BARI – E’ stata l’agenda dell’imprenditore Luigi Dagostino e la sua maniacale abitudine di annotare ogni appuntamento (anche con l’ex ministro Luca Lotti, con l’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e con Tiziano Renzi, papà dell’ex premier Matteo) ed il pagamento di tangenti, che hanno consentito ai magistrati di Lecce di trovare le conferme alle ipotesi accusatorie emerse nel corso delle indagini che ieri hanno portato all’arresto del giudice del Tribunale di Roma Antonio Savasta e e del pubblico ministero Michele Nardi in servizio presso la Procura di Roma, i quali all’epoca dei fatti erano entrambi in servizio presso il palazzo di giustizia di Trani.
Un ’organizzazione in cui ognuno ha il suo compito, secondo ricostruzione fatta dal procuratore di Lecce Leonardo Leone De Castris e dal pm Roberta Licci: “Nardi è colui che stabilisce le regole organizzative dell’associazione e la ripartizione dei profitti”, “crea i contatti, acquisisce informazioni”; Savasta, “in virtù delle sue funzioni presso la Procura di Trani, concretamente ha il potere di intervenire ed agisce attivando le più disparate iniziative giudiziarie”; Vincenzo Di Chiaro, ispettore presso il commissariato di Corato, “ha il compito di predisporre false relazioni di servizio e comunicazioni di reato, tutte puntualmente ‘canalizzate’ in modo tale da farle pervenire direttamente a Savasta” ed è il punto di collegamento tra quest’ultimo e D’Introno.
L’avvocato Simona Cuomo, nella sua veste di avvocato, “fornisce copertura giuridica alle iniziative concordate”, costruendo anche false denunce, ed è proprio sulla base di questa architettura delinquenziale ed associativa che si sarebbe configurata più volte la svendita della funzione giudiziaria, un “asservimento, e la circostanza rende se possibile ancora più squallida l’intera vicenda, che i due magistrati offrono all’imprenditore D’Introno per risolvere i suoi guaigiudiziari, imprenditore visto quale una ‘gallina dalle uova d’oro’ a cui spillare denaro e altre utilità in ogni possibile occasione” scrive il gip .
Sull’incontro, come scrive il gip, Lotti venne ascoltato dai pm di Firenze il 16 aprile 2018. “Nonostante gli scarsi ricordi di Luca Lotti in merito all’incontro segnato sull’agenda di Dagostino del 17 giugno 2015“, si legge nell’ordinanza, Lotti “rammentava comunque di aver incontrato il pm Savasta“.
Nel corso di una perquisizione della Guardia di Finanza nei confronti di Dagostino, accusato di corruzione in atti giudiziari, gli investigatori hanno sequestrato due agende, del 2015 e del 2016, nelle quali l’imprenditore aveva annotato con dovizia di particolari incontri e viaggi, cene e somme di denaro associate a nomi.
È proprio dall’analisi dell’agenda, i cui dettagli sono stati poi incrociati con l’esito delle intercettazioni e le dichiarazioni rese durante le indagini, che gli inquirenti ricostruiscono l’incontro a Palazzo Chigi avvenuto nel giugno 2015 tra Dagostino, il commercialista Roberto Franzè, Savasta e Lotti ed i rapporti dello stesso Dagostino con Tiziano Renzi, che nel luglio e nel settembre dello stesso anno si recava in Puglia in sua compagnia per riunioni e cene.
Il pm Savasta (a lato nella foto) avrebbe chiesto e ottenuto da Dagostino l’incontro con Lotti per cercare di avere un incarico a Roma ed allontanarsi così dalla Procura di Trani, in quanto era coinvolto in procedimenti penali e disciplinari al Csm.
Quest’ultima circostanza è stata documentata anche da Giovanni Legnini allora vicepresidente del Csm il quale, ascoltato come testimone dalla Procura di Firenze nell’aprile 2018, annota il gip nella sue 862 pagine dell’ordinanza, ha anche “prodotto una stampa dei vari procedimenti disciplinari a carico di Antonio Savasta, alcuni dei quali già pendenti dal 2015″, .
L’ avvocato abruzzese Giovanni Legnini, ex senatore del Pd, è candidato alla presidenza per il centrosinistra alle elezioni regionali del prossimo 10 febbraio (quindi in piena campagna elettorale) compare nelle carte delle indagini ma non è indagato.
Dalle indagini emerge, infatti, che “già nel corso del 2015 Savasta si attiva per costruirsi appoggi strumentali ad alternative professionali avvalendosi proprio di Dagostino e dei suoi importanti contatti anche in contesti istituzionali“. Nello stesso tempo, però, Savasta indaga su Dagostino per un giro di fatture false, ma per ricambiare il favore non esercita l’azione penale nei confronti dell’imprenditore.
Quando Savasta viene trasferito a Roma, il procuratore capo di Trani invia per competenza gli atti a Firenze. Gli appuntamenti di Dagostino con imprenditori e politici, continuano nel 2016 come annotato nelle sue agende. Ad una cena del 6 dicembre a casa di un giornalista che era stato in passato responsabile della comunicazione di Legnini, quando questi era sottosegretario del Governo Letta, partecipò lo stesso Legnini nel frattempo diventato vice presidente del Csm e presidente della commissione disciplinare che aveva in carico una serie di procedimenti su Savasta , e che in quelle settimane avrebbe deciso sul trasferimento d’ufficio del magistrato).
Della presenza di Savasta a quella cena, – annota il gip – Legnini “non era previamente informato o comunque a conoscenza” della presenza di uno dei due Giudici indagati e del suo amico imprenditore alla cena alla quale l’ ex vicepresidente del Csm era stato invitato. “Se avessi saputo della loro presenza, certamente non sarei andato a quella cena privata con 30 persone a casa di un mio ex collaboratore“, dichiara Legnini in una nota.
I due magistrati Savasta e Nardi sono accusati di aver preso parte ad un’associazione per delinquere finalizzata ad intascare tangenti per insabbiare indagini e pilotare sentenze giudiziarie e tributarie in favore di facoltosi imprenditori. Oltre ai due magistrati è finito in carcere l’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro, mentre sono stati interdetti dalla professione l’imprenditore Dagostino, ex socio di Tiziano Renzi, e gli avvocati Ruggiero Sfrecola e Simona Cuomo (“pupilla” dell’ avvocato Sisto) la quale – secondo la Procura salentina – avrebbe avuto il compito di conferire “veste legale” alle iniziative di D’Introno e dei suoi familiari (anch’essi indagati) nei procedimenti gestiti da Savasta. .
Dalle indagini era emerso come il pm Nardi (a lato nella foto) fosse capace di sfruttare il proprio ruolo di magistrato, per condizionare in maniera illegale gli esiti delle indagini a suo carico, grazie ad una talpa (non individuata) nel palazzo di giustizia salentino, ma grazie anche ad una rete di rapporti con ambienti esterni ma molto bene informati. Infatti il magistrato barese aveva tentato di intimorire e condizionare il pm Roberta Lecci della Procura di Lecce, titolare del fascicolo d’indagine a suo carico, millantando amicizie ed influenza con dei magistrati leccesi .
Il gip nella sua ordinanza ha evidenziato come Nardi fosse stato capace di creare e falsificare delle documentazioni inesistenti, nel vano tentativo di giustificare i soldi ricevuti illecitamente. E non solo, infatti il magistrato barese era stato persino capace di procurarsi informazioni riservate e coperte dal segreto istruttorio sul procedimento in questione che lo vedeva indagato.
Flavio D’Introno, imprenditore di Corato (Bari) operante nel settore delle ceramiche, era già stato arrestato nell’ambito dell’ “operazione Fenerator” nel 2007, lo scorso ottobre scorso ha cominciato a collaborare con i Carabinieri di Barletta ai quali ha rivelato tutto. L’imprenditore fa di più e nell’autunno scorso per conferire maggiore attendibilità alle sue dichiarazioni, inizia a registrare con lo smartphone i suoi colloqui negli incontri al bar ed altrove. In alcuni momenti i ruoli addirittura si invertono.
Savasta evidentemente ha fondati seri timori: lo invita a non dire nulla di loro e gli promette 50mila euro per fuggire alle Seychelles. È il “prezzo del silenzio di D’Introno – riporta nell’ordinanza – così come emerge il pieno coinvolgimento anche di Nardi nella strategia finalizzata a comprare il silenzio, provvedendo a fornirgli i mezzi per fuggire dall’Italia e rendersi definitivamente irreperibile”. Lo scorso 18 novembre 2018, Savasta consegna i primi soldi a titolo di anticipo a D’Introno, perché “diciamo tu ti rendi conto che dovremmo vergognarci di vivere per quello che uscirà fuori di merda”, gli spiega l’ex pm.
“Ho consegnato circa 300mila euro in contanti a Savasta, circa un milione e mezzo di euro, comprensivo di regali materiali, a Nardi”, ha detto D’Introno. Il magistrato Antonio Savasta, a sua volta avrebbe “gestito, su specifico mandato di Nardi, una serie innumerevole di procedimenti artatamente creati e gestiti al fine di favorire il D’Introno sia nel processo Fenerator che in altri procedimenti penali”.
D’Introno microfonato dai Carabinieri , incontrò Savasta il quale, a sua volta, avrebbe reso dichiarazioni “confessorie” chiamando in correità anche Nardi. E sarebbe stato proprio quest’ultimo a “introdurre il D’Introno a Savasta e a chiedergli di occuparsi delle vicende che riguardavano D’Introno”. Inoltre, l’imprenditore D’ Introno ha più volte sottolineato la conoscenza delle indagini in corso presso la Procura di Lecce da parte di Nardi sin dal gennaio 2016, epoca certamente antecedentemente a quella della notifica dell’avviso di proroga delle indagini avvenuta il 28 settembre 2016.
Flavio D’Introno decisosi a parlare durante gli interrogatori ricostruisce lo “stillicidio” , perché Nardi ci andava giù pesante quando lui non era disponibile: “Disse che se io parlo allora mi doveva far ammazzare da questi dei servizi segreti, tanto lui a Lecce era molto potente, conosceva gip, capo procura, conosceva tutti, disse: ‘Tu sei un morto che cammina se parli’, disse”.
“Quando faccio vedere la tua foto – gli avrebbe detto – faccio uscire a uno e viene qua… io ho i contatti con i servizi segreti. Ho sentito “Inzerrillo” disse su un altro procedimento penale della struttura Gladio”. E lo ripete: “Nardi mi ha minacciato di morte dicendosi capace di fare del male sia alla dottoressa Licci che a me che al luogotenente Santoniccolo per il tramite dei servizi segreti deviati”.
L’imprenditore D’ Introno inizialmente riferisce solo dei suoi rapporti con Nardi, cerca di tener fuori Savasta, in virtù del loro “patto d’onore”. Poi però, si apre e piano piano delinea i contorni di quella che lui stesso definisce “associazione a delinquere” finalizzata alla corruzione in atti giudiziari.
“Senza contare la capacità di condizionamento del Nardi anche in virtù del suo ruolo di ispettore del ministero di Giustizia” scrive il gip Giovanni Gallo nell’ordinanza di custodia cautelare , circostanze emerse da quanto riferito dal D’Introno negli interrogatori, nonché i rapporti con la massoneria e con i servizi segreti.
In particolare, il magistrato Nardi che era attualmente in servizio pm presso la Procura di Roma avrebbe utilizzato queste sue conoscenze per costringere l’imprenditore D’ Introno a dargli i soldi che chiedeva: “…o mi dai due milioni di euro e vieni assolto o questa è la tua foto… io ho fatto queste indagini grosse al Vaticano… al Gladio… e tu te ne vai…».