di Andrea Cangini
Il momento è propizio, o si fa l’Europa ora o non la si fa più. La ragione principale per cui il progetto europeo procede a rilento è che il passaggio dall’Unione economica a quella politica richiede un sentimento. Quel sentimento di cittadinanza comune che con tutta evidenza non si è ancora fatto largo tra le nazioni degli Stati membri. L’Europa è un frutto della ragione, un calcolo, un concetto. Vive nella testa di molti, ma non scalda il cuore di nessuno. Non suscita emozioni, non costituisce un’identità, non determina un’appartenenza. Un’Europa tutta testa e niente sentimento. E questo è un problema, dal momento che motore della Storia e della Politica sono i sentimenti ben più della ragione.
Senza un sentimento di appartenenza, dunque, non è ragionevole ritenere che gli Stati membri possano delegare all’Unione europea quella sostanza politica che rappresenta il presupposto di una politica estera e di difesa comuni. Qualcosa, però, sta cambiando. I prestiti e gli stanziamenti a fondo perduto disposti per far fronte alle conseguenze della pandemia hanno riacceso nelle opinioni pubbliche un sentimento di fiducia nei confronti di Bruxelles. Lo dicono i sondaggisti. È possibile che gli storici diranno un giorno che la spinta maggiore per la nascita di un’Europa politica l’abbia data Vladimir Putin.
Difficile isolare la cerchia degli amici senza aver identificato i nemici. Difficile maturare il senso del “noi” senza identificare “l’altro”. Diceva, infatti, il giurista Carl Schmitt che l’essenza della Politica è riassunta dalla logica amico-nemico. Ebbene, dal 24 febbraio noi europei abbiamo un nemico. Un nemico che rappresenta una minaccia fisica, addirittura. Una minaccia nucleare. Lo spettro della guerra e l’irruzione in scena della violenza agitano i nostri sentimenti e ci inducono a riconoscere e a difendere i nostri confini. Sia quelli territoriali, sia quelli morali. A difendere le terre europee e i principi di libertà e democrazia che ne ispirano le leggi.
È dunque possibile che grazie all’incombere dell’autoritarismo putiniano e alla minaccia dell’imperialismo russo la parola Europa assuma un po’ alla volta quella carica sentimentale che ad oggi le è mancata. Se i leader politici e i capi di Stato e di governo dei paesi membri avranno la capacità di spiegare il valore della posta in palio, la paura della morte potrebbe fare il resto. Parafrasando Massimo D’Azeglio, avremo, allora, “fatto gli europei”: condizione essenziale per poter fare davvero l’Europa.