La conclusione è arrivata dalla quarta commissione del Csm, che ha chiesto al plenum di bocciare l’istanza per il riconoscimento del beneficio avanzata dai familiari del giurista Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale (durante la presidenza di Giorgio Napolitano) deceduto per un infarto nel 2012 , per “insussistenza dei presupposti”.
D’Ambrosio è stato prima pretore a Volterra e poi, dal 1979, si è occupato come pm dei più importanti processi in materia di terrorismo e di criminalità organizzata a Roma (tra cui la banda della Magliana). L’ideazione di istituire la Procura nazionale antimafia e la Dia risalgono all’epoca della sua collaborazione con Giovanni Falcone . Dal 1996 al 2001 è stato capo di Gabinetto dei quattro ministri della Giustizia succedutisi in quegli anni. Procuratore generale presso la Cassazione, dal 2001 al 2004, venne nominato al Quirinale consulente per i problemi della giustizia dal presidente Carlo Azeglio Ciampi venendo riconfermato in seguito da Giorgio Napolitano.
D’Ambrosio venne colpito dall’infarto in un momento difficile della sua vita: era stato oggetto di attacchi e critiche dopo che era stato pubblicato il contenuto delle sue telefonate intercettate con l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, che erano finite nel fascicolo della procura di Palermo, che indagava sulla presunta trattativa tra Stato e mafia, rivelatasi un flop giudiziario, con la conseguente assoluzioni di tutti gli imputati.
La difesa di Giorgio Napolitano
“Una campagna violenta e irresponsabile di insinuazione e di escogitazioni ingiuriose di cui era stato pubblicamente esposto, senza alcun rispetto per la sua storia e la sua sensibilità”, come scrisse il presidente della repubblica Giorgio Napolitano nella nota con la quale annunciava, “con profondo dolore e animo sconvolto“, il decesso del suo “prezioso” ed autorevole collaboratore, “impegnato in prima linea anche al fianco di Giovanni Falcone”. Alla pubblicazione (incivile) delle telefonate di D’Ambrosio erano seguite indiscrezioni sulle chiamate captate tra Napolitano e Mancino, che portarono l’allora presidente della Repubblica a sollevare il conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale nei confronti della procura di Palermo.
“L’affetto e la stima che le ho dimostrato in questi anni restano intangibili, neppure sfiorati dai tentativi di colpire lei per colpire me”. con queste parole il 19 Giugno 2012 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si rivolgeva al suo più stretto collaboratore, Loris D’Ambrosio,. Era appena scoppiato il “caso Mancino“. “Non ho mai esercitato pressioni o ingerenze che, anche minimamente potessero tendere a favorire il senatore Mancino“. aveva scritto il giorno prima il consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio al presidente Napolitano, premettendo di essersi comportato con i magistrati “con lo stesso rispetto” che ha ispirato tutti i suoi comportamenti. Ma aggiungeva che proprio la delicatezza delle indagini richiedeva “il ripudio di metodi investigativi non rigorosi, o almeno non sufficientemente rigorosi nella ricerca delle prove e nella loro verifica di affidabilità“.
“Le sue condotte sono state ineccepibili; e assolutamente obiettiva e puntuale è la sua denuncia dei comportamenti perversi e calunniosi – funzionali a un esercizio distorto del proprio ruolo – di quanti, magistrati giornalisti o politici, non esitano a prendere per bersaglio anche lei e me». Così continuava nella sua lettera il presidente Napolitano, che è è pubblicata in un volumi di scritti del Presidente della Repubblica sulla giustizia.
Nella missiva a Napolitano datata 18 giugno 2012, e resa pubblica a Scandicci a margine dell’inaugurazione della nuova Scuola per i magistrati alla presenza dello stesso capo dello Stato, Loris D’Ambrosio sottolineava anche la necessità “dell’abiura di approcci disinvolti” da parte di alcuni magistrati, “non di rado più attenti agli effetti mediatici che alla finalità di giustizia“. Sulla cosiddetta “trattativa Stato-mafia” sono stati in tanti sin dal primo momento d’accordo nell’affermare che esistono “gravi contrasti tra le diverse Procure che stanno indagando“. E’ quanto scriveva D’Ambrosio, citando a sostegno di questa tesi il procuratore generale della Cassazione, quello antimafia, il Csm e la Commissione parlamentare antimafia.
D’Ambrosio scriveva a Napolitano che era opinione diffusa che “le criticità ed i contrasti esistono e sono gravi, ma che a essi non si riesce a porre rimedio. Mi ha turbato leggere nei resoconti di un’audizione all’Antimafia le dichiarazioni di chi ammette che – aggiungeva D’Ambrosio – della cosiddetta trattativa Stato-mafia uffici giudiziari danno interpretazioni diversificate e spesso confliggenti, ma che ciò è fisiologicamente irrimediabile trattare lo stesso soggetto da imputato o da testimone o parte offesa, da fonte attendibile o da pericoloso e interessato depistatore“” Ed aggiungeva: ” Ho sempre detto che le criticità ed i contrasti”nei procedimenti sulle stragi «non giovano al buon andamento di indagini che imporrebbero, per la loro complessità, delicatezza e portata, strategie unitarie, convergenti e condivise oltre che il ripudio di metodi investigativi non rigorosi», sottolineava D’Ambrosio. se la stessa cosa – notava lo stretto collaboratore del Presidente .
6 anni di ritardo del Csm
Ma oltre alla decisione a dir poco imbarazzante, quello che colpisce è stato il clamoroso ritardo nell’evasione della risposta da parte del Csm : oltre 6 anni, considerato che la richiesta è stata presentata il 21 luglio 2017. Un ritardo addebitabile a quella precedente consiliatura del Consiglio Superiore della Magistratura e soltanto in una minima parte anche a quella in carica attualmente a Palazzo dei Marescialli. Un anno dopo la morte del giurista, gli eredi della famiglia D’ Ambrosio chiesero di accedere ai benefici previsti per i familiari di chi è stato vittima del dovere, o “equiparato vittima del dovere”, previsti dalla legge 206 del 2004.
I familiari delle vittime del dovere hanno diritto al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, oltre a un vitalizio mensile, l’esenzione dal pagamento del ticket sanitario, l’accesso a borse di studio e l’assistenza psicologica., ma la quarta commissione del Csm ha accolto il parere dell’Ufficio Studi di Palazzo dei Marescialli, che spesso esonda ed interpreta in maniera singolare leggi e normative “blindando” le proprie decisioni, ha escluso che ci potessero essere spiragli per il riconoscimento a D’Ambrosio dello status di “vittima del dovere“. Adesso l’ultima parola passa al plenum, che deciderà domani., anche se sembra difficile che voglia smentire la decisione, considerato che in commissione è passata all’unanimità. Ma non sarebbe la prima volta che accade.