di Ignazio Marino
Qualche sera fa un uomo d’affari e noto filantropo americano mi ha chiesto un’opinione sulla situazione politica e sociale in Italia. Ero appena uscito dalla mia Università, a Philadelphia, e mi sono lasciato coinvolgere volentieri. Conosco la profonda cultura internazionale del mio amico e ci lega una condivisa passione per l’arte e l’archeologia: mi è sembrata un’ottima occasione per esporre le mie riflessioni, quasi sempre eretiche rispetto ai dogmi della politica. Il mio pensiero si è proiettato oltre le valutazioni sul presidente del Consiglio, sul M5S, sul Pd e sulle altre formazioni politiche.
Ho raccontato del Comune di Riace perché il mio interlocutore ne conosce e ne ammira i bronzi. Un ottimo spunto per raccontargli che anni fa avevo visitato l’antico borgo ripopolato da persone fuggite dai loro Paesi e che lì avevano iniziato una nuova vita grazie alle loro attività artigianali: chi soffiava il vetro, chi intrecciava tessuti, chi modellava ceramiche. Era stata riaperta anche la scuola elementare per i bambini che finalmente erano tornati a far rivivere l’antico borgo. Uno di loro mi aveva dato una lezione che non dimenticherò. Quando gli avevo chiesto come mai fosse a Riace e perché da solo, mi aveva risposto così: “Tre anni fa, quando avevo 5 anni, la mia mamma, in Afghanistan, mi consegnò a degli sconosciuti e piangendo mi disse, figlio mio oggi non puoi capirmi ma io desidero che tu vada via perché spero che tu possa crescere in un paese dove potrai studiare, dove non rischierai di essere ucciso da una mina, e dove, se ti ammalerai, potrai essere curato”. In quelle parole, pronunciate da un bimbo straniero in perfetto italiano, erano condensati tre principi fondamentali sanciti dagli articoli 11, 32 e 34 della nostra Costituzione: il ripudio della guerra, il diritto all’istruzione e l’accesso alle cure. Ma c’era anche la speranza. Quella di cui l’Italia attualmente scarseggia ma per la quale vale la pena continuare a impegnarsi. Ed è di questo che voglio scrivere oggi.
La formazione di questo governo nell’estate 2019 ha un significato molto più profondo dell’unione di due forze politiche che fino a pochi giorni fa affermavano di non avere nulla in comune. Con questa decisione chi rappresenta la sinistra in Italia cancella le ideologie e i valori della propria storia. Non si dica, per favore, che anche ai tempi di statisti come Aldo Moro ed Enrico Berlinguer si trovarono percorsi comuni, perché quei percorsi erano stati costruiti con profondo e severo lavoro intellettuale e culturale, raggiungendo risultati tangibili e duraturi. Penso al drammatico 1978, l’anno dell’assassinio di Aldo Moro. Allora la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista approvarono insieme la legge 194 per cancellare il dramma degli aborti clandestini, la legge 180 per la chiusura dei manicomi e la legge 833 per attuare l’articolo 32 della Costituzione e istituire il Servizio Sanitario Nazionale. Votarono insieme tre leggi che incidono tuttora profondamente sulla società Italiana.
Oggi i partiti che affermano di rappresentare la sinistra si siedono al governo con una forza politica che solo tre settimane fa ha votato il decreto sicurezza bis che prevede l’arresto per chi salva una donna incinta o un bambino in mare e li conduce in porto contro il parere del ministro dell’Interno. Preferisco essere minoranza per sempre se la maggioranza la pensa così. Eppure non rinuncio a sperare che valori come la scuola pubblica, la sanità pubblica, l’accoglienza, i diritti civili, la dignità di un lavoro, la laicità dello Stato, possano tornare a essere condivisi dalla maggioranza degli Italiani e al centro dell’azione del governo e del Parlamento. Lo sono stati quando grandi uomini e donne in quel palazzo di piazza di Montecitorio, lo stesso che ha ospitato gli incontri di questi giorni, scrissero la nostra carta costituzionale: quella che tre anni fa alcuni politici avrebbero voluto stravolgere.
Ho cercato di comprendere se il mio sconcerto non fosse un mio limite. Se fossi io a non percepire quel serio lavoro di approfondimento che in pochi giorni può aver portato a condivisioni programmatiche forze politiche così differenti, come è accaduto negli anni ’70. Non sono riuscito a individuare nulla di simile e la memoria è tornata a tempi più recenti quando, nel 2009, corsi per la segreteria nazionale del Pd. Anche Beppe Grillo all’epoca voleva partecipare alle primarie del Pd ma tutta la nomenclatura del partito si schierò contro e gli annullarono la tessera che aveva sottoscritto. Io fui l’unico ad affermare che aveva il diritto di candidarsi, perché credo nelle competizioni trasparenti e nel confronto delle idee. Gli stessi che oggi auspicano di sedersi nel governo a maggioranza grillina allora non solo lo cacciarono, dopo che si era regolarmente iscritto, ma gli suggerirono di fondare un partito per vedere dove sarebbe andato. E, come sappiamo, Grillo seguì il suggerimento del Pd.
Non si può vivere nel passato e il futuro si costruisce cambiando sé stessi e mutando opinione. Tuttavia, non proverei a debellare la poliomielite o il morbillo scegliendo come compagno di viaggio chi crede che i vaccini siano un pericolo per l’umanità. Posso anche accettare le critiche più violente senza risentimento, ma se dovessi costruire una squadra per affrontare una sfida importante cercherei omogeneità di valori. Cosa ben diversa dall’omogeneità di pensiero.
Alcuni hanno sottolineato l’urgenza di incombenti decisioni economiche, in particolare per evitare l’aumento dell’Iva. È un tema centrale ma rappresenta un obiettivo, non un valore. Il valore è la visione economica del Paese. L’economia non può essere il fine ma lo strumento. Il fine è il benessere dei cittadini, le loro opportunità, la possibilità di avere un lavoro stabile e non rischiare di essere licenziati perché a un imprenditore conviene nonostante l’azienda sia in attivo. La storia recente ha dimostrato cosa è stato fatto e soprattutto cosa non è stato fatto dal M5S nei confronti delle aziende che hanno chiuso o che rischiano di chiudere in Italia.
Inoltre, si è preferito offrire un reddito di cittadinanza (assolutamente auspicabile in alcune specifiche situazioni) piuttosto che promuovere decisioni che producano lavoro e incentivino investimenti stranieri. Penso allo stadio della Roma. Il M5S ha rinunciato a un progetto che avrebbe portato nella capitale 1,5 miliardi di euro in investimenti stranieri e circa 5mila posti di lavoro, oltre a un segno architettonico unico come le torri dell’architetto Daniel Libeskind. Gli imprenditori privati avrebbero dovuto spendere trecento milioni di euro in opere pubbliche per la ferrovia, la metropolitana, due ponti e un parco. Qual è stata la risposta alla decisione del M5S da parte del Pd, allora al governo?
Il Pd ha assecondato la visione del M5S trovando accettabile che le opere pubbliche non pesassero sui privati (permettendo loro profitti maggiori). Le faremo con il denaro pubblico, con i soldi dei cittadini, promise il ministro Lotti, nonostante la legge finanziaria del 2013, firmata dal presidente del Consiglio Enrico Letta, vincolasse la costruzione di uno stadio privato a investimenti pubblici realizzati dallo stesso privato. È questa la coerenza, sono questi i valori con cui la sinistra vuole rilanciare l’economia italiana? Cosa è cambiato negli ultimi giorni per garantire che invece gli investimenti stranieri si cercheranno per creare posti di lavoro e condizioni strutturali migliori per l’Italia?
Mi chiedo ancora, come si può giustificare un Pd che accetta di governare con quello stesso M5S che solo poco tempo fa strizzava l’occhio ai partiti nazionalisti dell’ultradestra europea? Certo, esiste il tema della deriva a cui potrebbe condurre l’ambizione autoritaria di Matteo Salvini. Si possono fare molti esempi ma quando il ministro dell’Interno di un Paese del G7 parla in difesa del capotreno che dall’altoparlante dei vagoni urla: “…zingari: scendete alla prossima fermata, perché avete rotto i coglioni”, si genera in molti una reazione chiara: se il ministro dell’Interno difende chi usa questo linguaggio, potrò usarlo anche io. E qui, per non drammatizzare, anche se il dramma io lo percepisco fortemente, mi affiderei alle parole di Michela Murgia nel suo “Manuale per diventare fascista” (Einaudi, 2018): “Manipolando gli strumenti democratici si può rendere fascista un intero paese senza nemmeno pronunciare mai la parola “fascismo”, che comunque un po’ di ostilità potrebbe sollevarla anche in una democrazia scolorita, ma facendo in modo che il linguaggio fascista sia accettato socialmente in tutti i discorsi…“. Ho fatto l’esempio del capotreno perché un linguaggio razzista diviene facilmente condivisibile da chi stenta ad arrivare alla fine del mese e si convince che la colpa è di chi è diverso da lui. Oggi la comunicazione ha sottratto quasi tutto lo spazio alla riflessione e i cosiddetti “leader” (in tedesco “führer” come sottolinea sempre Michela Murgia) sembrano più preparati a seguire gli umori e i sondaggi che a dare l’esempio e a rispettare quanto affermato nella Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.
Sono consapevole che il percorso che descrivo è molto più lungo e impegnativo ma populismo e fascismo non si contrastano divenendo tutti un po’ populisti, bensì sostenendo e rafforzando una cultura diversa, solidificando e testimoniando i valori in cui il popolo di sinistra crede. Non ci sono scorciatoie efficaci.
Come sempre, però, vedo il bicchiere mezzo pieno. Esiste una solida ideologia di destra, con i suoi valori, opposti ai miei e a quelli di chi vorrebbe una democrazia liberale e di sinistra. In questa opposizione scorgo la possibilità per la sinistra di ritrovare la propria identità. Questo momento storico può rappresentare una opportunità imprevista per la nascita di una forza popolare e democratica, con il ritorno alla possibilità per gli elettori di determinare una alternanza tra conservatori e progressisti, tra visioni geopolitiche profondamente differenti. Insomma, il ritorno a una democrazia fondata sul potere sovrano del popolo e del Parlamento.
Gli italiani sono scoraggiati, impauriti e arrabbiati ma coltivano la passione per la res publica, anche se il comportamento degli attuali leader politici invita a coltivare il cinismo più che la speranza e a preoccuparsi del qui e ora senza riflettere sul futuro, perché guardare avanti implica sforzo intellettuale, analisi, capacità di riflessione. E anche generosità. Quanto è attuale l’aforisma di Winston Churchill: “Il politico diventa uomo di Stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni invece che alle prossime elezioni”. Questa è un’occasione per cancellare un partito, il Pd, che purtroppo ha dimostrato di non essere in grado di tenere fede alle idee e di sostenere i valori della sinistra democratica, né di saper costruire una rappresentanza degna di tutti quei cittadini che in quelle idee e in quei valori credono fermamente. Serve ora un catalizzatore credibile che, se emergerà, solleverà il Paese con un’onda di speranza.
Credo davvero che sia sempre meglio tentare di fare la cosa giusta rispetto a quella che conviene. Dal 1987 ovunque ho lavorato ho appeso questo stralcio del discorso che Theodore Roosevelt tenne nel 1910 alla Sorbona di Parigi, dal titolo emblematico: “Cittadini in una Repubblica”. Eccolo: “L’onore spetta all’uomo che realmente sta nell’arena, il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue; che lotta con coraggio; che sbaglia ripetutamente, perché non c’è tentativo senza errori e manchevolezze; che lotta effettivamente per raggiungere l’obiettivo; che conosce il grande entusiasmo, la grande dedizione, che si spende per una giusta causa; che nella migliore delle ipotesi conosce alla fine il trionfo delle grandi conquiste e che, nella peggiore delle ipotesi, se fallisce, almeno cade sapendo di aver osato abbastanza. Dunque il suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta“.
In diversi momenti della storia recente d’Italia quelle anime timide, ma bramose, hanno occupato posizioni ogni volta che è stato loro possibile farlo senza confronto pubblico e consenso popolare. Non è solo mancanza di etica personale: rinunciando alla competizione, hanno trasmesso alla società valori negativi. Ma il popolo sa distinguere tra le scelte fondate sugli ideali rispetto a quelle fatte per convenienza. E non dimentica.