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3 Luglio 2024 07:56
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Poliziamoderna, rivista ufficiale della Polizia di Stato dedica uno speciale alle figure femminili simbolo dell’antimafia.

In un’intervista, Cristina Fava, funzionario della Polizia di Stato a Genova, racconta per la prima volta del nonno, Giuseppe Fava, il giornalista ucciso in un agguato mafioso, il 5 gennaio 1984: in che modo la sua vicenda ha influenzato la scelta di indossare la divisa.

In occasione dell’8 e del 21 marzo (festa della donne e giornata del ricordo delle vittime della mafia) Poliziamoderna, il magazine della Polizia di Stato dedica un’ampio servizio alle figure femminili che sono diventate simbolo dell’antimafia. Parla Alessandra Dino, docente di sociologia giuridica e della devianza presso l’Università di Palermo. L’esperta analizza le storie di alcune donne cresciute in ambito mafioso capaci di sfidare le famiglie criminali e desiderare una vita diversa per sè stesse e per i propri figli attraverso un percorso di legalità.

Donne che vivono sul loro corpo le violenze e le crudeltà dei compagni criminali, in alcuni casi uccise, il cui desiderio di una vita diversa può essere l’inizio di un processo di emancipazione che la società civile (forze dell’ordine e magistratura) dovrebbe utilizzare contro le stesse organizzazioni criminali.

In un’intervista, Cristina Fava, funzionario della Polizia di Stato a Genova, racconta per la prima volta del nonno, Giuseppe Fava, il giornalista ucciso in un agguato mafioso, il 5 gennaio 1984: in che modo la sua vicenda ha influenzato la scelta di indossare la divisa, come lo ricorda attraverso i racconti familiari, ma anche le battaglie civili di sua zia Elena Fava per diffondere in tutto il Paese l’opera e la memoria del padre.

Infine un focus sul libro di fotografie e interviste di Gabriella Ebano (Insieme a Felicia. Il coraggio nella voce delle donne) dedicato a Felicia Bartolotta, madre di Peppino Impastato, dove si ripercorrono alcune delle 20 testimonianze di donne siciliane (raccolte negli anni Duemila su omicidi di mafia che v anno dal quello del sindacalista Nicolò Azoti nel 1946 fino al Don Puglisi nel 1993) madri, sorelle e mogli che hanno portato avanti il ricordo dei propri cari vittime delle mafie.

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