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5 Novembre 2024 01:19

Per la Corte Cassazione i blog scritti da un giornalista possono essere sequestrati

Post diffamatorio nel blog del giornalista: legittimo il sequestro del sito. Decisive le caratteristiche dello spazio web utilizzato come canale di comunicazione. Mancano i presupposti per parlare di testata giornalistica telematica. E irrilevante è il fatto che il blogger sia un giornalista.

di Valentina Taranto

Schermata 2016-04-01 alle 19.52.13Può essere sottoposto a sequestro il blog anche se colui che ne cura e pubblica i contenuti è un giornalista iscritto all’Ordine. Così  ha deciso la Corte di Cassazione, V sezione penale, che nella sentenza n. 12536/2016, ha chiarito  la questione confermando un orientamento giurisprudenziale delle Sezioni unite n. 31022 del 29/01/2015. E’ inutile quindi scrivere, come molti giornalisti e pseudo siti di informazione facevano per sfuggire al reato di diffamazione a mezzo stampa, che “Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001“.

La sentenza della Cassazione ha così rigettato il ricorso di un giornalista il cui blog era stato sottoposto a sequestro a causa di contenuti offensivi rivolti nei confronti di una terza persona. La Corte, conferma che, secondo la giurisprudenza delle Sezioni unite, in tema di sequestro di giornali e di altre pubblicazioni, la testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di “stampa” di cui l’art. 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 e, pertanto, non può essere oggetto di sequestro preventivo in caso di commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa.

Tuttavia la stessa Cassazione ha precisato che in tale ambito non rientrano i nuovi mezzi di manifestazione del pensiero destinati ad essere trasmessi in via telematica “quali forum, blog (ossia «una sorta di agenda personale aperta e presente in rete, contenente diversi argomenti ordinati cronologicamente»), newsletter, newsgroup, mailing list e social network, che, pur essendo espressione del diritto di manifestazione del pensiero, non possono godere delle garanzie costituzionali relative al sequestro della stampa”.

Questa la sentenza:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Presidente: NAPPI ANIELLO

Relatore: CAPUTO ANGELO

Ha pronunciato la seguente:

Sentenza n. 12536 dep. il 24 marzo 2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 22/10/2015, il Tribunale di Parma ha rigettato la richiesta di riesame proposta da L.B., imputato del reato di cui all’art. 595, primo e terzo comma, cod. pen. commesso ai danni di V.M. R.G. , avverso il provvedimento di sequestro emesso il 29/09/2015 dal Tribunale di Parma avente ad oggetto l’inteso sito intemet www.L.B..it .

2. Avverso l’indicata ordinanza del 22/10/2015 ha proposto personalmente ricorso per cassazione L.B., articolando sei motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

Il primo motivo denuncia violazione di legge: la richiesta di qualificare il sito sequestrato quale testata giornalistica si fondava sull’attività informativa e giornalistica svolta (in linea con la giurisprudenza della Corte Edu) e sulle diverse sezioni e tipologie di contenuti dello stesso, del tutto trascurati dal Tribunale del riesame; il sito sequestrato ha certamente sezioni definibili come blog, ma anche sezioni in cui si svolge attività informativa e giornalistica.

Il secondo motivo denuncia violazione di legge: diversamente da quanto affermato dal Tribunale del riesame, nessuno degli articoli riportati dal P.M. a sostegno della richiesta di sequestro preventivo è oggetto della sentenza di condanna appellata dal ricorrente, né avrebbe potuto esserlo trattandosi di articoli privi di eventuale querela.

Il terzo motivo denuncia violazione di legge: in ordine alla doglianza relativa all’incompetenza per territorio, il Tribunale del riesame non ha considerato la giurisprudenza di legittimità secondo cui il reato di diffamazione attraverso internet è reato di evento che si consuma quando i terzi percepiscono l’espressone ingiuriosa e, dunque, quando frasi o immagini lesive siano immesse sul web.

Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 36, lett. h) cod. proc. pen.: il Collegio del Tribunale del riesame che ha emesso l’ordinanza impugnata è esattamente quello che nel dicembre del 2012 si era espresso nella medesima funzione all’interno del medesimo procedimento.

Il quinto motivo denuncia motivazione apparente circa la sussistenza della condizione di procedibilità: l’ordinanza impugnata sostiene, da un lato, che gli ulteriori brani pubblicati successivamente alla sentenza di primo grado sono stati oggetto della sentenza medesima, mentre, dall’altro, rendendosi conto della carenza dei presupposti per la procedibilità e della confusione tra continuazione, perpetrazione e reiterazione, afferma che gli stessi articoli rilevano solo ai fini della valutazione del pericolo di reiterazione del reato.

Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 27 Cost.; pur condannato in primo grado, il ricorrente, che ha appellato la sentenza, deve essere considerato innocente.

3. In data 20/01/2016 il difensore del ricorrente avv. A. Artusi ha depositato memoria con motivi aggiunti.

Con riguardo al quinto motivo, la memoria deduce, sotto il profilo dell’adeguatezza e della proporzionalità della misura, che l’estensione del sequestro ad un intero sito web, specialmente quando consista in un blog di informazione, è ammissibile solo quando non vi sia altro modo per conseguire la finalità preventiva, laddove l’ordinanza impugnata risulta priva delle menzionate caratteristiche, tanto più che l’estensione era stata esclusa nei provvedimenti di sequestro del 2009 e del 2012. Ove la ragione dell’estensione debba ravvisarsi nella mera ripubblicazione di scritti asseritamente diffamatori, risulta il travalicamento delle finalità del sequestro preventivo, che ha assunto le caratteristiche della punizione di L.B. per non aver rispettato la “ammonizione” del Tribunale del riesame del 2012. Il sito www.L.B..it ospita centinaia di articoli e scritti in varie materie dello stesso L.B. e di altri, sicché non si può sostenere che il sequestro dell’intero sito sia l’unica tutela necessaria per evitare il ripetersi di pubblicazioni (presunte) diffamatorie. Non può biasimarsi L.B. per avere riportato on line, in buona fede e per un breve periodo, pagine oggetto di precedente sequestro e la notizia della propria condanna in primo grado (con stralci della decisione e del capo di imputazione), posto che una sentenza è certamente accessibile alla collettività. Non viene argomentata l’impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso un vincolo limitato alle sole pagine interessate.

Con riguardo al primo motivo, è più ragionevole far riferimento alla natura sostanziale del sito in questione (assimilabile a un periodico on line, piuttosto che a un mero blog), tanto più che L.B. risulta iscritto all’ordine dei giornalisti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.

1.1. In premessa, mette conto richiamare, sulla scorta dell’ordinanza impugnata e in estrema sintesi, gli antefatti dell’adozione della misura reale oggetto del provvedimento che viene all’esame di questa Corte.

Il 28/05/2015 il Tribunale di Parma ha condannato L.B. per il reato di cui all’art. 595, primo e terzo comma, cod. pen. commesso ai danni di V.M. R.G. (e, come rileva l’ordinanza impugnata, «accertato a Modena il 25/9/2008 con consumazione in atto») pubblicando nel sito dell’imputato www.L.B..it scritti dal contenuto fortemente offensivo e denigratorio. Il 03/12/2012, durante il giudizio dibattimentale, il Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo dell’intero sito, allo scopo sia di far cessare le conseguenze dannose delle condotte illecite già poste in essere dall’imputato, sia di evitare la reiterazione di ulteriori reati della stessa specie in danno di V.M. R.G.: il pericolo di reiterazione fu desunto dalla circostanza che l’imputato non si era minimamente curato di un precedente provvedimento di sequestro preventivo in data 08/05/2009 relativo alle sole pagine del sito in cui erano pubblicati scritti diffamatori nei confronti della persona offesa, in quanto L.B. aveva pubblicato, su altre pagine del sito, affermazioni offensive, anche dopo l’inizio del giudizio.

Con ordinanza del 26/12/2012, il Tribunale di Parma confermò la misura cautelare reale relativamente alle pagine del sito web contenenti riferimenti diretti o indiretti a V.M. R.G., disponendo il dissequestro delle altre pagine. Le pagine sequestrate sono state oggetto di confisca con la sentenza di condanna di primo grado. Il 19/06/2015 la persona offesa ha depositato una memoria in cui lamentava che, dopo la sentenza di condanna, L.B. aveva nuovamente pubblicato nel sito gli stessi scritti denigratori per i quali era stato condannato, nonché ulteriori scritti diffamatori nei confronti dello stesso V.M. R.G.. Il Tribunale di Parma il 29/09/2015 ha accolto la richiesta di sequestro preventivo dell’intero sito, rilevando, da un iato, che in esso erano stati pubblicati gli stessi scritti oggetto della sentenza di condanna del 28/05/2015 e, dall’altro, che i nuovi episodi, sia pure autonomamente rilevanti ai sensi dell’art. 595 cod. pen., rivelavano l’insufficienza del sequestro parziale al fine di impedire l’utilizzazione da parte di L.B. del blog per porre in essere nuovi reati della stessa specie.

2. Il primo motivo non è fondato.

2.1. Le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che, in tema di sequestro di giornali e di altre pubblicazioni, la testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di “stampa” di cui all’art. 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 e, pertanto, non può essere oggetto di sequestro preventivo in caso di commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa, precisando, tuttavia, che, in tale ambito, non rientrano i nuovi mezzi di manifestazione del pensiero destinati ad essere trasmessi in via telematica quali forum, blog (ossia «una sorta di agenda personale aperta e presente in rete, contenente diversi argomenti ordinati cronologicamente»), newsletter, newsgroup, mailing list e social network, che, pur essendo espressione del diritto di manifestazione del pensiero, non possono godere delle garanzie costituzionali relative al sequestro della stampa (Sez. U, n. 31022 del 29/01/2015 – dep. 17/07/2015, Fazzo e altro, Rv. 264090); il concetto di stampa, ha chiarito inoltre Sez. U. Fazzo, definisce il prodotto editoriale sulla base di un requisito ontologico (struttura) e di uno teleologico (scopi della pubblicazione): la struttura è «costituita dalla “testata”, che è l’elemento che lo identifica, e dalla periodicità regolare delle pubblicazioni (quotidiano, settimanale, mensile)», mentre «la finalità si concretizza nella raccolta, nel commento e nell’analisi critica di notizie legate all’attualità (cronaca, economia, costume, politica) e dirette al pubblico, perché ne abbia conoscenza e ne assuma consapevolezza nella libera formazione della propria opinione»; in questo quadro, hanno osservato le Sezioni unite, «la previsione dell’obbligo di registrazione della testata on line, che deve contenere le indicazioni prescritte e deve essere guidata da un direttore responsabile, giornalista professionista o pubblicista, non è un mero adempimento amministrativo fine a sé stesso, ma è funzionale a individuare le responsabilità (civili, penali, amministrative) collegate alle pubblicazioni e a rendere operative le corrispondenti garanzie costituzionali, aspetti questi che, in quanto strettamente connessi e consequenziali alla detta previsione, sono ineludibili».

2.2. Richiamata puntualmente la pronuncia delle Sezioni unite, l’ordinanza impugnata ha rilevato che il sito www.L.B..it non risulta registrato come organo di stampa, non presenta alcuna testata o una periodicità regolare nelle emissioni. Osserva ancora il giudice del riesame che si tratta, invece, di un blog, nel quale è assente qualsiasi riferimento a un direttore responsabile, le pubblicazione si susseguono con cadenza del tutto irregolare (a volte anche a distanza di anni), svariati scritti consentono interventi dei lettori in replica o a commento; lo stesso L.B., rileva l’ordinanza impugnata, viene definito testualmente “giornalista – blogger” e il sito viene chiamato blog (anche dallo stesso imputato nell’articolo pubblicato il 28/05/2015 dal quale è scaturito il sequestro in esame). A fronte della diffusa motivazione del provvedimento impugnato, il ricorrente fa leva sull’invocato riconoscimento sostanziale dell’attività informativa e giornalistica e sulle diverse sezioni e tipologie di contenuti del sito web, nonché, con il motivo aggiunto, sull’iscrizione di L.B. all’ordine dei giornalisti: i rilievi, tuttavia, non inficiano le conclusioni del giudice del riesame in ordine alla carenza, nel sito in questione, dei requisiti, così come delineati dalla richiamata sentenza Fazzo, necessari a definire una testata giornalistica telematica, tanto più che gli specifici elementi valorizzati dall’ordinanza impugnata (assenza del carattere della periodicità regolare delle pubblicazioni, della testata e della registrazione, oltre alle indicazioni rinvenibili nello stesso sito e negli scritti dell’imputato) sono del tutto trascurati dal ricorso, che, sotto questo profilo, risulta privo della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).

3. Il secondo motivo è inammissibile. Nella sostanza, il mezzo di impugnazione denuncia un travisamento da parte dell’ordinanza impugnata laddove ha fatto riferimento alla ripubblicazione dei brani già oggetto della sentenza di condanna: la censura, tuttavia, è articolata in termini generici, in assenza di completa e specifica individuazione degli atti processuali fatti valere (Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 – dep. 14/03/2012, S., Rv. 252349), tanto più che la stessa memoria depositata il 20/01/2016 menziona l’inserimento nel sito di pagine oggetto di precedente sequestro.

4. Il terzo motivo è inammissibile. Premesso che l’ordinanza applicativa del 29/09/2015, come si evince dalla stessa, è stata adottata dal Tribunale di Parma in composizione monocratica nell’ambito del processo svoltosi nei confronti di L.B. dopo la pronuncia della sentenza di condanna e nella pendenza del termine per l’appello, la doglianza è del tutto generica, limitandosi a richiamare la struttura del reato di diffamazione, senza ricollegare ad essa specifiche deduzioni in punto individuazione del giudice competente per territorio, tanto più che, per un verso, nessuna deduzione viene prospettata in ordine alla proposizione dell’eccezione di incompetenza per territorio nel giudizio di cognizione e, per altro verso, il Tribunale in composizione monocratica si è pronunciato sulla base della competenza funzionale a provvedere sulla richiesta di sequestro preventivo – ex art. 321, comma 1, cod. proc. pen. – dopo l’esercizio dell’azione penale (Sez. 2, n. 14109 del 12/03/2015 – dep. 08/04/2015, De Mari ed altro, Rv. 263305) e, segnatamente, dopo lo svolgimento del giudizio di primo grado.

5. Il quarto motivo è manifestamente infondato, in quanto l’eventuale incompatibilità del giudice costituisce motivo di ricusazione, ma non vizio integrante una nullità processuale (ex plurímis, Sez. U, n. 23 del 24/11/1999 – dep. 01/02/2000, Scrudato e altri, Rv. 215097), laddove la causa di astensione di cui alla lett. h) dell’art. 36 cod. proc. pen. neppure integra una causa di ricusazione.

6. Il quinto motivo è infondato. L’ordinanza impugnata ha chiarito che, ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità, è sufficiente la querela per la diffamazione accertata con la sentenza del 28/05/2015, posto che la valutazione dei fatti successivi viene in rilievo sotto il profilo della proporzionalità del vincolo reale, ossia dell’adeguatezza della misura cautelare adottata rispetto al rischio di reiterazione dei reati; ha aggiunto il Tribunale di Parma che la riproduzione cartacea degli scritti comparsi sul sito dell’imputato dopo la sentenza di condanna (allegati dalla parte civile nella sua memoria) dimostra che L.B. ha nuovamente pubblicato gli scritti oggetto della sentenza stessa, il che, per un verso, integra un’autonoma condotta illecita punibile in presenza della necessaria condizione di procedibilità e, per altro verso, dimostra che un sequestro solo parziale del sito è inadeguato ad impedire la reiterazione di reati. Ben lungi dal risultare apparente, come dedotto dal ricorrente, la motivazione dell’ordinanza impugnata ha congruamente dato atto della sussistenza della condizione di procedibilità, rilevando che il sequestro preventivo è stato disposto con riferimento al reato per il quale è intervenuta condanna, laddove i fatti successivi sono stati valutati al solo fine dell’adeguatezza della misura cautelare reale (e, segnatamente, della portata del suo oggetto).

6.1. Le doglianze proposte con i motivi aggiunti sono inammissibili, perché investono un punto della decisione impugnata – quello relativo alla adeguatezza e alla proporzionalità del sequestro preventivo adottato – non attinto dal ricorso principale (e neppure oggetto di deduzione dinanzi al Tribunale del riesame) e, come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, i “motivi nuovi” a sostegno dell’impugnazione, previsti tanto nella disposizione di ordine generale contenuta nell’art. 585, quarto comma, cod. proc. pen., quanto nelle norme concernenti il ricorso per cassazione in materia cautelare (art. 311, comma 4, cod. proc. pen.) ed il procedimento in camera di consiglio nel giudizio di legittimità (art. 611, primo comma, cod. proc. pen.), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’art. 581, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998 – dep. 20/04/1998, Bono ed altri, Rv. 210259). Tali doglianze risultano, comunque, manifestamente infondate: premesso che, come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, in tema di sequestro preventivo, l’autorità giudiziaria, ove ricorrano i presupposti del fumus commissi delicti e del periculum in mora, può disporre, nel rispetto del principio di proporzionalità, il sequestro preventivo anche di un intero sito web (Sez. U, n. 31022 del 29/01/2015 – dep. 17/07/2015, Fazzo e altro, Rv. 264089), l’ordinanza impugnata ha dato contro dell’ impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso altri e meno invasivi strumenti cautelari (Sez. 5, n. 8382 del 16/01/2013 – dep. 20/02/2013, Caruso, Rv. 254712), sulla base della valutazione della complessiva vicenda e, segnatamente, dell’inadeguatezza di cui hanno dato prova i precedenti sequestri parziali del sito in questione: a fronte della motivazione resa dall’ordinanza impugnata, le censure del ricorrente, quando non risultano articolate in fatto (le dimensioni quantitative degli scritti inseriti nel sito) o prive di correlazione con le ragioni del provvedimento impugnato (il riferimento al contenuto all’ordinanza del 28/12/2012, svolto, in realtà, dall’ordinanza in esame nella prospettiva di escludere la scusabilità dell’errore in cui sarebbe incorso il ricorrente), denunciano, al più, vizi motivazionali insindacabili in questa sede, posto che secondo l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692; conf. Sez. U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto).

6.2. Priva di pregio è la deduzione difensiva circa l’intervenuta prescrizione del reato, deduzione in nessun modo correlata alle indicazioni offerte dall’ordinanza impugnata in ordine al tempus commissi delicti (come si visto, «accertato a Modena il 25/9/2008 con consumazione in atto», ossia in epoca rispetto alla quale il termine di prescrizione non risulta decorso), tanto più che la valutazione circa il perfezionamento della fattispecie estintiva non può prescindere dall’esito del giudizio di impugnazione, né dallo scrutinio di eventuali cause di sospensione della prescrizione intervenute in primo grado (rispetto alle quali nessuna deduzione ha accompagnato il rilievo difensivo).

7. Il sesto motivo è manifestamente infondato, in quanto il riferimento ad una sentenza di condanna in primo grado al fine della valutazione del fumus necessario per l’adozione della cautela reale non è certo in contrasto con la presunzione costituzionale di non colpevolezza.

8. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 25/02/2016.

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