TARANTO – Il personale della Squadra Mobile – Sezione Criminalità diffusa, extracomunitaria e prostituzione della Questura del capoluogo jonico in collaborazione con le Questure di Lodi e Vibo Valentia, a seguito di indagini dirette dal pm Dr.ssa Antonella De Luca della Procura della Repubblica di Taranto, ha dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di 13 misure cautelari personali (8 in carcere e 5 agli arresti domiciliari), emessa dalla dr.ssa Paola Incalza Gip del Tribunale di Taranto nei confronti di soggetti ritenuti a vario titolo gravemente indiziati dei reati di associazione a delinquere, sfruttamento, favoreggiamento, agevolazione della prostituzione, ed estorsione.
Fra gli arrestati anche don Saverio Calabrese, parroco di Monteparano, 68enne di origini siciliane, finito nei guai per il rapporto allacciato con Nadia Radu, meglio nota come Smeralda.
A rendere pubbliche le generalità del sacerdote arrestato è stata la Curia di Taranto con un comunicato stampa: “Se le autorità competenti lo consentiranno l’arcivescovo auspica che il provvedimento al quale don Calabrese è stato sottoposto, possa essere trascorso in un luogo diverso dal territorio parrocchiale per ovvie ragioni riconducibili alla serenità e al rispetto per la comunità monteparanese“.
Nel corso della conferenza stampa tenuta dal questore il capo della Squadra Mobile Carlo Pagano ha commentato: “Siamo rimasti sconcertanti perché la prima cosa che abbiamo pensato è stata quella di un suo intervento caritatevole. Poi abbiamo visto che il rapporto era stato avviato proprio con la donna che avrebbe sfruttato le altre e quindi le valutazioni del caso sono state affidate ai magistrati“.
L’arcivescovo di Taranto Mons. Filippo Santoro, ha sospeso in via cautelativa, il sacerdote dal ministero pastorale ed ha chiesto per lui il trasferirlo in altra sede dove scontare la custodia cautelare ai domiciliari a cui è stato sottoposto.
Le indagine effettuate anche mediante il ricorso ad intercettazioni, ha portato alla luce un sodalizio di ampiezza transnazionale – reso ancor più stabile e solido dai rapporti di parentela e di coniugio esistenti tra alcuni dei sodali (tutti di nazionalità rumena) –, dedito allo sfruttamento della prostituzione ai danni di alcune giovani ragazze prevalentemente provenienti dall’Est Europa, che venivano messa sulla strada, costrette alla prostituzione, e sottoposte a “protezione” dietro il pagamento di somme di denaro.
La vicenda trae origine dagli sviluppi di un servizio per il contrasto alla prostituzione, predisposto dalla Questura di Taranto nell’agosto 2017 , durante il quale effettuando dei controlli lungo la Via Alberto Sordi di Taranto (ex Strada Provinciale 105), ove notoriamente esercitano il meretricio numerose cittadine straniere, si è appurato come alcune di loro si vendevano sotto il controllo locale di una 30enne rumena, a sua volta prostituta, stabilmente radicata nel Comune di Faggiano in provincia di Taranto, nonché testa di ponte sul territorio.
Sottoposte al “controllo” della donna rumena, supportata nella sua attività da altri quattro soggetti anche loro di origine rumena, ma in posizione di sudditanza od intermedia rispetto alla stessa – tutti destinatari del provvedimento di cattura), le giovani ragazze corrispondevano settimanalmente somme di denaro (circa 400 euro) quale corrispettivo non solo della locazione del “posto letto” loro offerto all’interno dell’abitazione della maitresse, ma anche per poter esercitare la prostituzione nei luoghi assegnati senza correre rischi e senza alcuna ripercussione di sorta.
Oltre a coordinare e organizzare la prostituzione delle giovani ragazze, assegnando loro i posti da occupare, l’indagata provvedeva a creare rapporti con soggetti impiegati come autisti per raggiungere il posto di lavoro, risolvendo le controversie che potevano insorgere non solo tra le sue stesse “ospiti”, ma anche tra queste e altre concorrenti.
Diverse le condotte di induzione e sfruttamento della prostituzione esercitate dal sodalizio criminale in questione nonché da altri soggetti – comunque in contatto con i componenti dell’associazione –, che oltre ai territori di Taranto e San-Giorgio Jonico (Ta), si estendeva anche in quelli di Foggia, Melegnano (Milano) e Mornico al Serio (Bergano), in un periodo compreso tra l’agosto 2017 ed il settembre 2018.
Per garantirsi il “controllo” di almeno una delle ragazze, ovvero costringerla a consegnare danaro ed a prostituirsi, ne venivano trattenuti i documenti di riconoscimento, minacciandola pure di spedizioni punitive nel caso non avesse adempiuto.
Al momento dei fatti, due dei componenti del sodalizio – in posizione sovra-ordinata rispetto agli altri – risultavano ristretti presso il carcere di Lyon Corbas in Francia, per gravi reati contro la persona (fra cui anche quello di tratta di esseri umani ed associazione a delinquere).
Incredibilmente i due carcerati svolgevano persino dall’interno delle mura del carcere in cui erano detenuti, le proprie condotte illecite, gestendo a distanza via internet l’attività di meretricio delle giovani donne dalle quali ricevevano parte dei loro ricavi.
L’analisi di alcuni video postati su profili Facebook a loro riconducibili – dalla cui visione si comprendeva chiaramente che nel corso delle registrazioni si trovavano entrambi all’interno di una stanza dalle caratteristiche di una cella carceraria –, ha consentito di appurare come i predetti avessero la disponibilità di apparecchi cellulari, impiegati per eseguire i collegamenti via web.
I rimanenti indagati, tutti italiani e dimoranti a Taranto, ed in provincia a San Giorgio Jonico e Monteparano, la maggior parte dei quali destinatari invece della misura cautelare degli arresti domiciliari, rispondono esclusivamente di favoreggiamento ed agevolazione della prostituzione, essendosi prestati in maniera continuativa e stabile a fornire assistenza alle prostitute, ovvero piena disponibilità nei confronti dell’unica donna componente il suddetto sodalizio criminale, e di riflesso anche nei confronti delle ragazze da quest’ultima gestite.
Soltanto uno degli indagati, destinatario della più afflittiva misura della custodia cautelare in carcere, risponde per essersi organizzato con la locazione di vari immobili, siti in Via Crispi, peraltro in pessime condizioni di manutenzione, che provvedeva ad affittare a prezzi esorbitanti a prostitute e transessuali dediti alla prostituzione che lui stesso reperiva attraverso un lavoro di ricerca effettuato su siti internet dedicati.
Nei tre immobili, individuati ed ancora oggi occupati da persone dedite alla prostituzione , sono stati sottoposti tutti a sequestro preventivo.