di FRANCESCO SPECCHIA*
La notizia è da film: il clan mafioso Riviezzi di Pignola aveva l’appalto della caffetteria interna del Tribunale del capoluogo lucano, luogo simbolo dell’inespugnabilità della giustizia. Lì, i suoi tre/quattro dipendenti eterodiretti da una testa di legno, servivano in fretta panini e parmigiane calde agli avvocati e ai clienti. Da dietro quel bancone, giudici, gip, piemme e cancellieri ingollavano bevande calde scambiandosi confidenze e smontando impianti accusatori.
Proprio lì, tra quei tavoli dall’allure istituzionale, s’ affollavano pentiti, testi, imputati in attesa di processo e detenuti in attesa di giudizio, senza minimamente sospettare che quella stessa istituzione fosse affidata ai suoi peggiori nemici.
Non c’era neanche bisogno di piazzare cimici: l’intero locale con il suo carico di storie, umori e informazioni era controllato dalla criminalità organizzata. L’ingresso del bar all’interno del Palazzo di Giustizia di Potenza Il clan dava così un'”eclatante dimostrazione della propria forza verso l’esterno ed allo stesso tempo si garantiva un osservatorio privilegiato all’interno di un palazzo nevralgico nel sistema di tutela e ripristino della legalità“, a detta della Dda di Potenza che attraverso la cosiddetta “Operazione Iceberg” s’è prodotta ieri in 17 misure cautelari.
Sono finite in carcere undici persone, tre ai domiciliari e tre agli obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria; il tutto grazie all’azione congiunta di Polizia e Guardia di Finanza. Ma il punto non è che le forze dell’ordine hanno sgominato la mafia infiltrata tra gli uffici del Tribunale e della Procura. Il punto è come diavolo ha fatto, la Mafia, ad infiltrarsi lì, per anni. Un avvocato del foro locale ci parla di “diversificazione degli investimenti”.
Ma, al di là della battuta, la sensazione, per il cittadino, è di totale spiazzamento; è come avere la Cia che gestisce la mensa del Cremlino, o uno jihadista che serve messa. Se il crimine penetra nei gangli stessi della giustizia, qui ogni tipo di riforma va – ci si scusi il francesismo – a farsi fottere.
E hai voglia a vantarsi, come ha fatto ieri il Procuratore distrettuale Francesco Curcio – davanti alla stampa in un ardito storytelling – che il sequestro del bar interno del Palazzo di Giustizia “ha un forte valore simbolico” e che “c’è evidentemente qualcosa che non va nel controllo antimafia” (ma va’?); e ribadire “la richiesta di avere la Dia nel capoluogo lucano, anche in relazione alla presenza di clan mafiosi. “
*editoriale tratto dal quotidiano LIBERO