ROMA – Mattarella, in occasione della festa del Primo Maggio ha lanciato dal Quirinale un monito sul lavoro «carente in molte aree del Paese», ricordando la «insufficiente occupazione femminile, lo scarto che penalizza le donne». Poi ha richiamato tutti alla «dignità» che il lavoro «non deve perdere». «Vanno approntati strumenti adeguati per guidare il cambiamento a favore della società, compresa la leva fiscale, visto che le tasse sui redditi da lavoro in Italia sono tra le più alte dei Paesi sviluppati».
Ecco il testo integrale del suo intervento:
Rinnovo le mie congratulazioni ai nuovi Maestri del lavoro, le cui storie di vita, con tanto impegno e sacrifici profusi, hanno contribuito al progresso del nostro Paese. Le Stelle al Merito rappresentano un giusto riconoscimento e, insieme, una testimonianza che si vuole trasmettere alle generazioni più giovani, come ha ben illustrato il Presidente Giovati.
La festa del Primo maggio è una festa della Repubblica e della Costituzione, che indica nel lavoro un fondamento di civiltà, condizione di autentica libertà personale, di autonomia delle persone nella costruzione del proprio destino. Il lavoro e la scuola sono stati il formidabile ascensore sociale che ha cambiato il Paese da quando è nata la Repubblica; e mantengono questo ruolo. Hanno costituito lo strumento di eguaglianza sociale più efficace dell’Italia repubblicana, hanno rappresentato e rappresentano il patrimonio di chi non ha ricchezze ma può disporre della propria intelligenza e laboriosità.
Senza lavoro rimane incompiuto il diritto stesso di cittadinanza, la dignità dell’individuo ne rimane mortificata, la solidarietà sociale e la stessa possibilità di sviluppo della società ne rimangono compromesse. Per questa ragione, nel giorno in cui si celebra il lavoro e si discute delle sue incalzanti innovazioni, desidero esprimere la mia vicinanza a quanti lo cercano e ancora non riescono a ottenerlo, a chi lo ha perduto, a chi è occupato in modo precario o saltuario, a coloro i quali lavorano con una retribuzione insufficiente per sostenere se stessi e le proprie famiglie.
La nostra Carta costituzionale riconosce il lavoro come bene sociale e pone alle istituzioni, a tutti i livelli, di compiere ogni sforzo per ampliare le opportunità occupazionali, per rimuovere le cause degli squilibri tra territori, per accrescere le conoscenze, le competenze, gli investimenti necessari a uno sviluppo sostenibile. Si tratta di un dovere pubblico a cui non ci si può sottrarre. Così come non può essere cancellato dalla Costituzione quel traguardo di piena occupazione, che resta una sfida costante, un obiettivo a cui tendere, utilizzando ogni possibile leva di intervento.
Certo, non tutto dipende dalle funzioni pubbliche. A creare lavoro sono anzitutto le imprese, stimolate dall’obiettivo di crescere, innovare, migliorarsi. Come ha detto il presidente D’Amato, esse sono, naturalmente, influenzate dalla dinamicità del sistema-Paese, dalla sua efficienza, così come dalla capacità di integrare servizi e produzione, di sviluppare il welfare tenendo il passo con le grandi trasformazioni, di orientare gli investimenti pubblici in modo che accrescano la competitività sui mercati non meno della qualità della vita. È insomma la società nel suo insieme l’ampia base da cui trae forza l’economia. La prospettiva di uno sviluppo sostenibile si basa sulla coesione della società, sulla sua etica, sulla sua cultura.
È il grande contributo che il mondo del lavoro ci ha lasciato nel Novecento e che tuttora conferma il suo valore. Il lavoro di oggi e di domani è sempre più il frutto di un’azione corale, multiforme, integrata, che richiama la responsabilità di tutti. Riqualificare il lavoro, creare buon lavoro, assicurare ai giovani un futuro adeguato si impone come una priorità nazionale su cui far convergere le energie del Paese. Si tratta di quel comune obiettivo cui ha fatto cenno il presidente Patriarca.
L’economia italiana, come del resto quella europea, si trova ad affrontare una congiuntura debole. Le incertezze, che derivano particolarmente da vari fattori internazionali e da tensioni sulle politiche commerciali, hanno costretto a una revisione al ribasso delle previsioni di crescita, che vede peraltro qualche segno di rialzo. A questo raffreddamento si aggiunge per noi il peso obiettivo del debito pubblico, che impone cura e attenzioni particolari per rafforzare la fiducia degli investitori, per tutelare il risparmio degli italiani, per tenere in equilibrio programmi di spesa e finanziamenti realistici.
Secondo i dati più recenti, l’occupazione è in ripresa all’inizio di quest’anno dopo una leggera flessione nella parte finale del 2018. Il tasso di occupazione registra in Italia un segno positivo ma è comunque a un livello che non ci può soddisfare. Il lavoro è carente in larghe aree del Paese. E le conseguenze di questa condizione sono gravi. Particolarmente insufficiente è l’occupazione femminile, e tanto più questo emerge nel confronto con l’Unione Europea. Ridurre lo scarto che penalizza le donne in termini di posti di lavoro, di differenza salariale, di possibilità di carriera, è un’assoluta necessità, e può diventare uno dei maggiori moltiplicatori di benessere e di crescita.
È dimostrato, inoltre, che l’incremento del lavoro femminile – tanto più se sostenuto da misure di conciliazione dei tempi e da adeguati servizi per l’infanzia – favorisce anche l’aumento della natalità e incoraggia la formazione di giovani famiglie. Non mancano difficoltà; e problemi, alcuni dei quali richiedono il coraggio di interventi strutturali, ma l’Italia ha anche enormi potenzialità e risorse, che ci sollecitano ad affrontare le sfide a testa alta e con fiducia. A cominciare dalla sfida della sostenibilità dello sviluppo: sfida globale nella quale il nostro Paese può e deve assumere un ruolo di avanguardia. Trasformazioni digitali ed eco-sostenibilità sono già decisivi vettori di sviluppo, di occupazione, di benessere. Lo saranno ancor più nei prossimi anni. Si prevede che, nei prossimi cinque anni, le imprese italiane avranno bisogno di un gran numero di lavoratori con competenze “verdi”.
È dunque sempre più incalzante l’esigenza di investire sulla formazione e sulle competenze, per preparare i giovani che entrano nel mondo del lavoro – ma anche gli adulti – a essere protagonisti del cambiamento, e migliorare così produttività e salari. Il coinvolgimento delle parti sociali nel dirigere le trasformazioni in atto è, anche sotto questo profilo, una risorsa preziosa. L’accelerato sviluppo digitale, l’intelligenza artificiale, la robotica producono mutamenti profondi e davvero velocissimi. È indubbio che stanno scomparendo talune professionalità e talune vecchie mansioni. Al contempo stanno nascendo nuovi lavori. Non si possono affrontare queste trasformazioni solo con posizioni difensive. Vanno approntati strumenti adeguati per guidare il cambiamento a favore della società, compresa la leva fiscale, visto che le tasse sui redditi da lavoro in Italia sono tra le più alte dei Paesi sviluppati.
In occasione di trasformazioni importanti nei settori dell’industria pesante, della chimica, del tessile, vennero messi in campo, in passato, imponenti programmi di riconversione occupazionale e produttiva: abbiamo bisogno di incentivare investimenti, privati e pubblici, nei settori di punta. Abbiamo bisogno di modalità che garantiscano una formazione continua, e di sistemi di sicurezza sociale che accompagnino, e tutelino, i nuovi percorsi lavorativi. Temi sui quali il ministro Di Maio ha illustrato l’impegno del governo. È un grave danno per il Paese che le imprese più innovative siano oggi alla ricerca di persone con specifiche caratteristiche professionali e che questi posti di lavoro restino vacanti. Contemporaneamente ci troviamo ad affrontare una grave disoccupazione giovanile, specie nel Mezzogiorno, e una emigrazione di giovani laureati, a fronte di vuoti che si stanno manifestando in settori specialistici.
Ai giovani desidero esprimere tutto il mio sostegno e la mia vicinanza. Non devono scoraggiarsi, bensì credere convintamente nel futuro migliore che, anche grazie a loro, si sarà capaci di costruire. Un saluto particolare a quanti si ritroveranno oggi per il tradizionale concertone di piazza San Giovanni, a Roma. La società moderna deve molto alla crescita del mondo del lavoro. Una crescita di civiltà, non soltanto di ricchezza. I diritti del lavoro, sorti nella contrattazione, sono divenuti diritti universali e hanno plasmato un modello di Stato sociale che, via via, ha rafforzato le misure generali per l’assistenza, il bisogno, la malattia, la vecchiaia. Questo sistema di diritti, che mette al centro la persona, si chiama Europa.
Ma se l’Unione è nata grazie all’apporto degli Stati nazionali, adesso soltanto la forza unitaria del Continente può assicurare la difesa di quei principi, di quei caposaldi dell’ordinamento, di fronte all’incalzare della competizione globale. I singoli Paesi che ne sono membri rappresentano un ambito troppo fragile per poter difendere efficacemente il lavoro e i diritti. L’Europa, invece, ha la dimensione, la storia e la cultura, per contribuire a un nuovo modello di sviluppo. Un modello più sostenibile sul piano ambientale come su quello della giustizia sociale.
L’Unione europea può fare ancora di più – deve fare ancora di più – incrementando il sostegno alle trasformazioni tecnologiche e produttive, attivando politiche e risorse proprie dell’Europa sociale per la riqualificazione professionale di chi ha perso lavoro e di chi lo sta cercando. I governi europei sono di fronte alle loro responsabilità. Ma un grande compito hanno le opinioni pubbliche, e le forze espressive della società. I sindacati dei lavoratori, come quelli degli imprenditori, possono esercitare un ruolo importante, da protagonisti, al pari di quanto è avvenuto in momenti cruciali di avanzamento della nostra vita nazionale, in cui sono stati capaci di interpretare gli interessi generali.
Questa mattina Cgil, Cisl e Uil stanno celebrando unitariamente a Bologna il Primo maggio. Hanno scelto come tema l’Europa dei diritti sociali. Rivolgo loro il mio saluto, così come a tutte le organizzazioni sindacali che stanno festeggiando la festa dei lavoratori. La difesa dei diritti ha una concretezza che può essere assicurata solo da una presenza costante, sul campo. Il lavoro non deve perdere il suo carattere di motore di dignità. Non possiamo tollerare forme di sfruttamento che rasentano la schiavitù. Non possiamo chiudere gli occhi davanti a condizioni inumane a cui vengono costretti talvolta i lavoratori più deboli, oggi soprattutto gli immigrati. Il lavoro deve essere, anche su questo versante, fattore di integrazione. La sicurezza sul lavoro è un altro pilastro di legalità.
Pochi giorni addietro – il 24 aprile – quattro persone sono morte sul lavoro: nel porto di Livorno, a Savigliano, nel Cuneense, a Sestu vicino Cagliari, a Ravello nel Salernitano. Ho appena consegnato le Stelle al merito alla memoria ai familiari di due caduti sul lavoro – Ilario Rifaldi e Alberto Pedon – con essi ricordiamo, con grande tristezza e rimpianto, tutti coloro che sul lavoro hanno perso la vita. Laddove vengono utilizzati i sistemi più adeguati e le moderne misure anti-infortunistiche, i livelli di sicurezza sono cresciuti. Lavorare senza pericolo è non solo possibile, ma irrinunciabile. Tuttavia gli incidenti continuano, causando lutti, invalidità, sofferenze immani alle vittime e ai loro familiari. Non possiamo tollerare alcun evento mortale sul lavoro.
Viviamo un passaggio d’epoca. Che ci presenta, come sempre, allo stesso tempo, forti difficoltà ma anche straordinarie opportunità. La possibilità di avviare un ciclo positivo è nelle nostre mani. Come sempre, anche in questo nostro tempo, coesione e giustizia sociali sono condizioni di successo. Per tutti.