Il processo sulla Banca Popolare di Bari arriva in aula dopo quasi otto anni dall’apertura del fascicolo e ad un anno dalla chiusura delle indagini, la Procura ha finalmente chiesto e ottenuto l’inizio del processo., dopo il lavoro certosino dei finanzieri della Guardia di Finanza di Bari guidata dal comandante provinciale Gen. Nicola Altiero che scopri nei conti dell’istituto bancario all’epoca dei fatti guidato dalla famiglia Jacobini, che nascondeva 715 milioni di euro di crediti marci che sarebbero stati occultati ai correntisti-investitori.
Il prossimo 17 maggio compariranno in aula davanti al Gup Giuseppe De Salvatore l’ex presidente Marco Jacobini, suo figlio Gianluca Jacobini ex vice direttore generale della banca, l’ex amministratore delegato Giorgio Papa, l’ex direttore generale Vincenzo De Bustis Figarola , Roberto Pirola ex presidente del collegio sindacale e gli ex dirigenti Elia Circelli , Nicola Loperfido e Gregorio Monachino, per rispondere, a vario titolo sulla base delle rispettive responsabilità operative, dei reati falso in bilancio, ostacolo alla vigilanza della Banca d’ Italia e della Consob reato questo per il quale gli Jacobini sono già a processo in altro procedimento, ed anche di estorsione, maltrattamenti e lesioni all’ex dirigente Luca Sabetta, che era stato assunto come capo dei rischi e successivamente rimosso dall’incarico e demansionato, dalle cui dichiarazioni si avviò l’inchiesta principale che nel processo risulta come parte offesa.
Fra le accuse a loro carico compare anche il reato di aggiotaggio, al quale sarebbero estranei i dirigenti Pirola e Marella, in quanto avrebbero manipolato il mercato, così ingannando quei correntisti-investitori che avevano investito in azioni e obbligazioni nella convinzione loro prospettata che la Banca Popolare di Bari fosse ben gestita con ottime performance finanziarie, mentre invece versava in gravi difficoltà a seguito di pesanti crediti marci per finanziamenrti erogati senza le necessarie precauzioni, secondo l’impianto accusatorio impostato dal procuratore capo di Bari Roberto Rossi e dai pubblici ministeri Federico Perrone Capano, Luisiana Di Vittorio, Lanfranco Marazia e Savina Toscani. La settimana scorsa la gip Angela Paola De Santis, su richiesta della Procura, ha archiviato le posizioni degli ex dirigenti Benedetto Maggi e Giuseppe Marella, indagati per false comunicazioni sociali.
Gli alti dirigenti dell’ istituto bancario barese, lo chiamavano “il metodo Popolare” come è emerso dalle nelle intercettazioni telefoniche che sarebbe stato mantenuto in piedi negli anni fra il 2016 e il 2019 dai vertici della Banca Popolare di Bari, così portando l’istituto in default accumulando nel 2018 una perdita consolidata di 430 milioni di euro . Si prospetta quindi uno scontro in aula fra il passato e il presente consentendo ai piccoli risparmiatori di potersi costituire parte civile, come già accaduto nel primo processo a carico di Marco e Gianluca Jacobini, richiedendo loro un risarcimento per i presunti danni ricevuti a seguito del loro operato illegale per il quale sono a processo.
I finanziamenti “allegri” senza garanzie
Nei capi di accusa ipotizzate dai pm della Procura barese , sono molteplici i nomi di imprenditori e società utilizzati dai pm per sostenere l’ accusa che la il top management della Popolare di Bari abbia concesso crediti la cui restituzione era, così come è stato, “di dubbio esito”. La lista di 61 clienti importanti della banca barese comprende la società lombarda Cantieri Edili Bergamelli; la Kreare Impresa (fallita) dell’ex presidente del Bari Calcio Cosmo Giancaspro, la societa milanese Leggiero Real Estate di Salvatore Leggiero, l’avvocato e politico barese Giacomo Olivieri, il costruttore romano Luca Parnasi arrestato nel 2018 nell’ambito dell’ inchiesta avviata dalla procura di Roma sullo stadio della Roma Calcio, la società Roma Trevi spa , la società romana Infrastrutture Sardegna 2000, il Gruppo Nitti (fallito) e la Immoberdan (società facenti capo al costruttore Nicola Nitti), l’ospedale ecclesiastico Miulli di Acquaviva delle Fonti (Bari), il Fondo Sorgente con sedi fra Roma e New York controllato dalla Sorgente Group Italia una holding attiva nei settori immobiliare, finanza, infrastrutture ed editoria (proprietaria del quotidiano il Foglio ed in passato azionista anche della Edisud spa la società editrice fallita che editava il quotidiano barese La Gazzetta del Mezzogiorno ) guidata all’immobiliarista romano Valter Mainetti. Un paradosso è che Il Fondo Sorgente è il proprietario delle due torri del quartiere residenziale Poggiofranco a Bari, attualmente in locazione al Ministero di Giustizia, che attualmente ospitano gli uffici giudiziari di Bari fra cui quelli della Procura.
Luigi Jacobini, ex direttore finanziario, fratello di Gianluca, ha ricostruito nel novembre 2022 in altro processo come la situazione già molto difficile è peggiorata , dall’acquisizione di Tercas, che ha portato al commissariamento di Banca Popolare di Bari avvenuto nel 2019 e successivamente all’acquisizione e salvataggio da parte di Mediocredito Centrale. “L’acquisizione di Tercas – aveva spiegato Luigi Jacobini – fu deliberata dal consiglio di amministrazione su input dell’amministratore delegato, Giorgio Papa, e poi seguita dalla Pianificazione controllo di gestione e dalla direzione Business, con a capo Gianluca Jacobini“. Ricordando di essere stato estromesso dalle operazioni di aumento del capitale, e ha raccontato di aver più volte espresso il suo “disagio per l’impostazione dell’operazione” e di aver sostenuto di “non voler essere coinvolto in un processo nel quale non potevo rappresentare un valore aggiunto”. Estromissione che ha riguardato anche la struttura contabilità, alla quale veniva solo richiesto di “presentare le tabelle del bilancio, che sono il minimo sindacale”.
In poche parole l’ ex direttore finanziario ha spiegato che “i vertici della Banca popolare di Bari hanno deciso l’aumento di capitale sociale a copertura del capitale, ormai ridotto a zero, di Tercas, operazione necessaria per consentire l’operatività ordinaria. Le operazioni furono effettuate nel 2013, 2014 e 2015“, per un ammontare complessivo di 250 milioni di euro. Fra giugno e agosto 2018 “emersero le prime gravi criticità“. Ed arrivò l’ispezione di Bankitalia: “Nel 2016 – ha evidenziato Luigi Jacobini – si concluse con un giudizio parzialmente negativo. Oltre al giudizio. ci fu consegnata una lettera a inizio 2017, definita “particolare”. Conteneva indicazioni su ciò che la banca avrebbe dovuto fare per rimuovere le criticità. Veniva chiesto il cambio della presidenza e quello della governance, oltre che l’avvicendamento di alcuni consiglieri“.
Ma le intercettazioni più vergognose di tutte, a seguito dello scandalo degli arresti dei vertici della Popolare di Bari avvenuti nel gennaio 2020, erano state sicuramente quelle di un funzionario della banca (finito sotto procedimento disciplinare) che diceva: “Ma tu te lo ricordi quando abbiamo venduto le azioni e fottuto i clienti?“. Un’ affermazione che nel capo di imputazione si è trasformata nel reato di aggiotaggio. Infatti la banca con le false comunicazioni illustrate nei bilanci di fatto avrebbero così modificato le informazioni percezione sulla solidità della banca da parte dei risparmiatori, i quali avevano affidato i propri risparmi alla Popolare acquistando le sue azioni il cui valore in breve tempo è crollato passando da 9,53 euro a 7,50. Un disvalore che ha di fatto impedito a migliaia di persone di poterle vendere.
La stampa locale “sodale” degli Jacobini
La Procura di Bari all’epoca degli arresti (gennaio 2020) aveva spiegato che “Il progetto doloso degli indagati è stato quello di salvare l’immenso potere di gestione dell’istituto a spese di 70mila azionisti, che hanno perso 800 milioni raccolti. La sottrazione di questa enorme somma all’economia locale per finanziare imprenditori legati agli Jacobini in imprese fallimentari costituisce una devastante danno per l’economia meridionale“.
Imprenditori fra i quali figuravano la società Edisud spa editrice della Gazzetta del Mezzogiorno fallita nel 2020 e la televisione Telenorba, che ben si guardavano a suo tempo di pubblicare informazioni sulle proteste dei correntisti, mentre la banca attraverso un noto studio legale barese faceva arrivare ai giornalisti che ne parlavano, atti di diffida e minacce di azioni legali con richieste di risarcimento danni milionari.
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