di Federica Gagliardi
ROMA – La disciplina sulla trasmissione per via gerarchica delle informative di reato lede le attribuzioni costituzionali del pubblico ministero. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale che ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari nei confronti del Governo.
Il conflitto sollevato dal procuratore di Bari, Il procuratore del capoluogo pugliese, Giuseppe Volpe, sosteneva che la norma di fatto abrogasse parzialmente il segreto investigativo e che il governo fosse andato oltre la delega del Parlamento introducendo una sorta di deroga alla riservatezza. “Notizie riservate potevano arrivare dove non dovevano con il rischio di compromissione delle indagini”, cioè vere e proprie “fughe di notizie legittimate”, commenta il capo della Procura di Bari che ha definito “la sentenza come “un grandissimo successo”. Il magistrato spiega che la legge rischiava di “compromettere il segreto istruttorio e la stessa obbligatorietà dell’azione penale”. Il ricorso è stato scritto personalmente dal procuratore di Bari, rappresentato nel giudizio dai professori Giorgio Costantino e Alfonso Celotto.
L’obbligo per la polizia giudiziaria di riferire ai propri superiori in merito alle notizie di reato “è lesivo delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero, garantite dall’articolo 109 della Costituzione“. Con la norma censurata, l’articolo 18, comma 5, del decreto legislativo n. 177 del 2016, varata dal governo Renzi nell’agosto 2016 (un mese dopo le prime notizie sull’inchiesta Consip), si prevedeva che “i vertici delle Forze di Polizia” adottassero “istruzioni affinché i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato” trasmettessero “alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale”. In parole semplici : ogni indagine doveva essere riferita al vertice della piramide gerarchica di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, ovvero ai ministeri dell’Interno, della Difesa e dell’Economia.
“Una norma a dir poco sorprendente”, l’aveva criticata il procuratore di Torino, Armando Spataro segnalando subito “profili di incostituzionalità“, e soprattutto di un “contrasto con alcune norme del codice di procedura penale che attribuiscono al pubblico ministero il ruolo di dominus esclusivo dell’indagine”. “Il segreto investigativo così diventa carta straccia“, diceva Spataro parlando di un ulteriore passo della “generale tendenza a spostare ogni attività verso l’esecutivo, persino la guida della polizia giudiziaria”. La legge, evidenziava sempre il procuratore Spataro, infatti non prevede “alcun divieto” per le gerarchie delle forze dell’ordine “di riferire all’autorità politica”.
La Consulta, che ha trattato il caso nell’udienza pubblica di ieri, pur riconoscendo che “le esigenze di coordinamento informativo poste a fondamento della disposizione impugnata sono meritevoli di tutela“, ha ritenuto “lesiva delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero” la specifica disciplina della “trasmissione per via gerarchica delle informative di reato“. La sentenza, con le motivazioni, sarà depositata nelle prossime settimane.