’agguerrito gruppo criminale organizzato capeggiata dal “boss” Giuseppe Cesario, detto Pelè (morto nel marzo 2014) operava “in contatto con altre consorterie”, attive a Taranto (come il clan D’Oronzo-De Vitis sgominato nell’ operazione “Alias” sempre dalla DDA di Lecce) ed in Calabria (clan Bonavota e Paviglianiti). Dopo la morte di Pelè la gestione degli affari illeciti sarebbe passata poi nelle mani dei suoi luogotenenti. I reati sarebbero stati commessi dal novembre del 2012 con permanenza fino all’esecuzione delle misure cautelari.

La specifica attività d’indagine, durata tre anni, è scaturita da un controllo eseguito dai finanzieri nei confronti di un professionista titolare di uno studio contabile, nel corso del quale è stata rinvenuta una copiosa documentazione attestante una elevata esposizione debitoria verso una persona che gli aveva concesso dei finanziamenti ad un tasso di interesse usurario che oscillava dal 37 % al 306 % annuo.

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nella foto, il procuratore capo dr. Cataldo Motta, il sostituto procuratore dr. Alessio Coccioli della DDA di Lecce, ed in piedi alle spalle sulla destra il Col. Gianfranco Lucignano comandante provinciale GdF di Taranto

L’approfondimento delle indagini documentali, bancarie e tecniche delegate dall’Autorità Giudiziaria competente, hanno consentito di accertare che quel caso di usura era da inquadrarsi nel contesto di un più ampio contesto criminale messo in piedi da una pericolosa associazione di delinquenti,  connotata da evidenti caratteri di “mafiosità”.

Le ulteriori e capillari operazioni di intercettazione telefonica ed ambientale dei finanzieri hanno consentito di accertare l’esistenza dell’associazione mafiosa, individuadone i componenti, scoprendo le attività illecite ed accertando l’esistenza di un consolidato patto criminale stretto tra il clan mafioso operante in Statte e l’imponente sodalizio mafioso operante in Taranto retto dal noto boss Giuseppe Cesario, alias Pelè, (deceduto nel marzo 2014) tanto che , il 16 novembre 2013 in Statte il dominus 45enne Cosimo Bello, veniva formalmente “promosso” dal Cesario, secondo le ritualità caratterizzanti le organizzazioni ‘ndranghetiste a cui notoriamente la criminalità organizzata tarantina si è collegata nel tempo (mediante l’attribuzione della dote di “santa”) . Un sodalizio che, peraltro, aveva stretto solidi rapporti di collaborazione con altre storiche frange della criminalità organizzata tarantina, quali quelle riconducibili ai noti boss Orlando D’Oronzo e Nicola De Vitis.

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Il gruppo mafioso oggetto di investigazione da parte della Guardia di Finanza appariva dunque specializzato nel traffico organizzato di stupefacenti , attività questa dalla quale il sodalizio ricavava ingenti proventi anche grazie alla stabile collaborazione con esponenti del clan ‘ndranghetista Bonavota di Sant’Onofrio, i delitti di usura ed estorsione, i delitti in materia di armi, non disdegnando il ricorso alla violenza ed alla minaccia allo scopo di realizzare profitti e vantaggi ingiusti nonché il traffico organizzato di sigarette di contrabbando per circa due quintali e mezzo consumato in frode nell’anno 2013 in cui le fiamme gialle in tre distinte  operazioni effettuate sulla S.S. 106 jonica e sulla Strada Statale 7 nei pressi di Taranto, hanno sequestrato complessivamente oltre due chilogrammi di cocaina, una pistola “Smith & Wesson” con matricola abrasa ed una mitraglietta “Sites Spectre”, classificata come arma da guerra, con l’arresto di tre responsabili.

CdG finanzieri GdF TarantoAffiliato al clan mafioso anche un noto imprenditore Egidio Guarino, incensurato che aveva  il compito di sovrintendere alla gestione degli investimenti in attività economiche apparentemente legali ricondotte all’organizzazione mafiosa, per il reimpiego dei proventi illeciti derivanti dalle attività criminose. Le indagini hanno fatto luce su importanti investimenti in tal senso nei più disparati settori dell’economia legale, potendosi ricondurre al sodalizio la gestione, sovente per interposta persona, di redditizie attività di impresa, quali la gestione di una pizzeria, un’agenzia di pompe funebri, un esercizio di vendita all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli, la gestione di una società di giochi e scommesse ed una ditta individuale operante nella vendita di profumi, detersivi e sapone.

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nella foto il T.COl. Mallia ed il Gen. Vicanolo

E’ emerso dalle indagini come i vertici di quel sodalizio non abbiano disdegnato il ricorso a gravi episodi intimidatori, con armi ed esplosivi, allo scopo di scoraggiare qualsivoglia forma di collaborazione con le forze dell’ordine, così da preservare l’esistenza in vita dell’associazione; allo stesso modo, le acquisizioni probatorie hanno accertato il costante clima di assoggettamento ed omertà nella generalità della popolazione residente nel territorio in cui vive ed opera la compagine. I vertici dell’associazione mafiosa non hanno trascurato attività finalizzate alla costante ricerca del “consenso sociale”, provvedendo ad organizzare eventi a favore di quella collettività, assicurando posti di lavoro ed intervenendo a dirimere persino le controversie tra privati, sostituendosi di fatto alle istituzioni pubbliche.

Le indagini hanno portato alla luce anche l’esistenza di altre dinamiche all’interno del sodalizio, sintomatiche della “mafiosità” di esso, quali sono, senza dubbio, i constatati principi di mutualità tra gli associati, che si sono tradotti nel riconoscimento di un sostegno economico ai consociati che, nel corso delle attività investigative, sono stati colpiti da provvedimenti restrittivi della libertà personale. I vertici del clan, in effetti, si sono fatti carico tanto del pagamento delle spese concernenti la tutela legale di essi, quanto dell’attribuzione di un quantum, necessario al sostentamento del nucleo familiare dei sodali stessi.

Del reato di associazione mafiosa rispondono  oltre al defunto “boss” Giuseppe Cesario, 29 indagati. L’aggravante di “associazione mafiosa ” è stata contestata anche al 45enne Cosimo Bello , al 51enne Egidio Guarino,  al 47enne Carlo Mastrochicco, al 61enne Cosimo Morrone, al 32enne Alberto Marangione (per aver fatto parte di un’associazione armata), al 38enne GianniBello e al 41enne Luciano Bello (questi ultimi due per aver commesso i reati nel periodi di applicazione della sorveglianza speciale).

Oltre all’esecuzione delle predette ordinanze di custodia cautelare, le Fiamme Gialle hanno eseguito il sequestro preventivo di 5 attività aziendali (pizzeria, impresa funebre, commercio all’ingrosso di frutta e verdura, agenzia di giochi e scommesse, commercio di detersivi, sapone, profumi e cosmetici) oltre a una villa completamente abusiva, 3 unità immobiliari, 5 autovetture e 3 ciclomotori.

nella foto il Gen. Vicanolo
nella foto il Gen. Giuseppe Vicanolo, comandante regionale Guardia di Finanza

Ad illustrare i particolari dell’operazione, presenti Cataldo Motta, Procuratore Capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce con il sostituto procuratore della DDA Alessio Coccioli, ed il Generale Giuseppe Vicanolo, comandante regionale in Puglia della Guardia di Finanza. Il procuratore Motta ancora una volta ha lanciato un appello: “La repressione è fondamentalmente  indispensabile e necessaria. Ma bisogna affiancargli degli strumenti di prevenzione. Il fenomeno delle associazioni mafiose è un fenomeno culturale e non solo giudiziario “.  Il Generale Vicanolo ha manifestato una certa preoccupazione “quando interi settori dell’economia subiscono minacce e l’esclusione dagli affari a causa delle intimidazioni della mafia. L’invito che voglio rivolgere pubblicamente attraverso i mezzi d’informazione, sopratutto agli imprenditori onesti,  è quello di denunciare per non subire vessazioni o ancor peggio la concorrenza sleale. Non siate sfiduciati, le forze di polizia giudiziaria e la magistratura hanno la capacità di contrastare i fenomeni di violenza ed intimidazione. Quindi fatevi avanti, noi siamo qui per tutelarvi”.

Tutti i nomi degli arrestati dell’  “Operazione Feudo”:

Ordinanza di custodia cautelare in carcere per:  Basile Vincenzo, Bello Cosimo, Bello Gianni, Bello Luciano, Boccuni Michele, Caporosso Cataldo, Cellamare Angelo, Cesario Alberto (nato il 24-4-1977), Cesario Domenico, Cesario Raffaella, D’Oronzo Orlando, De Biasio Egidio, De Gennaro Daniela, De Vitis Nicola, Di Bella Luigi, Di Comite Vincenzo, Dimauro Carmelo, Ferrigni Cosimo Alessio, Ferrigni Marco, Gesualdo Francesco, Guarino Egidio, Liuzzi Graziano, Marangione Alberto, Mastrochicco Carlo, Morrone Cosimo, Rabindo Anna, Russo Vittoria, Scarci Domenico, Sebastio Filippo.

Arresti domiciliari per : Albano Gianpiero, Bello Alessio, Cesario Pasquale, Collocolo Vincenzo, Guarella Nicola, Sebastio Cataldo, Sebastio Vincenzo e Solfrizzi Aldo.

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