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21 Novembre 2024 22:32

Primarie scomparse da orizzonte, imbarazzato tramonto

Negli Stati Uniti il circo delle primarie è un evento codificato da anni e anni, e si ripete ad ogni elezione con canonica puntualità, da noi è apparsa invece come una procedura strampalata, adottata un po’ si e un po’ no e destinata a lasciar posto a metodi più sbrigativi e forse a leadership più assertive
di Marco Follini

Le primarie dei partiti per designare leader e candidati sono silenziosamente scomparse dal nostro orizzonte. Il loro battesimo era stato celebrato a suo tempo tra squilli di trombe e rulli di tamburo. Il loro funerale sembra piuttosto avvenire nella forma di un mesto, silenzioso, quasi imbarazzato tramonto.

Si dirà che il mito dei gazebo era quasi solo una prerogativa del Pd. Che infatti aveva incoronato così, a suo tempo, il suo primo segretario Veltroni. E che di lì in poi s’era ripromesso di celebrare sempre e solo attraverso il voto degli iscritti (e anche dei simpatizzanti, talvolta) le proprie più strategiche scelte politiche. A destra Berlusconi s’era invece tenacemente guardato dall’idea di mettere in palio la sua leadership. E i grillini a loro volta avevano pensato bene di affidare la definizione delle loro gerarchie e dei loro equilibri a modalità volutamente impolitiche.

Così, mentre negli Stati Uniti il circo delle primarie è un evento codificato da anni e anni, e si ripete ad ogni elezione con canonica puntualità, da noi è apparsa invece come una procedura strampalata, adottata un po’ si e un po’ no e destinata a lasciar posto a metodi più sbrigativi e forse a leadership più assertive. Inoltre anche il Pd, che pure di quel sistema amava farsi paladino, si trova ora a fare i conti con la difficoltà di comporre un ragionevole quadro di alleanze. E così finisce per affidarsi a una diplomazia politica più accorta, anche se non sempre più virtuosa.

Contraddizione stridente, si dirà. Tanto più che la investitura di Elly Schlein era sortita proprio dal voto dei gazebo, circostanza che fa apparire piuttosto paradossale il fatto che sia proprio lei, da Firenze alla Sardegna, ad ammainare ora quella bandiera. Ma tant’è. Lo spirito del tempo sembra aver bisogno a questo punto di un minore affollamento. E la domanda di semplificazione che viene da parte dei cittadini tende a verticalizzare ancora di più le leadership. Come a dire che di leader a questo punto ne basta uno solo, senza che intorno a lui/lei si snodi l’affollato corteo dei candidati, delle cordate, delle correnti, delle tendenze. E delle loro contese, soprattutto.

Così però noi rischiamo di costruire un sistema di partiti dove conta ed esiste solo il numero uno. E tutto quel contorno, a volte un po’ fastidioso, a volte invece promettente, fatto di numeri due, tre, quattro, che ne accompagnava e un po’ contrastava il cammino sembra chiuso a chiave in un armadio di ricordi polverosi che nessuno ha più così tanta voglia di riaprire. Circostanza che può apparire alla moda, ma che rivela invece un baco nella nostra democrazia.

E’ probabile che in questi anni si sia passati da un eccesso all’altro. Dal tempo di una collegialità faticosa, protesa a condizionare e rallentare le gesta del leader fin quasi a paralizzarlo chiudendolo dentro un reticolo di complicità troppo strette. A un tempo opposto, in cui le grandi forze politiche e i loro dirigenti e militanti sembrano ormai tutti destinati a un ruolo gregario. Quegli stessi dirigenti e militanti da cui una volta discendeva la fortuna, oppure la rovina, della propria casa politica.

Ed è ovvio che anni e anni spesi a combattere e a denigrare la “partitocrazia” abbiano contribuito a mettere all’angolo le forze politiche per come erano. Operazione discutibile, ma condivisa da molti a suo tempo, e a tutt’oggi destinata a non poter venire capovolta. Il passato dei partiti d’antan infatti non tornerà, per quanti rimpianti e quante nostalgie vi si possano profondere.

Resta il fatto però che siamo arrivati, letteralmente, all’altro capo del mondo. E che le forze che ora sono in campo non sembrano avere nessuna intenzione di rivitalizzare quei meccanismi di partecipazione che sono stati a lungo la frontiera cruciale della nostra democrazia. Al loro posto ci sono leader di tutto punto, dotati di una straordinaria capacità di comando e sottratti quasi tutti e quassi sempre a quella oscura fatica che una volta si chiamava collegialità. Se a lungo andare questo possa rivelarsi un bene oppure un male, lo dirà il futuro. Intanto il presente ci segnala che sempre meno persone vanno a votare, sempre meno corrono a iscriversi, e sempre meno si dichiarano soddisfatte di quel che passa loro il convento della politica.

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