ROMA – Si è laureato con 110 e lode all’Università Vanvitelli di Napoli, ma un brillante percorso lavorativo lo ha portato a lasciare la sua terra, a lavorare all’estero e ottenere qui uno dei più prestigiosi premi per la sua professione. Lui è un cardiologo, si chiama Giovanni Ciccarelli e con la futura moglie – anche lei italiana espatriata per lavoro – hanno deciso di fare ritorno a Napoli, di sposarsi nella loro terra di origine e costruire qui il loro futuro. Ricominciano quasi da zero, da precari.
La storia di Giovanni e Francesca Conte è una storia di amore per la propria terra: il Sud. Hanno vissuto gli ultimi anni della loro vita in Belgio, dove lei lavorava come neurologa e lui si è dedicato a una ricerca sulla diagnostica delle stenosi coronariche che gli è valsa lo “Young Investigator Award”, un riconoscimento che nel suo settore lo qualifica come il migliore al mondo. Eppure, nonostante la carriera avvivata – lei aveva un lavoro a tempo indeterminato, lui stava per ottenerlo – hanno scelto di rimettersi in gioco.
Primo in Italia tre anni fa, primo in Europa oggi, inanellando record impegnativi. Eccellenza napoletana che si è distinta brillantemente e fatta valere seriamente, Giovanni Ciccarelli è il migliore ricercatore di cardiologia a livello continentale. Il 31enne di Giugliano ha ricevuto l’ambito riconoscimento per lo studio condotto nella categoria “Percutaneous Coronary Intervention”, conferito dalla European Society of Cardiology. “Sono molto orgoglioso – dichiara soddisfatto il dottor Ciccarelli – di aver ricevuto questo prezioso riconoscimento internazionale e allo stesso tempo fiero e felice di aver rappresentato la mia città in un contesto così importante” .
Non si tratta quindi di un primato isolato ed estemporaneo, frutto di casualità o fortuna. “Già nel 2013 ho ricevuto il premio giovane ricercatore consegnatomi dalla Società Italiana di Cardiologia con uno studio sulla trombosi“». Arrivano conferme gratificanti, complimenti e attestazioni di stima dai colleghi, che ricompensano intensi anni di sacrifici, passione e dedizione in Italia e all’estero, dopo aver perfezionato e aggiornato preparazione e bagaglio scientifico. “Specializzando fino allo scorso luglio presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli sotto la guida del professore Paolo Golino, mi sono diviso tra l’Azienda Ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta e il Monaldi. L’ultimo biennio della specializzazione l’ho trascorso al Cardiovascular Center di Aalst, diretto dal professore De Bruyne. Il mio mentore è stato Emanuele Barbato, professore di cardiologia della Federico II“. Parentesi fondamentale in Belgio ed esperienza di crescita umana e professionale. «Lì mi sono occupato principalmente di cardiologia interventistica e la mia attività di ricerca si è dedicata soprattutto allo studio della fisiologia coronarica. Occasione interessante per collaborare con i grandi nomi della cardiologia e fare il salto di qualità».
Rispetto ad altri stati più avanzati l’Italia investe in misura minore, ancora poco nei fondi alla ricerca e destina risorse purtroppo non sufficientemente considerevoli. Da qui il fenomeno tristemente noto della “fuga dei cervelli”. Per quale motivo è ritornato nei confini nazionali? “Credo che bisogna continuare a dare una speranza al nostro Paese, perché si possono raggiungere grossi traguardi nei contesti giusti e con le persone adeguate e motivate”.
“Io e la mia fidanzata avevamo deciso che saremmo tornati. A me era stato proposto di rimanere a Aalst, lei aveva già un contratto, eppure abbiamo preferito considerare quell’esperienza conclusa. Nel nostro futuro, c’è Napoli”. E però pure la ricerca di un lavoro. Sì, perché se in Belgio Francesca era già a posto e Giovanni lo sarebbe stato a breve, a Napoli la situazione è completamente diversa. Di contratti a tempo indeterminato per ora non se ne parla: “Il quadro lo conosciamo — dice il giovane cardiologo —. Nel settore pubblico bisogna aspettare i concorsi, e in quello privato si va avanti con contratti a tempo determinato. Almeno all’inizio“.
Francesca Conte adesso lavorerà a Napoli come precaria nell’unico ambulatorio di Epilessia presente in città. Ma la precarietà non lo spaventa. Si dice disposto a fare qualche sacrificio. Per lui è un atto dovuto. Non vuole unirsi alle voci critiche nei confronti del suo paese, ma fare qualcosa di concreto per far cambiare le cose: “Io devo e voglio credere nella mia terra, e voglio dare il mio contributo. Quando sento parlare male della sanità napoletana o campana ci soffro perché so che qui ci sono medici bravissimi e strutture che possono funzionare bene, se messe in condizione di farlo. Andarsene non sarebbe giusto“.