ROMA – I militari del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza di Milano, con il supporto del Comando Provinciale di Palermo e di altri Reparti sul territorio nazionale, hanno dato esecuzione a ordinanze di custodia cautelare e sequestro preventivo, emesse dal dr. Morosini Gip presso il Tribunale di Palermo, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 91 persone tra boss, gregari ed estorsori mafiosi, nonché di un vasto patrimonio immobiliare e mobiliare del valore di circa 15 milioni di euro. Impegnati 500 uomini delle Fiamme Gialle, con l’appoggio di un mezzo aereo e di unità cinofile addestrate per la ricerca di armi, stupefacenti e valuta.
Gli investigatori del nucleo speciale di polizia valutaria, della Guardia di Finanza di Milano guidati dal tenente colonnello Saverio Angiulli, hanno ricostruito i passaggi di denaro e i nuovi investimenti che stavano per partire. “Cosa nostra spa” non conosce crisi, ed i Fontana e i loro insospettabili manager disponevano di una grande liquidità di denaro.
Il gip Piergiorgio Morosini che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, ha rilanciato l’allarme: “I clan sono pronti ad approfittare della situazione attuale, sono sempre pronti a dare la caccia ad aziende in stato di necessità – scrive nel suo provvedimento – Con la crisi di liquidità di cui soffrono imprenditori e commercianti, i componenti dell’organizzazione mafiosa potrebbero intervenire dando fondo ai loro capitali illecitamente accumulati per praticare l’usura e per poi rilevare beni e aziende con manovre estorsive, in tal modo ulteriormente alterando la libera concorrenza”.
Le accuse contestate sono a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, ricettazione, riciclaggio, traffico di droga, frode sportiva e truffa.
Le operazioni sono in corso in Sicilia, Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Campania. Nel maxiblitz, coordinato dalla Dda di Palermo guidata da Francesco Lo Voi, affiancato dall’aggiunto Salvatore De Luca, dai sostituti Amelia Luise, Dario Scaletta e Roberto Tartaglia (da alcuni giorni diventato vice capo del DAO, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) sono stati colpiti e decimati i “clan” dell’Acquasanta e dell’Arenella. In manette sono finiti esponenti di importanti famiglie mafiose palermitane come i Ferrante ed i Fontana.
L’inchiesta palermitana smantella due ”famiglie” di spicco di Cosa nostra palermitana, ha portato alla luce gli interessi dei clan negli appalti e nelle commesse sui lavori eseguiti ai Cantieri Navali di Palermo, nelle attività del mercato ortofrutticolo, nella gestione delle scommesse online e delle slot-machine, oltre che in quella “storica” del traffico di droga e nelle corse dei cavalli.
Lunghissima la lista delle attività commerciali sottoposte al racket del pizzo. Cosa nostra siciliana, ha continua a reclutare degli insospettabili, probabilmente in difficoltà economiche, come Daniele Santoianni, l’ex broker di una società fallita che si era reinventato concorrente del Grande Fratello 10. il quale esauritasi l’esperienza televisiva, si era prestato a fare da prestanome in una società che gestiva l’ultimo investimento della cosca, la commercializzazione di cialde e capsule di caffè.
Adesso Santoianni si trova agli arresti domiciliari, accusato dalla Procura di Palermo e dal Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza di essere un ingranaggio importante della grande macchina di riciclaggio architettata fra Palermo e Milano dai rampolli del “clan Fontana“, storica famiglia di mafia, che si sono ormai trasferiti da qualche anno in Lombardia.
In Lombardia, operavano invece i “registi “dell’operazione: i fratelli Fontana, Gaetano (44 anni), Giovanni (42) e Angelo (40), i figli di don Stefano, ritenuto uno dei fedelissimi del “capo dei capi” Totò Riina deceduto nel 2013. Arrestate anche la figlia Rita, e la moglie del boss dell’Acquasanta, Angela Teresi.
Gli “affari” della cupola milanese
L’anno scorso, era stata sequestrata dqll’ Autorità Giudiziaria una gioielleria dei Fontana a Milano, nel “quadrilatero della moda”, in via Felice Cavallotti, situata a metà strada fra il Duomo e il Tribunale di via Freguglia.
I rampolli di Cosa Nostra puntavano a sviluppare nuovi affari, per riciclare i soldi provenienti dalla Sicilia, cercando di non dare nell’occhio. Gaetano Fontana era stato scarcerato tre anni fa, ed aveva intestato la gioielleria alla sua convivente. Dopodichè aveva anche acquistato degli appartamenti in alcune zone residenziali del capoluogo lombardo.
Il vero business su cui puntava era quello del caffè: inizialmente, con alcune aziende che si occupavano della produzione, e successivamente aveva optato di investire esclusivamente sulla distribuzione. Tre società sequestrate: una Palermo e due a Milano, una delle quali era amministrata ufficialmente da Daniele Santoianni l’ex concorrente del “Grande Fratello“.
La passione per i cavalli
La famiglia Fontana poteva contare a Palermo, su un “fedelissimo” , Giovanni Ferrante che non era proprio un insospettabile, avendo finito di scontare nel 2016 una condanna per “mafia”, venendo affidato in prova ai servizi sociali ed ufficialmente era diventato un cittadino modello. Ma agli investigatori è bastato pedinarlo ed intercettarlo per accertare che gestiva in modo energico il suo “clan”. Ed anche lui puntava tutto sul riciclaggio del denaro mafioso attraverso alcuni investimenti leciti, per i quali utilizzava dei prestanome.
La sua grande passione erano i “purosangue”, ne aveva comprato addirittura dodici, che adesso sono stati sequestrati, da far correre negli ippodromi italiani . Ferrante naturalmente li faceva correre a modo suo, cioè “truccando” le gare, un vecchia passione dei padrini mafiosi. Il prefetto di Palermo Antonella De Miro tre anni fa aveva fatto scattare un’interdittiva per “mafia” nei confronti della società Ires spa che gestiva l’ippodromo della Favorita, che attualmente è ancora chiuso.
Le intercettazioni della Guardia di Finanza hanno inoltre accertato e portato alla luce gare “truccate” due anni fa negli ippodromi di Torino, Villanova D’Albenga (Savona), Siracusa, Milano e Modena . Alcuni fantini venivano avvicinati e sarebbero stati corrotti, per non vincere. Nelle intercettazioni, i boss mafiosi parlavano anche di sostanze dopanti da somministrare ai cavalli.