E’ probabile che alla fine non ne trarranno un gran vantaggio né gli uni né gli altri tra i grillini che si sono appena scissi. O magari forse invece la scissione proclamerà un vincitore tra i contendenti di questi ultimi giorni. Quello che appare certo è che la parabola del M5S, nel suo insieme, è drammaticamente in discesa, e che le ragioni che quattro anni fa spinsero un terzo degli italiani ad affidare loro le sorti del paese non stanno letteralmente più in piedi. Prova ne siano i numeri clamorosamente meno lusinghieri delle ultime tornate amministrative -per non dire quelli dei sondaggi, altrettanto impietosi.
E’ la crisi del populismo, per dirla con una sola parola, tagliata con l’accetta, un po’ rozzamente. E cioè la fine dell’illusione che ad affidare a non politici le sorti della politica, a scommettere sui dilettanti buoni contro i professionisti cattivi, si sarebbe fatto un grande affare. Non è andata così. Tant’è che degli scommettitori del 2018 ne sono rimasti appunto, si e no, un terzo. Naturalmente, ci sarà sempre un girone di ritorno. Ma al momento le sorti della partita sembrano volgere verso una sconfitta piuttosto secca e perentoria.
E però, mentre la crisi del grillismo si dispiega impietosamente sotto gli occhi di tutti, la rivincita della politica d’antan -quella di una volta- resta ancora tutta da vedere. Perché è vero, il M5S ha deluso alla prova del governo e a quella non meno severa della politica. Ma il resto del mondo (chiamiamolo così) deve ancora dimostrare di avere imparato qualcosa dalle lezioni e dalle sconfitte di tutti questi anni.
Ed è qui che sembra di intravedere il punto debole di tanti sospiri di sollievo che si levano da questa parte del campo al cospetto della doppia difficoltà di Conte e di Di Maio. I quali non se la passano affatto bene, è evidente. Ma senza che questa loro prova così deludente rimetta al mondo, come per incanto, partiti e leader di più antico lignaggio che a loro volta non
Il fatto è che la politica tradizionale non sembra ancora avere elaborato il significato della sfida che il populismo ha portato nella sua metà campo. Nè sembra avere una chiara idea di come procedere di qui in avanti. Restano infatti senza risposta, ancora oggi, le due fondamentali domande che il trambusto di tutti questi anni aveva posto a tutti noi. E cioè, prima questione: il populismo fa parte del nostro carattere nazionale o è un alieno sbarcato non si sa bene da quale lontano pianeta? E, seconda questione: se il populismo non è proprio quel che si dice la nostra tazza di te, come se ne viene a capo ? Occorre prenderlo di petto e combattere colpo su colpo ? O magari invece è meglio diluirlo, scioglierlo in un impasto più grande, amalgamarlo ben bene, in modo che si possa offrire ai nuovi arrivati l’ammaestramento che nasce dall’esperienza in cambio della vitalità che nasce dalle più ardite sperimentazioni ?sembrano aver fatto moltissimo per meritare l’occasione che adesso viene loro offerta.
Queste domande, formulate ancora all’inizio di questa legislatura, sono rimaste poi in sospeso in tutti questi anni. Un po’ perché si sperava che i populisti entrassero in crisi per conto loro, senza bisogno né dei nostri ammaestramenti né delle nostre prediche. E un po’ perché dalle parti di quello che una volta si sarebbe definito il “sistema” (politico e non solo) si annidavano troppo paure e troppe convenienze per venire a capo di tutti questi dilemmi.