di REDAZIONE CRONACHE
E’ stata definita oggi lunedì 20 settembre dai giudici del Tribunale di Roma la natura della violenza che ha terrorizzato interi quartieri della Capitale, che hanno convissuto una metropoli rassegnata e impaurita tollerata dalla famiglia Casamonica protagonista delle cronache giudiziarie degli ultimi vent’anni che l’hanno vista crescere dalla periferia al centro storico. I pm Giovanni Musarò e Stefano Luciani della procura di Roma avevano chiesto condanne per oltre 630 anni per gli imputati della famiglia Casamonica.
I giudici della decima sezione del Tribunale di Roma dopo circa 7 ore di camera di consiglio hanno condannato per associazione di stampo mafioso i componenti della famiglia Casamonica del quartiere Romanina a Roma. La sentenza è stata pronunciata nell’aula bunker di Rebibbia per alcuni dei 44 imputati, appartenenti al clan.Questa sentenza è il terzo riconoscimento giudiziario del reato di associazione mafiosa (gli altri sono gli Spada e i Fasciano) per una organizzazione operante della Capitale.
L’accusa per 14 imputati era di associazione mafiosa, mentre in 44 sono chiamati complessivamente a rispondere di traffico di droga, estorsione, detenzione illegale di armi e intestazione fittizia di beni. La procura di Roma ha chiesto le pene più alte, 30 anni di carcere, per Giuseppe Casamonica, detto “Bitaro”, ritenuto il capo della famiglia di Porta Furba, insieme ai suoi fratelli Salvatore, Pasquale, Luciano e Massimiliano, e per Luciano lo pseudo “mediatore culturale” immortalato con la maglietta dell’Italia tra i politici al tavolo con Salvatore Buzzi.
26 anni di carcere, una condanna da boss, sono stati richiesti per Liliana, detta “Stefania“, la donna che ha preso le redini della famiglia Casamonica quando i fratelli sono finiti in carcere. Chiesti 25 anni di carcere invece per Guerino Casamonica e Ottavio Spada. Il pm Musarò, nel corso della sua requisitoria, aveva chiesto 16 anni di reclusione per Antonietta Casamonica e 17 anni per Gelsomina Di Silvio.
Un processo che obbligato ha indotto l’intera Capitale ad aprire gli occhi su questa famiglia rom emigrata dall’Abruzzo e dal Molise, insediandosi a partire dagli anni ’70 nelle borgate a sud dove hanno costruito una sorta di piovra tentacolare, “blindata” dal cemento del vincolo familiare,che secondo le indagini era in grado di trattare con le altre organizzazioni criminali che le riconoscevano prestigio, controllo del territorio, capacità di diversificare gli affari e di instaurare reti di relazioni importanti.
Si tratta di una sentenza decisiva in quanto finora l’associazione mafiosa è stata riconosciuta in via definitiva relativamente al troncone giudicato con rito abbreviato soltanto per il “clan Spada” basato ed attivo a Ostia, mentre per la celebre inchiesta nei confronti di Massimo Carminati e Buzzi l’ aggravante mafiosa è stata rigettata dalla Cassazione.
Negli anni precedenti i Casamonica sono riusciti a “insediarsi” anche nel Palazzo di Giustizia di piazzale Clodio. In svariati processi a loro carico hanno pianto e minacciato, corrotto e fatto ricorsi, eludendo così le pene più dure. Alcuni di loro sono finiti a trascorrere parte degli arresti in comunità di recupero dove si pratica “l’amore come terapia e come senso della vita”. Hanno persino inviato le loro amanti a sedurre e corrompere i giudici. “A Roma semo i più forti”, dicevano sentendosi sicuri della loro impunità.
L’inchiesta ha origine dalle indagini dei Carabinieri del Comando Provinciale di Roma, coordinata anche dal pm Stefano Luciani oltre che da Musarò. Le indagini dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Frascati erano state avviate nell’estate del 2015, ancora prima dei funerali di “zio Vittorio Casamonica”, ed hanno consentito di documentare l’esistenza di un’associazione mafiosa autoctona strutturata su più gruppi criminali, prevalentemente a connotazione familiare, dotati di una propria autonomia decisionale, operativa ed economica.
Soltanto il duro certosino lavoro degli investigatori e di magistrati coraggiosi hanno consentito permesso di creare non pochi problemi ed infliggere duri colpi a questa famiglia. Fondamentali per l’accusa erano state le parole di alcuni collaboratori di giustizia che hanno aperto una considerevole breccia nel muro dell’omertà abbattuto da una donna, Debora Cerreoni, e da Massimiliano Fazzari che hanno collaborato con i magistrati e descritto la struttura e le modalità con cui agiva il clan della famiglia “rom” Casamonica operante a Roma .