Il sindacato di riferimento della sinistra italiana perde il 13 per cento dei suoi 5,6 di iscritti: esattamente 723.969 unità da inizio gennaio. Dai piani alti del sindacato guidato da Susanna Camusso provano a gettare acqua sul fuoco, spiegando che “si tratta di numeri parziali” e che i conti andranno fatti a ottobre. Rispetto allo stesso periodo del 2014, però, il saldo negativo è di 110.917 iscritti – cifra che sale a 220.891 se il raffronto viene fatto con il 2013. Rispetto allo stesso periodo del 2014, però, il saldo negativo è di 110.917 iscritti – cifra che sale a 220.891 se il raffronto viene fatto con il 2013.
Sei pagine di preoccupanti tabelle, suddivise per categorie e territori, a cura dell’ “area organizzazione” della Cgil nazionale. Ma è in fondo alla prima pagina, che si trova il numero che ha fatto venire ai dirigenti che hanno ricevuto il documento un brivido lungo la schiena: rispetto alla fine del 2014, ad oggi, il sindacato “rosso” ha 723.969 iscritti di meno.
Il sindacato poteva comunque contare su 5,6 milioni di tessere – quindi si fatto segna una perdita del 13 per cento – ma quel dato, per rendere l’idea, è quasi quanto il numero degli abitanti della provincia di Genova. Che ieri avevano in tsca una tessera della CGIL e oggi non l’hanno più. Un’emorragia che preoccupa e non poco i piani alti della Cgil, nonostante ci sia davanti tutto l’autunno per recuperare e nonostante il raffronto con lo stesso periodo del 2014 parli di un -110.917 iscritti. Che però sono il doppio (220.891) se si confronta giugno 2013 con giugno 2015.
Tra i fattori decisivi nella crisi del sindacato rosso c’è sicuramente l’incapacità di dialogare con i giovani e meno giovani protagonisti del precariato: un fenomeno che si riflette nell’accresciuto peso della categoria dei pensionati nelle dinamiche interne al sindacato. Proprio per porre un freno a questa emorragia è in programma una “Conferenza di organizzazione”, prevista per il 17 e 18 ottobre prossimi a Roma, in cui verrà tracciato un bilancio e si proverà a trovare nuove soluzioni per tornare ad rappresentare i lavoratori.
Le varie categorie rappresentante del Sindacato vanno analizzate singolarmente. Il Nidil, che teoricamente dovrebbe rappresentare tutti gli atipici, quindi il fronte più ampio di possibile espansione, per ora ha il 48,8 per cento in meno di iscritti. Nel settore del commercio, la Filcams segna un -24 per cento. Negli edili, la Fillea: -21,4 per cento. Anche nel settore dell’agricoltura, la Flai: -20,6 per cento. Dulcis in fondo le tute blu della Fiom: -12,5 per cento, con la controindicazione che nonostante le battaglie a viso aperto di questi ultimi anni , hanno visto crollare il numero degli iscritti ad esempio, dai 12mila iscritti del gruppo Fiat a poco più di 2mila.
“Stiamo vivendo profondi mutamenti nella società e non possiamo rimanere quelli di sempre – spiega Nino Baseotto, della segreteria – Le persone tutelate dal contratto nazionale sono sempre di meno e diventa vitale rivolgerci a tutti gli altri.”
La ricetta proposta, però, è quella tradizionale della sinistra: maggiore spesa pubblica. “La sfida vera è cambiare paradigma: da 20 anni si parla di flessibilità e deregolamentazione per creare lavoro. È vero il contrario. Servono investimenti pubblici, semmai”. Quasi come a voler dire: se il mercato del lavoro è in crisi è colpa dei Governi, la fuga dei lavoratori dal sindacato è solo un effetto collaterale. Landini e Camusso per ora chiaramente tacciono. Cosa altro potrebbero aggiungere ?